Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

venerdì 15 gennaio 2010

Appunto

«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano anche perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi o petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti fra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro».

«I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare fra coloro che entrano nel nostro Paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali». Attenti alla chiusa: «Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite, e non contestano il salario».

«Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal Sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione».

Sporchi, brutti, cattivi, misteriosi e incomprensibili. Si parla di noi, sembriamo noi che parliamo di loro. Il fatto è che i ricordi ruggenti si stingono con il tempo che passa, quelli tristi subiscono anche la scolorina dell’amor proprio, e così diventa possibile – avendo perso contezza di essere figli o nipoti di gente emigrata ovunque – non nutrire alcuna comprensione per chi oggi arriva nel nostro Paese. Eppure, ancora agli inizi dello scorso secolo, come dimostra il brano citato, l’Ispettorato per l’immigrazione statunitense diffidava degli immigrati dallo Stivale e invitava a fare attente cernite sull’importazione di forza lavoro. Poche righe di una relazione al Congresso del 1912 ci aiutano a capire che la ruota gira, è già girata, e non è detto che non torni a girare un’altra volta. Ma se gli americani avessero dato ascolto alle loro paure, Martin Scorsese aspirerebbe all’Oscar per il miglior film straniero, Rudy Giuliani avrebbe applicato la tolleranza zero alle magagne della periferia di Milano e il Fiorello La Guardia sarebbe al massimo l’aeroporto di Roma. L’America insomma sarebbe un’altra cosa. Loro, noi: destini incrociati. Se solo lo tenessimo a mente.

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