“Solo un’alleanza liberale potrà salvare quest’occidente”
Il
disfattismo imperante in Europa, il welfare non più sostenibile, la
minaccia autoritaria. Intervista a Stephen Davies, dell’Institute of
Economic Affairs di Londra.
22 Giugno 2016 - Il Foglio
“La mia teoria è che al momento la maggior parte
dei paesi occidentali sta attraversando un riallineamento dei valori e
che la divisione politica sarà sempre più tra autoritari e liberali
coerenti”, dice al Foglio Stephen Davies, storico del pensiero politico
per più di trent’anni alla Manchester Metropolitan University, dal 2010
direttore del dipartimento istruzione dell’Institute of Economic
Affairs. Da diverso tempo, Davies sostiene una teoria originale, che gli
eventi a cui stiamo assistendo in occidente stanno dimostrando via via
più profetica: la teoria del riallineamento politico. “La mia teoria –
dice – parte da due domande fondamentali per capire la posizione
ideologico-politica di una persona: sei generalmente a favore
dell’intervento statale in economia? E poi: credi che lo stato dovrebbe
promuovere un certo stile di vita (sessuale, familiare, culturale)
piuttosto che altri? Negli ultimi quarant’anni, in Europa e nei paesi
industrializzati, la principale divisione in politica è stata tra due
parti: da un lato chi difendeva il libero mercato e allo stesso tempo
era conservatore sui temi sociali, quindi ad esempio i governi della
Thatcher qui nel Regno Unito, dall’altro chi invece era culturalmente
liberale ma interventista in economia, i laburisti inglesi come la
maggior parte della sinistra occidentale. Ma c’erano anche altri due
gruppi, del tutto minoritari, che a lungo sono stati lasciati fuori
dalla porta: i così detti libertarians, o liberali coerenti, cioè chi
difendeva la libertà dell’individuo dall’azione dello stato sia nella
sfera culturale che in quella economica, e all’opposto chi chiedeva
l’intervento statale in entrambe, gli authoritarians”.
La questione fondamentale, aggiunge il nostro interlocutore, “non
sarà più quella economica, un tempo capace di prevalere sulle visioni
socio-culturali delle parti, ma ruoterà attorno all’identità personale e
alla nuova domanda fondamentale della politica: ti piace questa società
globale? Ti piace il movimento rapido di persone e capitali che ne
deriva? Sei disposto ad accettare la fluidità dell’identità e la
costante messa in questione dei costumi e delle tradizioni che ne
consegue? Ti piace tutto questo o ti senti minacciato da ciò che
rappresenta? Questa sarà (o lo è già) la nuova divisione politica della
nostra èra”. Non ha dubbi, Davies, su come tale processo sia iniziato:
“Con la crisi del comunismo, soprattutto. Ben prima del 1989 si aveva la
crescente percezione che l’alternativa socialista e la possibilità di
costruire una nuova società diversa da quella capitalistica, come i
cigolanti esempi in Unione Sovietica, in Cina o a Cuba stavano
dimostrando, non aveva possibilità di realizzazione. Tra gli anni 70 e
80 del 900, quindi, si è cominciato ad assistere ad un allineamento
diverso dei valori politici: la sinistra ha cominciato a diventare più
liberale in economia e la destra ha iniziato a lasciar la presa sulla
morale tradizionale. Il risultato è che entrambi i poli, per la fine
degli anni 90, stavano convergendo ampiamente verso il quadrante del
liberalismo coerente”. Negli anni duemila, poi, erano del tutto simili,
quando non uguali: “I poli mainstream della politica erano entrambi
tendenzialmente liberali coerenti e questo ha lasciato fuori dalla porta
gli autoritari, o statalisti, a destra come a sinistra, che ora si
stanno aggregando in un nuovo polo politico”.
Anche qui gli esempi non mancano: “Il Front National incarna
perfettamente il tipo di collettivismo di destra a cui mi riferisco. Da
dove pensi che arrivi metà del suo elettorato? Dal partito comunista
francese. Sopratutto da quando Le Pen figlia è leader, il partito ha
promosso misure economiche interventiste, protezioniste e nazionaliste,
istigando il sentimento no-global, no-mercato e no-migrazioni. Il tutto
tenuto assieme dal mastice del conservatorismo tradizionalista: no ai
matrimoni gay, sì al welfare state (solo per i francesi, sia chiaro).
Sta succedendo in tutta Europa: in Polonia col PiS, in Svezia con i
Democratici Svedesi, in Germania con Afd. Persino negli Stati Uniti,
dove Trump si esprime a favore di Medicare, Medicaid e previdenza
sociale mentre promette di costruire muri ai confini e invoca
l’isolazionismo in politica estera. In Italia avete la Lega Nord e il
Movimento 5 stelle”.
Anche per questo mai come ora vi è la necessità di stabilire
un’alleanza anti-disfattismo, magari una versione rinnovata del Patto
del Nazareno? Sì, dice Davies: “E’ l’approccio giusto. Al momento la
destra nazional-populista (che secondo me è la peggiore delle
aggregazioni politiche, perchè sbaglia sia sull’economia che sui temi
sociali) si trova in una congiuntura storica a lei favorevole. In
Polonia e Ungheria è già al governo. In Austria non ha eletto il
presidente per un soffio e l’anno prossimo alle presidenziali francesi è
quasi sicuro che Marine Le Pen arriverà al ballottaggio al secondo
turno, probabilmente contro i gaullisti. Il problema è che l’opposizione
a questo blocco autoritario è divisa tra liberali coerenti e liberali
sociali, che non mollano la presa sull’interventismo economico. Dovranno
invece cooperare, altrimenti vedremo paesi come l’Italia, la Svezia o
il Regno Unito diventare come l’Ungheria o la Polonia”. Tornando alla
teoria del riallineamento, lo storico spiega che essi si sono sviluppati
“col nascere della politica moderna, quella ideologica: alla fine del
1700. Prima di questa data la politica riguardava soltanto le èlites
aristocratiche, era tutta una questione dinastica. Assomigliava a Game
of Thrones se vuoi.
Poi le grandi rivoluzioni, l’illuminismo e, prima di tutto in
Francia, sono apparsi i tre poli della politica contemporanea: quello
egualitario, quello libertario e quello scettico-tradizionalista.
Inizialmente il polo egualitario e quello libertario, quindi socialisti e
liberali, erano alleati contro i conservatori del terzo polo, difensori
dell’Ancién Régime come Pio IX e Louis de Bonald, tutto trono e altare.
Quando poi le monarchie assolute e teocratiche hanno palesato
l’impossibilità di tornare in auge, le ragioni dell’alleanza tra
liberali e socialisti sono venute meno, mentre assumeva sempre più
importanza la questione economica su cui ovviamente divergevano. Ecco
che allora tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si ha una prima
spaccatura dello spettro politico: da un lato i liberali radicali e i
socialisti, dall’altro i liberali moderati e i conservatori. Quindi alla
fine della Seconda guerra mondiale ovunque, in Europa, entrambi gli
schieramenti erano culturalmente illiberali ma divisi sull’economia.
Negli anni 60 e 70, con le proteste studentesche e le rivoluzioni di
costume, la sinistra è diventata più culturalmente liberale rimanendo
interventista in economia, la destra si è invece radicata a difesa del
mercato e dei valori tradizionali”.
Inevitabile tornare al punto di partenza, dal momento che “ogni
trenta-quarant’anni, in pratica, si assiste ad un riallineamento delle
posizioni politiche, ovviamente con differenze di tempo a volte notevoli
tra paese e paese. Il riallineamento è minore se implica l’avvicinarsi
su determinate posizioni dei due poli principali, come quello avvenuto
alla fine del 900. E’ maggiore se invece implica una polarizzazione
radicale e uno stravolgimento della tematica attorno a cui ruota il
dibattito. In questo caso l’avvio del meccanismo è l’accettazione, più o
meno da parte di tutti, della questione nodale cui ruotava attorno lo
scontro precedente, da un lato, e il sorgere di una nuova issue
riguardo alla quale tutti sono preoccupati e di cui si discute con
maggiore interesse, dall’altro. Il nuovo tema genera nuovi dibattiti e
il nuovo assetto di posizioni genera una nuova divisione tra le parti
politiche. Quello a cui stiamo assistendo oggi è un riallineamento
“maggiore”, il secondo nella storia dopo quello avvenuto alla fine
dell’800”.
In ogni caso, il discorso sull’economia e la sua gestione non è
affatto superato, anche se “è senz’altro divenuto secondario”, chiarisce
Davies. “Le ragioni per cui un crescente numero di persone sta passando
dalla parte del protezionismo, del nazionalismo economico e
dell’anti-immigrazionismo sono principalmente ragioni non economiche: la
gente sente che senza quel tipo di politiche l’identità alla quale è
aggrappata verrà distrutta dal processo di globalizzazione e
dall’innovazione tecnologica. E temo che il dibattito diventerà ancora
più intenso: l’automazione farà sì che un’immensa quantità di lavori
tradizionali semplicemente finirà con lo svanire, nei prossimi anni.
Quindi, tutti i temi che oggi sembrano ancora legati alla questione
dell’economia e della sua gestione, settore pubblico contro settore
privato, sono in realtà legati al tema dell’identità nazionale e
culturale che si sente sempre più minacciata”.
Inevitabile
un riferimento all’appuntamento di domani, il referendum che deciderà
sulla permanenz o meno del Regno Unito nell’Unione europea: “Quel che
sta succedendo è che tutte le persone che sono al momento nello stesso
partito e dalla stessa parte si ritrovano ad essere rivali e cominciano a
stringere alleanze con quelli che in teoria sono a loro opposti. Il
referendum sulla Brexit ha accellerato il processo di rimescolamento tra
i partiti che qui nel Regno Unito stava procedendo più lentamente che
nel resto d’Europa (dove il sistema proporzionale ha facilitato la nuova
rappresentanza). Nel Partito Conservatore c’è una fazione dominante che
è genericamente liberale sia sulle istanze economiche che su quelle
social-culturali. Un’altra parte invece sta abbandonando il liberismo
per il protezionismo, il cosmopolitismo per il nazionalismo, e
ovviamente il controllo del movimento di persone e capitali che ne
consegue, facendo da spalla allo Ukip. Lo stesso succede all’interno del
Partito Laburista, dove c’è una metà di parlamentari New Labour e
l’altra metà che col cambio di leadership [da Milliband a Corbyn, ndr]
in economia ha ricominciato ad essere interventista, mentre rimane molto
liberale dal punto di vista culturale. Un blocco enorme di elettori
laburisti, però, (per lo più anziani, bianchi, working class) si sta
aggregando al blocco di malcontento verso i conservatori liberali
guidati da David Cameron, formando così la nuova destra nazionalista,
anti-globalista ed economicamente interventista che sarà un’alleata
d’oltre Manica per il Front National e le altre forze populiste”.
Arduo dire come voterà un liberale coerente, perché “dipende cosa
credi che succederà dopo. Chi supporta il fronte del Remain è
genericamente ascrivibile ai liberali coerenti. Il fronte del Leave è
invece più variegato. Da un lato ci sono gli authoritarians che vedono
nel referendum un’arma da usare nella battaglia nazionalista e
protezionista che stanno portando avanti. Dall’altro quelli che credono
che lasciando l’Europa il Regno Unito potrebbe trasformarsi in un
paradiso liberista indipendente alla Hong Kong, sono i Nigel Farage e i
Douglas Carswell”. Quanto a Boris Johnson, “è semplicemente un
opportunista. L’unica cosa in cui crede è il suo approdo prossimo a
Downing Street. Diventare primo ministro soppiantando Cameron, ecco, in
questo crede fermamente. Tornando al voto sulla Brexit: è difficile
segmentare gli elettori, perchè molte persone che voteranno allo stesso
modo lo faranno con intenzioni e speranze opposte”. Il problema del
blocco liberale è che “non riesce a decidersi sulla questione
economica”, senza dimenticare che di questione ce n’è un’altra, ed è
quella ambientale.
“La green issue è una delle ragioni per cui il fronte liberale non è
ancora riuscito a compattarsi. Ci sono i verdi radicali dal cui punto di
vista l’argomento è irrilevante, perchè per loro la civiltà industriale
è condannata e dunque discutere di soluzioni è come spostare sedie sul
Titanic. Però ci sono anche i verdi più moderati, che sono il vero
ostacolo perchè in nome dell’ambiente supportano politiche spesso
preotezioniste, che i liberisti non sono disposti ad accettare. Nei
prossimi anni, però, la minaccia autoritaria li costringerà al
compromesso, a meno che la destra collettivista non inizi a promuovere
politiche verdi per sottrarre elettori ai liberali, cosa che il Front
National sta già iniziando a fare. Marine Le Pen è una politica molto
astuta e sa che le istanze ambientaliste sono molto facilmente
coniugabili a quelle no global”.
E quali sono le soluzioni, le risposte dei liberali coerenti ai
grandi problemi della contemporaneità, dall’identità all’immigrazione,
fino all’ambiente? “Per l’ambiente – dice Davies – ci sono diverse
soluzioni che possono venire dal settore privato, come quelle
concernenti l’uso dei diritti di proprietà intellettuale e quelle di
decentralizzazione studiate da Ellinor Ostrom [Premio Nobel per
l’economia nel 2009, ndr] e dai suoi studenti. Per altre questioni ci
dovremo rassegnare all’idea di non poterle risolvere perchè per fare
ciò, anche volendo agire tramite lo stato, si dovrebbe costituire prima
un governo mondiale, il che è A) impossibile e B) altamente
indesiderabile per infinite e più ragioni. Potrebbe essere il caso del
riscaldamento globale, ma può essere anche che lo sviluppo tecnologico
ci aiuti molto in questo senso. Ad esempio è noto che molti problemi
ambientali derivino dall’agricoltura che distrugge certi habitat. Credo
che molta della carne che mangeremo in futuro, tra poco più di
vent’anni, sarà sviluppata in vitro, anzichè provenire direttamente
dagli animali. Per quanto riguarda l’immigrazione rimango fermamente
della mia idea pro-libere frontiere. La posizione del liberale coerente è
di dire alla gente che dovrebbe credere di più nella capacità di
sopravvivenza della loro cultura: se è robusta e radicata a sufficienza
sarà in grado di assimilare anche un ingente numero di nuovi e diversi
arrivi. Sarà difficile e faticoso, ma credo che alla fine le persone,
gli individui, saranno in grado di affrontare la questione cooperando
pacificamente”.
Va fatta una postilla riguardo al welfare, che “a prescindere
dall’immigrazione è semplicemente insostenibile nella maggior parte dei
paesi europei”. Per il futuro, Stephen Davies pensa a forme
welfaristiche private. Dopotutto, dice, “è questione di matematica: se
si guarda alla quantità di denaro che i governi hanno promesso di dare
in benefit e pensioni alla popolazione che sta invecchiando si scopre
che quei benefit e quelle pensioni semplicemente non verranno pagate. A
meno che le economie europee non si mettano a crescere del 7-8 per
cento, cosa che non è mai successa prima quindi non vedo perchè dovrebbe
accadere ora. Questo provocherà rotture sociali e proteste, come sta
avvenendo in Francia [per la riforma del lavoro di Macron, una sorta di
jobs act alla francese, ndr] ma alla fine la realtà prevarrà e ci si
renderà conto di dover accettare il cambio di rotta.
Rimane infine, la questione forse più importante, quella
dell’identità. E’ il relativismo globalista l’unica via? “Se sei un
libertarian non sei un relativista: credi fermamente che certi valori e
certi stili di vita siano superiori ad altri. Il modo migliore per
rispondere alle persone che non condividono i tuoi stessi valori è l’uso
della persuasione, dell’interazione sociale, del commercio, e allo
stesso tempo spingere per promuovere quegli stessi valori che reputi
superiori agli altri: la libertà individuale, l’indipendenza e la libera
scelta personale. Sono abbastanza certo del potere di una società
capitalistica libera di minare alla base e finalmente di distruggere il
collettivismo, la patriarchia e i fanatismi religiosi, e non, di cui
abbiamo parlato”.
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