Quando trionfa la post-verità
I fatti? Non contano più: benvenuti nell’era che non
crede più ai fatti, benvenuti nell’era della post-verità.
Non si vota per la Brexit o per Trump perché dicono la
verità, ma perché incarnano, a torto o a ragione, un rifiuto del ‘sistema’.
Non importa quante sciocchezze abbia detto. Donald
Trump ha continuato a guadagnare voti. Perché nell'epoca della post-verità, gli
elettori non vogliono fatti, ma messaggi emozionali. Veri o meno.
“Pensate a quanto Donald Trump è estraneo ai fatti. Vive in un regno
fantastico in cui il certificato di nascita di Barack Obama è falsificato, il
presidente ha fondato lo Stato islamico, i Clinton sono assassini e il padre di
un rivale era con Lee Harvey Oswald prima che questi uccidesse John F.
Kennedy”. Inizia così il durissimo e illuminante editoriale dell’Economist,
che questa settimana dedica la copertina alla “politica del post verità”, di
cui il candidato repubblicano alla Casa Bianca è uno dei maggiori esponenti.
Nell’èra della post verità, scrive l’Economist, le dichiarazioni dei
politici hanno perso le loro fondamenta nel reale. I politici hanno sempre
mentito, ma questa volta la differenza è più grande: la verità è diventata un
elemento di importanza secondaria, e i social media hanno un ruolo fondamentale
in tutto questo.
L’espressione è apparsa nel 2004 in un libro pubblicato negli Stati Uniti,
ma è nel 2016 che ha acquisito un senso più compiuto: post-truth,
postverità. La formula descrive la pericolosa tendenza delle democrazie
occidentali a non credere più ai fatti nel dibattito politico, bensì alle
menzogne pronunciate in tono sicuro.
Nel suo libro The post-truth era (L’era della postverità),
Ralph Keyes definisce la menzogna “un’affermazione falsa, fatta in piena
cognizione di causa con l’obiettivo d’ingannare”. Un esempio? La campagna
referendaria per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea sosteneva che
Londra versava all’Ue 350 milioni di sterline alla settimana e che tale denaro
sarebbe potuto essere investito nel servizio sanitario nazionale in caso
d’uscita dall’Unione europea. L’affermazione era chiaramente falsa: non erano
vere né la cifra né la promessa. Ma una volta scritta sugli autobus britannici
a due piani è diventata credibile.
«La verità ha ancora qualche importanza?», si chiedeva la direttrice del Guardian
Katharine Viner a luglio, commentando il risultato del referendum
sulla Brexit nel Regno Unito. La vittoria del sì è stata possibile anche grazie
alle balle raccontate da Boris Johnson, che dell’argomento dei 350 milioni di
sterline a settimana «rubate» da Bruxelles alla sanità nazionale ha fatto la
sua bandiera. Una panzana ma c’è chi ci ha creduto, nonostante i giornali
avessero provato a smentirla. Oggi è chiaro, ma troppo tardi.
Ora il testimone della post-truth è passato a Donald Trump, e questa
tendenza si intravede già nei primi dibattiti per le elezioni presidenziali
francesi.
Siamo in piena epoca «post-truth», di post-verità. «I fatti non funzionano», non fanno guadagnare voti, ha detto Arron Banks, multimilionario co-fondatore della campagna per il Leave. E la domanda di Katharine Viner vale oggi anche altrove, per esempio in America, dove Donald Trump nel duello con Hillary Clinton colleziona bufale senza perdere voti, anzi, guadagnandone. «La campagna per il Remain ha prodotto fatti, fatti, fatti, fatti. Ma non funziona. Devi connetterti con la gente dal punto di vista emotivo. Sta qui il successo di Trump», ha aggiunto Banks.
Non importa quindi quante sciocchezze abbia detto Trump nel primo grande dibattito con Hillary. Del resto ne aveva già dette a iosa. Il blog di fact-checking del Washington Post le ha messe in fila: da Obama che non è nato negli Stati Uniti ai 4 milioni di dollari spesi per nascondere l’evidenza della sua nascita avvenuta altrove, all’invenzione delle «migliaia» di musulmani nel New Jersey che hanno celebrato gli attacchi dell’Undici Settembre. L’ultima menzogna di Trump è stata smascherata da Politifact, che ha dimostrato che il candidato repubblicano non si è affatto opposto all’invasione dell’Iraq come ha sostenuto più volte. Tre mesi prima della guerra si era detto favorevole all’idea, per poi prenderne le distanze nel 2004 quando sono cominciati i problemi. Ma poco importa. Trump continua a dire quel che gli fa comodo, o che piace al suo elettorato, senza preoccuparsi della verità e neppure dei fatti.
Siamo in piena epoca «post-truth», di post-verità. «I fatti non funzionano», non fanno guadagnare voti, ha detto Arron Banks, multimilionario co-fondatore della campagna per il Leave. E la domanda di Katharine Viner vale oggi anche altrove, per esempio in America, dove Donald Trump nel duello con Hillary Clinton colleziona bufale senza perdere voti, anzi, guadagnandone. «La campagna per il Remain ha prodotto fatti, fatti, fatti, fatti. Ma non funziona. Devi connetterti con la gente dal punto di vista emotivo. Sta qui il successo di Trump», ha aggiunto Banks.
Non importa quindi quante sciocchezze abbia detto Trump nel primo grande dibattito con Hillary. Del resto ne aveva già dette a iosa. Il blog di fact-checking del Washington Post le ha messe in fila: da Obama che non è nato negli Stati Uniti ai 4 milioni di dollari spesi per nascondere l’evidenza della sua nascita avvenuta altrove, all’invenzione delle «migliaia» di musulmani nel New Jersey che hanno celebrato gli attacchi dell’Undici Settembre. L’ultima menzogna di Trump è stata smascherata da Politifact, che ha dimostrato che il candidato repubblicano non si è affatto opposto all’invasione dell’Iraq come ha sostenuto più volte. Tre mesi prima della guerra si era detto favorevole all’idea, per poi prenderne le distanze nel 2004 quando sono cominciati i problemi. Ma poco importa. Trump continua a dire quel che gli fa comodo, o che piace al suo elettorato, senza preoccuparsi della verità e neppure dei fatti.
Nel caso di Trump la cosa più stupefacente è che un paese moralista come
gli Stati Uniti ha spesso considerato la menzogna una cosa più grave dei fatti
che si volevano nascondere. Sono stati la bugia e lo spergiuro, più che il
furto con scasso, a portare all’impeachment di Richard Nixon dopo lo scandalo
Watergate. Gli esperti di fact-checking (verifica dei fatti) hanno
dimostrato che più di due terzi delle affermazioni di Trump nell’ultimo anno
sono false, ma la sua credibilità non ne risente. Al contrario, all’indomani
del suo viaggio in Messico in cui non ha osato dire al presidente messicano che
gli avrebbe inviato la fattura del famoso muro che intende costruire lungo la
frontiera – per poi ripetere ai suoi elettori che “saranno i messicani a
pagare” – ha superato Hillary Clinton in alcuni sondaggi (anche se la sua
vittoria appare ancora improbabile).
Ralph Keyes, nel suo libro L’era della post-verità, definisce la menzogna come «un’affermazione falsa, fatta in piena cognizione di causa con l’obiettivo d’ingannare». Trump è uno che mente sapendo di mentire, ma non è l’unico. Pensate a quelli che in Italia danno del Pinochet a Renzi (citofonare Di Maio) o a quelli che danno la colpa dei mali dell’Italia all’euro, ai migranti e alla Boldrini (ri-citofonare Salvini), o ai ticinesi che hanno votato al referendum per cacciare i frontalieri della Padania che «rubano il lavoro a noi svizzeri» (peccato che la disoccupazione nel Cantone non superi il 3%). O a chi smercia teorie complottiste non suffragate dai fatti (dalle scie chimiche all’Undici Settembre come inside job).
«La post-truth», commenta il politologo Colin Crouch, autore di Postdemocrazia (Laterza), «fa parte di una retorica politica che mostra disprezzo per l’evidenza e gli appelli alla ragione. Sono gli esperti che hanno un ruolo privilegiato nell’uso dell’evidenza e della ragione, e questo disprezzo nei loro confronti contribuisce a un populismo più generale, secondo cui solo il popolo ha la capacità di prendere decisioni. Abbiamo visto quest’approccio in Inghilterra: chi tifava Brexit ha espresso disprezzo per gli argomenti degli esperti perché, dicevano, gli esperti si sbagliano sempre». Ciò significa che «la politica è una questione di pancia e non di cervello. Non a caso chi fa uso della post-truth, come Trump e i fautori della Brexit, finisce per essere protagonista della xenofobia e di una politica dell’odio contro gli stranieri e le minoranze. Questa è una politica delle emozioni». Non c’è spazio per gli approcci razionali.
Ralph Keyes, nel suo libro L’era della post-verità, definisce la menzogna come «un’affermazione falsa, fatta in piena cognizione di causa con l’obiettivo d’ingannare». Trump è uno che mente sapendo di mentire, ma non è l’unico. Pensate a quelli che in Italia danno del Pinochet a Renzi (citofonare Di Maio) o a quelli che danno la colpa dei mali dell’Italia all’euro, ai migranti e alla Boldrini (ri-citofonare Salvini), o ai ticinesi che hanno votato al referendum per cacciare i frontalieri della Padania che «rubano il lavoro a noi svizzeri» (peccato che la disoccupazione nel Cantone non superi il 3%). O a chi smercia teorie complottiste non suffragate dai fatti (dalle scie chimiche all’Undici Settembre come inside job).
«La post-truth», commenta il politologo Colin Crouch, autore di Postdemocrazia (Laterza), «fa parte di una retorica politica che mostra disprezzo per l’evidenza e gli appelli alla ragione. Sono gli esperti che hanno un ruolo privilegiato nell’uso dell’evidenza e della ragione, e questo disprezzo nei loro confronti contribuisce a un populismo più generale, secondo cui solo il popolo ha la capacità di prendere decisioni. Abbiamo visto quest’approccio in Inghilterra: chi tifava Brexit ha espresso disprezzo per gli argomenti degli esperti perché, dicevano, gli esperti si sbagliano sempre». Ciò significa che «la politica è una questione di pancia e non di cervello. Non a caso chi fa uso della post-truth, come Trump e i fautori della Brexit, finisce per essere protagonista della xenofobia e di una politica dell’odio contro gli stranieri e le minoranze. Questa è una politica delle emozioni». Non c’è spazio per gli approcci razionali.
In paesi dove i mezzi d’informazione sono molto sviluppati, come gli Stati
Uniti e il Regno Unito, il diffondersi delle post-verità dimostra soprattutto
l’insofferenza dell’elettorato nei confronti delle élite.
Non si vota per la Brexit o per Trump perché dicono la verità, ma perché
incarnano, a torto o a ragione, un rifiuto del “sistema”. E i social network,
grazie all’ambivalenza della tecnologia che fa gli interessi di chi la sa usare
meglio, sono il campo di battaglia preferito di chi si crede poco rappresentato
dai mezzi d’informazione tradizionali.
Dobbiamo accettare «che gli esperti non siano sempre imparziali,
e che possano sbagliare. Ma accettare la loro fallibilità non significa rifiutare
il concetto della verità. La politica non è una zona totalmente
scientifica. È il luogo dove mettiamo da una parte i nostri valori, le nostre
emozioni, anche i nostri pregiudizi, e dall’altra la sapienza, cercando un
compromesso. Il rifiuto della ricerca della sapienza è qualcosa di totalmente diverso».
Le cause del successo della post-verità? «Stanno in un mondo globalizzato sempre più fuori controllo: nel 2008 abbiamo assistito al tradimento della “gente normale” da parte dell’élite bancaria. In questa confusione, molti trovano rassicurante un messaggio semplice, emozionale, che indica bersagli facili tra gli stranieri, i migranti e i profughi». E’ Il trionfo del trumpismo?
Le cause del successo della post-verità? «Stanno in un mondo globalizzato sempre più fuori controllo: nel 2008 abbiamo assistito al tradimento della “gente normale” da parte dell’élite bancaria. In questa confusione, molti trovano rassicurante un messaggio semplice, emozionale, che indica bersagli facili tra gli stranieri, i migranti e i profughi». E’ Il trionfo del trumpismo?
Possibile. Ma quel che è certo è che la post-verità è incompatibile
con la democrazia. Se lasceremo che si radichi e si diffonda in maniera
duratura, ne pagheremo tutti il prezzo.
27-9-2016
di
Pierre Haski http://tempsreel.nouvelobs.com/ e www.internazionale.it/
e
David Allegranti www.ilfoglio.it e www.vanityfair.it
approfondimenti:
4 commenti:
Urge una riflessione sul PROBLEMA IN ITALIA (e non solo, ormai) dell'USO STRUMENTALE DELLA CRONACA NERA (e in generale della SOVRAESPOSIZIONE DELLA CRONACA E DELLA CRONACA NERA)
C’è un andamento sociale che riguarda tutto l’Occidente e che – caso raro nella storia, ma non inedito – muove le sue civiltà verso il regresso e non verso il progresso: anzi rivendica spesso il regresso stesso, contesta la competenza, la cultura, l’esperienza, e usa gli strumenti che sono arrivati per superare il gap tradizionale dato da quei caratteri e sostenere che sia meglio il “normale” dell’eccezionale, l’ignoranza della sapienza, l’ingenuità dell’esperienza”.
Il ministro conservatore britannico Michael Gove, uno dei maggiori leader della campagna per “Brexit” ha definitivamente sintetizzato questa tendenza, proclamando senza vergogna che “il popolo britannico è stufo di esperti”. La “cosa che sta succedendo” è che l’ignoranza sta vincendo, presentandosi come tale.
...
Sono tutte analisi molto esatte e interessanti, e altre decine e decine ce ne sono, che dicono quello di cui al punto 1: il loro problema è che si autoconfermano, come suggerisce il titolo e il tema dell’ultima. Non si può sconfiggere la sospensione della ragione e della logica con strumenti di ragione e logica, e se anche io qui scrivessi le cose più intelligenti e definitive di sempre – si fa per dire! -, sarebbe inutile: è come cercare di sconfiggere l’analfabetismo con un libro che insegna a leggere, o spiegare su Twitter come mai non sta funzionando internet.
(Luca sofri - Wittgenstein
link integrativi post 11/9
http://www.economist.com/news/briefing/21706498-dishonesty-politics-nothing-new-manner-which-some-politicians-now-lie-and
http://www.huffingtonpost.it/thomas-m-wells/donald-trump-mi-ha-assunto-come-avvocato-vi-prego-non-appoggiate-la-sua-candidatura-a-presidente_b_12826080.html
http://www.internazionale.it/opinione/adam-shatz/2016/11/11/trump-vittoria-bianchi
http://www.ilpost.it/2016/11/11/trump-ha-vinto-grazie-a-facebook/
http://www.ilpost.it/2016/10/15/il-problema-di-facebook-con-le-notizie-false/
http://www.ilpost.it/2016/11/11/russia-interpol-avversari/
http://www.ilpost.it/2016/06/04/troll-filorussi/
http://www.ilpost.it/2016/09/11/i-pericoli-della-societa-post-fattuale/
http://www.economist.com/news/briefing/21706498-dishonesty-politics-nothing-new-manner-which-some-politicians-now-lie-and
http://www.wittgenstein.it/2016/06/25/cosa-sta-succedendo/
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-04-25/e-bufala-bellezza-183754.shtml?refresh_ce=1
http://guidoromeo.nova100.ilsole24ore.com/2016/11/07/scandalo-mail-clinton/?refresh_ce=1
http://www.vox.com/policy-and-politics/2016/11/4/13500018/clinton-email-scandal-bullshit
http://www.vox.com/policy-and-politics/2016/11/9/13570724/media-obsession-emails
http://www.newyorker.com/news/john-cassidy/what-do-the-brexit-movement-and-donald-trump-have-in-common
http://www.bloomberg.com/politics/articles/2016-06-22/no-one-to-trust-the-anger-that-connects-brexit-trump-le-pen
https://www.washingtonpost.com/world/brexit-vote-sends-a-message-to-politicians-everywhere-it-can-happen-here/2016/06/24/a13ecb76-39d5-11e6-af02-1df55f0c77ff_story.html
Contesto la definizione "opposizione al politicamente corretto": è vero che gli esponenti di questi partiti dicono di essere contrari al politicamente corretto e di "dire le cose come stanno", in realtà semplicemente dicono delle menzogne in maniera politicamente scorretta.
Opponendosi al politicamente corretto si può dire che Trump è un maiale, che gli elettori di Trump o del M5S sono un mix di ignoranti e di falliti incapaci di prendersi le responsabilità dei propri fallimenti ecc., ma queste amare verità sarebbero contestate da quello schieramento.
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