Non è Uber il problema. Ricognizione sulle fake news dei taxi in sciopero
Gli esempi europei per trovare una soluzione e la necessaria modernizzazione che deve intraprendere il settore. L'esempio mytaxi
Taxi fermi e tassisti davanti a Porta Pia, lì
dove i bersaglieri, dopo cinque ore di cannonate dell'artiglieria del
Regno d'Italia, fecero una breccia nelle mura aureliane ed entrarono a
Roma. La stessa "breccia" che Uber ha aperto nell'immobilismo di un
settore fermo ancora a decenni fa. E allora sciopero, quindi o si guida o
si prendono i mezzi pubblici. Ci fossero bike sharing nella Capitale,
si potrebbe anche pensare di pedalare, ma non ci sono. Taxi fermi,
perché "lo stato ci deve tutelare, deve escludere Uber dall'Italia, ci
stanno rovinando". E poi, "non si può andare avanti così, c'è chi ha la
licenza e chi si inventa diavolerie tecnologiche per non averla". E
ancora, "ma quale regolamentazione, Uber deve essere illegale come del
resto è in tutta Europa". E infine, "l'Europa ha bandito Uber, ora lo
faccia anche l'Italia". Interviste andate in onda nelle tv,
dichiarazioni scandite a favor di telecamera, acredine e risentimento,
qualche volta magari giustificato da straordinari quotidiani "pe' tirà a
campà". Ma è davvero così tragica la situazione? Uber è davvero la
sanguisuga di un'intero settore?
No. O almeno ci sono delle grosse inesattezze nelle versione dei tassisti in piazza a Roma.
La prima, e più grossa, è che Uber non è illegale in tutta Europa,
anzi in quasi tutta Europa opera e lo fa a tal punto che molti paesi
stanno cercando di trovare soluzioni per adeguare le normative alle
nuove esigenze del mercato. E così le auto della società che offre
servizio di trasporto automobilistico privato tramite app percorrono
liberamente le strade della quasi totalità degli stati del Vecchio
continente ad eccezione di Danimarca, Bulgaria, Ungheria. Stati nei
quali non è stata messa al bando, ma ha deciso di andarsene per le
regolamentazioni non favorevoli introdotte. Paesi che sono antitesi di
quanto accaduto in Estonia e Finlandia. Lì il governo ha approvato una
legge che permettesse a taxi e disruptor di convivere. A Tallinn e dintorni le nuove regole mettono
autisti privati e tassisti su uno stesso piano giuridico con comuni
processi di controllo di licenze e di qualità del servizio. Allo stesso
modo si è comportato l'esecutivo finlandese, che ha deregolamentato il
mercato, eliminando le tariffe bloccate e il limite territoriale di
licenza, creando una autority statale che controlla l'effettiva libera
concorrenza, per evitare la formazione di accordi che vadano a discapito
dei consumatori.
C'è inoltre chi sta affrontando il problema, superando inutili
barricate tra categorie di lavoratori per garantire ai cittadini il
miglior servizio possibile.
In Croazia ad esempio è in discussione una nuova legge che liberalizza il settore dei taxi,
abolendo la limitazione del numero di licenze e i regolamenti delle
autonomie locali che definiscono le tariffe. Insomma apertura al libero
mercato anche nel settore del trasporto privato di persone. Anche in
Portogallo il governo sta discutendo una legge per la regolamentazione
di quei servizi legati alla sharing economy dei trasporti. Il tentativo è
quello di colmare la lacuna legislativa in materia, agevolando
l'ingresso di altri soggetti privati nel mercato del settore del
trasporto automobilistico.
Uber e soci insomma non sono mostri cattivi da combattere,
rappresentano un'evoluzione tecnologica, almeno per fruizione, al
tradizionale trasporto automobilistico privato, con la quale prima o poi
il settore taxi dovrà abituarsi a convivere. Il sistema sinora
utilizzato, ossia chiamo il centralino oppure esco in strada e vado alla
piazzola di sosta più vicina, sinora ha retto, anche se con qualche
crepa e molti problemi, ma ora, con l'utilizzo di massa degli smartphone
e di app che permettono di superare i vecchi limiti di gestione del
trasporto, è entrato in crisi e continuerà a essere sempre più
inadeguato ai cambiamenti di abitudini dei consumatori.
Perché chiamare un centralino quando posso prenotare una corsa con un
clic? Perché andare in una piazzola di sosta senza sapere se troverò
un'auto? Perché salire su un mezzo senza sapere quanto mi costerà la
corsa se posso avere un preventivo inserendo indirizzo di partenza e
arrivo?
Uber e soci rappresentano una risposta a un'esigenza e scendere in
piazza per chiedere che questa risposta sia eliminata per mantenere lo
status quo non solo è sbagliata, ma è antievolutiva. L'unica via di fuga
per i taxi per non essere sopraffatti dal mercato è adeguarsi
al mercato, modernizzando il servizio.
Tremila
tassisti tra Roma, Milano e Torino hanno già capito che non è facendo
barricate, ma sfruttando le risorse che la tecnologia può offrire, che
potranno sopravvivere ai cambiamenti. Mytaxi è una applicazione nata nel
2009 in Germania per superare l'esigenza di avere un numero dedicato in
ogni città. Garantisce un servizio tramite smartphone che permette ai
consumatori di prenotare con facilità una corsa anche all'estero, nei
paesi nei quali il servizio è attivo.
Taxi con normale licenza che garantiscono corse gestite da un applicazione del tutto simile a quello che offre Uber.
"Quello che piace agli utenti è prima di tutto che possono pagare
anche con la carta di credito", dice al Foglio Barbara Covili, general
manager di mytaxi italia, "ma non è il solo vantaggio. La seconda
attrattiva è quella dell'assoluta trasparenza del servizio: si può
vedere tutto, il nome del tassista, la targa della macchina, il percorso
fatto per raggiungere il cliente e il percorso fatto per raggiungere la
meta. E questo, oltre al fatto dell'invio automatico della fattura via
mail ha permesso di riavvicinare gli utenti alla categoria dei
tassisiti". Un adeguamento ai tempi che cambiano, un modo soprattutto
per evitare spiacevoli inconvenienti, quelli che per il 58,2 per cento
degli intervistati in un sondaggio del 2016 dell'Istituto Piepoli,
rappresentano un grosso deterrente all'utilizzo dei taxi.
Un sistema, quello di mytaxi, che ha indubbi meriti, che è in
espansione – da nemmeno due mesi è attivo a Torino – ma che ancora si
scontra con una certa immobilità del sistema. Ma che difficilmente potrà
diventare maggioritario se continueranno a esserci le limitazioni
odierne. "Il problema", sostiene Covilli, "rimane quello della clausula
di esclusiva che le cooperative di tassisti in Italia chiedono agli
autisti, che impedisce ai tassisti di avere a bordo dell'autovettura più
sistemi".
Risulta sempre più necessaria una riforma che modernizzi il settore.
Anche perché in gioco c'è la sussistenza dello stesso. E non a causa di
Uber. Gli autisti della società nata nella Silicon Valley infatti sono
una sparuta minoranza – appena un migliaio – rispetto al numero di
licenze in Italia, che, almeno secondo l'ultima ricerca organica realizzata in Italia da Chiara Bentivogli per la Banca d’Italia nel 2008,
sarebbero 20.000 in tutto il territorio nazionale. Inoltre Uber è
attivo solo in due città, Roma e Milano, un po' troppo poco per
considerarlo un reale problema.
Le proteste dovrebbero essere indirizzate verso le cooperative che
hanno tenuto bloccato un settore che ha bisogno di un ammodernamento,
che ha bisogno di competizione, non di ulteriori chiusure. Gli esempi
virtuosi in Europa (e anche in Italia) ci sono, ora serve la volontà di
prendere spunto e superare l'impasse.
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