Dieci bufale sui migranti a
cui i populisti vogliono farvi credere
“Portano le malattie, non scappano dalla guerra, sono
trattati meglio degli italiani”. Ecco i falsi miti sull'immigrazione, smontati
una per una
12 Set. 2017
“Portano le malattie, non è vero che scappano dalla guerra, vengono trattati
meglio degli italiani, ci rubano il lavoro”. Ecco alcuni delle bufale
più diffuse sui migranti che non fanno altro che alimentare la
xenofobia, sia quella palese che quella strisciante. “Non sono razzista, ma…”,
è la frase che nel migliore dei casi accompagna queste credenze, ormai entrate
nell’immaginario collettivo.
I social network sono il luogo per eccellenza in cui questi falsi miti non
solo si creano, ma si propagano a macchia d’olio, condivisione dopo
condivisione. E si sa, un titolone a effetto e la conseguente valanga di click,
che fanno girare la macchina della pubblicità, sono specchietti per le allodole
che in questo periodo storico stanno vivendo l’età dell’oro.
Medici senza frontiere ha raccolto le bufale più diffuse, le mezze verità e gli
slogan populisti sull’immigrazione, provandoli a smentire e a contestualizzare.
1. Lo Stato mette gli immigrati negli hotel di lusso e non si interessa degli italiani che soffrono
Nei mesi scorsi si è spesso polemizzato contro i contributi per i migranti, in particolare dopo il terremoto nel centro Italia. Il
populismo di certi politici ha cavalcato l’onda di un’indignazione che ha
trovato la sua massima manifestazione nella frase: “Non è giusto che in Italia
ci siano tanti disoccupati mentre ai profughi vengono dati 40 euro al giorno
senza che facciano nulla” .
Nella maggior parte dei casi le notizie di queste accoglienze dei richiedenti
asilo in hotel a quattro stelle sono bufale montate ad arte, riprese e
ricondivise sui social network senza alcuna cognizione di causa.
In Italia le strutture di accoglienza sono articolate in centri di primo
soccorso e accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda), centri di
accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed
espulsione (Cie). E poi ci sono i centri di seconda accoglienza destinata ai
richiedenti e ai titolari di protezione internazionale come gli Sprar.
L’accoglienza in strutture ricettive come gli alberghi è gestita
direttamente dal ministero degli Interni, attraverso una serie di rigidi bandi.
Il costo medio per l’accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato in Italia
è di 35-40 euro al giorno, che non vengono dati direttamente ai migranti ma
alle strutture di accoglienza, tranne due euro circa di diaria giornaliera, il
cosiddetto pocket money.
Questi soldi servono a coprire le spese per il vitto, l’alloggio, l’affitto
e la pulizia dello stabile, gli stipendi dei lavoratori e altri progetti
collaterali. Molti migranti non ricevono accoglienza e finiscono per alimentare
la popolazione dei tanti insediamenti informali nati in tutta Italia, dove si
vive ai margini della società. Sono almeno 10mila, secondo Medici senza
frontiere i rifugiati (Msf) e i richiedenti asilo che vivono in condizioni
degradanti.
2. I migranti portano le malattie
“Nel corso di oltre dieci anni di attività mediche in Italia, Msf non ha
memoria di un solo caso in cui la presenza di immigrati sul territorio sia
stata causa di un’emergenza di salute pubblica”, scrive la Ong. Spesso,
associate all’arrivo dei migranti, vengono citate malattie come tubercolosi,
ebola e scabbia.
La tubercolosi è presente in Italia da decenni, non ha a che fare con i
flussi migratori. Per quanto riguarda l’epidemia dell’ebola, anche in questo
caso non c’entra con i migranti.
“Sono almeno 5.000 i chilometri da percorrere per arrivare alle coste del
Nord Africa dai paesi dove si manifesta il virus ebola ed è impensabile
percorrerli per via terrestre in meno dei 21 giorni che rappresentano il
periodo d’incubazione della malattia”, scrive ancora Msf. “Il virus Ebola è
molto letale e nella maggior parte dei casi provoca malattia sintomatica e poi
morte nell’arco di pochi giorni dall’infezione”.
La scabbia è una malattia della pelle ed è più facile contrarla in
condizioni igieniche scarse. Si diffonde con contatti ravvicinati. Questa
malattia è in Italia da sempre e il trattamento per curarla è semplicissimo,
basta una pomata.
Non è vero che dopo lo sbarco sulle coste italiane, i migranti non subiscono
alcun controllo sanitario. Il ministero dell’Interno e il ministero della
Salute attuano procedure di screening sanitario.
Le condizioni precarie in cui vivono i migranti dopo il loro arrivo in
Italia contribuiscono a esporli a diverse malattie, e il fatto di vivere ai
margini della società rende loro più difficile accedere a cure mediche.
In relazione ai casi di meningite in Toscana è intervenuto Roberto Burioni,
professore ordinario di microbiologia e virologia al San Raffaele di Milano.
“Una delle bugie che più mi infastidiscono è quella secondo la quale gli
attuali casi di meningite sarebbero dovuti all’afflusso di migranti dal
continente africano”, scrive sulla sua pagina Facebook Burioni. “In Europa i
tipi predominanti di meningococco sono B e C, ed in particolare i recenti casi
di cui si è occupata la cronaca sono stati dovuti al meningococco di tipo C; al
contrario, in Africa i tipi di meningococco più diffusi sono A, W-135 ed X. Per
cui è impossibile che gli immigrati abbiano qualcosa a che fare con l’aumento
di meningiti in Toscana. Per cui chi racconta queste bugie è certamente un
somaro ignorante”.
3. Aiutiamoli a casa loro
Questa obiezione sembra facile a dirsi, e anche condivisibile per certi
versi dal momento che sarebbe un mondo ideale quello in cui nessuno fosse
costretto a lasciare la sua terra. Ma è del tutto fuori dalla realtà attuale.
La guerra in Siria, paese dal quale proviene una consistente quota di migranti,
è iniziata nel 2011 e non accenna a smettere, nonostante sforzi diplomatici,
più o meno efficaci.
“L’Unione Europea, invece di estendere la protezione e l’assistenza a chi ne
ha più bisogno, sta concentrando la sua attenzione sulla deterrenza, l’esternalizzazione
dei controlli di frontiera e il respingimento verso i paesi di origine o
terzi”, scrive Medici senza frontiere. “Questo approccio inumano non impedirà
alle persone di raggiungere l’Europa, ma aumenterà soltanto le reti di
trafficanti, mettendo ancora più a rischio la vita di chi fugge. Il solo modo
per far fronte a questa crisi umanitaria è garantire vie legali e sicure per
raggiungere l’Europa, favorendo l’accesso al diritto di asilo e alle misure di
ricongiungimento familiare, e allo stesso tempo migliorando le condizioni di
accoglienza”.
È impensabile risolvere da un giorno all’altro le crisi decennali in corso
in Africa o in Asia e bloccare il flusso migratorio che si muove da quelle
terre, spinto dalla forza inarrestabile della disperazione. Ancora una volta si
tratta di propaganda populista che niente a che fare con la realtà geopolitica
attuale.
4. Sono troppi quelli che arrivano in Italia, è una vera invasione
Non è vero. Non c’è alcuna emergenza né catastrofe in corso. Le statistiche ufficiali dicono che la maggior parte delle
persone in fuga si sposta verso i paesi limitrofi al proprio. Il numero di
siriani rifugiati in Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto ha superato i 5
milioni dall’inizio del conflitto in Siria nel 2011. A rivelarlo sono i dati
diffusi dall’agenzia per i rifugiati della Nazioni Unite, l’Unhcr.
Degli oltre 65 milioni di persone nel mondo costrette alla fuga nel 2015,
ben l’86 per cento resta nelle regioni più povere del pianeta. Il 39 per cento
si trova in Medio Oriente e Nord Africa, il 29 per cento in Africa, il 14 per
cento in Asia e Pacifico, il 12 per cento nelle Americhe, solo il 6 per cento in
Europa.
Il numero dei rifugiati che sono ospitati nei paesi europei è pari a 1,8
milioni, mentre i richiedenti asilo sono circa 1 milione. In Italia si trovano
118mila rifugiati e 60mila richiedenti asilo. A livello globale, i paesi che
ospitano il maggior numero di rifugiati sono nell’ordine la Turchia (2,5
milioni), il Pakistan (1,6 milioni) e il Libano (1,1, milioni). I dati non
giustificano in alcun modo l’allarmismo
5. Hanno lo smartphone, non stanno poi così male
“Quelle persone che fuggono dalla guerra non sono povere. Guarda, hanno
tutti gli smartphone!”. Questa è la denuncia che ciclicamente ribolle sui social network. Possedere un telefono
cellulare, a quanto pare, dovrebbe togliere a una persona il diritto di asilo
politico e costringerla a morire, insieme alla famiglia, in guerra. Perché
dovremmo essere sorpresi che queste persone, provenienti in larga parte dalla
Siria, possiedano gli smartphone?
La Siria non è un paese ricco ma non è nemmeno un paese povero. Secondo il
report della World Bank si classifica come paese a “reddito medio-basso”. È
difficile pensare a una cosa più utile di uno smartphone se si sta fuggendo di
casa per raggiungere una meta sconosciuta e lontanissima.
Anche perché oggi si può acquistare uno smartphone – dotato di telecamera,
fotocamera e collegamento a internet – per meno di 100 dollari. Il succo del
discorso è che chiunque, “persino” un rifugiato siriano, può permettersi di
possedere uno smartphone. Quindi non c’è da motivo per essere sorpresi nel
guardare quelle foto che ritraggono migranti alle prese con i loro cellulari.
6. Rubano il lavoro agli italiani
Davvero gli italiani sarebbero disposti a lavorare alle condizioni degradanti
dei braccianti stranieri nei campi agricoli del sud Italia? Già questo
servirebbe per porre fine al discorso. Eppure c’è dell’altro.
Un recente rapporto del Centro Studi di Confindustria ha evidenziato gli
effetti positivi dell’immigrazione sul mercato del lavoro italiano: al crescere
dell’occupazione straniera, cresce anche l’occupazione italiana, sia
nell’industria sia nelle costruzioni.
Nei settori dell’agricoltura e dei servizi, gli immigrati spesso svolgono
mansioni che gli italiani non sarebbero comunque disponibili a svolgere, al
punto che molte attività agricole devono la loro sopravvivenza alla
disponibilità di manodopera straniera. I dati più recenti del ministero del
Lavoro evidenziano come tra i lavoratori stranieri sia maggiore lo squilibrio tra
livello d’istruzione e impiego svolto: solo l’1,3 per cento dei lavoratori
italiani con laurea svolge un lavoro manuale non qualificato, mentre questa
percentuale si alza all’8,4 per cento nel caso dei lavoratori extra-comunitari.
Anche la finanza pubblica gode per la presenza di lavoratori immigrati, che
rappresentano una ricchezza secondo quanto rilevato dall’Inps. Ogni anno gli
immigrati versano 8 miliardi di euro di contributi sociali, e ne ricevono tre
in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa
5 miliardi.
Secondo i calcoli dell’Istituto, gli immigrati hanno finora “donato” al
nostro paese circa un punto di Pil di contributi sociali, spiega Medici senza
Frontiere. Il tasto dolente rimane lo sfruttamento dei braccianti stranieri
nelle regioni del Sud Italia, per i quali niente è stato fatto, come denuncia
Medici senza frontiere, secondo cui i migranti sono costretti a subire
condizioni degradanti rispetto agli italiani per la loro situazione
estremamente precaria che li rende ricattabili.
7. Non è vero che scappano dalla guerra
Non vi è una divisione in compartimenti stagni tra i motivi che spingono un
uomo e una donna a fuggire dai loro paesi. I motivi sono diversi e spesso
correlati tra loro: guerre (Siria, Iraq, Nigeria, Afghanistan, Sud Sudan,
Yemen, Somalia), instabilità politica e militare (Mali), regimi oppressivi
(Eritrea, Gambia), violenze (lago Chad), povertà estrema (Senegal, Costa
d’Avorio, Tunisia), crisi umanitarie (Nigeria, Camerun, Niger e Ciad).
Le guerre portano con sé mancanza di cibo adeguato, acqua potabile,
strutture sanitarie e servizi di prima necessità, e le crisi spesso si
allargano anche a paesi limitrofi, non strettamente legati ai conflitti in
corso.
La situazione non è tanto diversa in Sud Sudan, con oltre un milione di
persone sfollate e centinaia di migliaia scappate oltre confine, per fuggire a
scontri a fuoco, saccheggi, devastazioni, violenze e soprusi di ogni tipo.
8. Tra i migranti si nascondono i terroristi
La maggior parte dei lupi solitari che hanno commesso attentati in Europa
erano stranieri di seconda generazione, a tutti gli effetti cittadini europei,
radicalizzati online.
Certamente episodi di terrorismo hanno interessato anche richiedenti asilo,
ma non si tratta di numeri che giustificano neanche lontanamente la frase:
“Sono tutti terroristi”.
La maggior parte dei migranti sono persone vulnerabili che fuggono da guerre
e violenza. Anzi, in relazione al terrorismo è vero il contrario: chi arriva in
Italia nella maggior parte dei casi non è un terrorista, ma vittima del
terrorismo. “In molte circostanze, sono persone che sono state costrette ad
abbandonare le loro case da quegli stessi gruppi terroristici a cui
erroneamente intendiamo associarli”, spiega Msf.
9. Sono criminali, le carceri sono piene di immigrati
Numerosi studi internazionali hanno evidenziato l’inesistenza di una
corrispondenza diretta tra l’aumento della popolazione immigrata e l’incremento
del numero di denunce per reati.
É vero che sono molti i detenuti stranieri nelle carceri italiane (il 34%
dei reclusi, al 30 settembre 2016), ma ciò è dovuto a una serie di fattori
precisi. In particolare, a parità di reato gli stranieri sono sottoposti a
misure di carcerazione preventiva molto più spesso degli italiani, che ottengono
invece con maggiore facilità gli arresti domiciliari (o misure cautelari
alternative alla detenzione, una volta emessa la condanna).
La stessa azione di repressione opera con più frequenza nei confronti degli
stranieri, che con maggiore facilità sono sottoposti a fermi e controlli di
routine da parte dalle forze di polizia.
Uno studio dell’American Economic Review, condotto da Paolo Pinotti
dell’Università Bocconi di Milano, ha
mostrato che la legalizzazione degli immigrati riduce il crimine.
Analizzando il tasso di criminalità di oltre 100mila stranieri prima e dopo il
decreto flussi del 2007, si nota che l’incidenza si dimezza l’anno successivo,
per chi è stato accettato e messo in regola, mentre resta invariata fra chi è
rimasto “irregolare”. La regolarizzazione allontana subito dalla delinquenza,
in particolare per i reati economici.
10. Sono tutti uomini, forti e muscolosi
Non si capisce perché, secondo la propaganda populista, il fatto che i
migranti siano spesso uomini giovani e forti basti a non far godere loro del
diritto di chiedere accoglienza. La maggioranza delle persone che arrivano in
Europa è rappresentata da giovani uomini perché hanno una condizione fisica
migliore per poter affrontare un viaggio così duro, che spesso conduce alla
morte.
Tuttavia, il numero di famiglie, donne e minori non accompagnati è in
aumento. Nel 2015, secondo l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati (Unhcr), di circa un milione di persone arrivate in Grecia, in Italia
o Spagna via mare, il 17 per cento è costituito da donne e il 25 per cento da
bambini.
- aggiornamenti:
L’attenzione mediatica di questi giorni (e di questa campagna elettorale) è quasi completamente assorbita dal tema dell’immigrazione.
(https://www.tpi.it/)
- aggiornamenti:
Cosa dicono davvero i dati sui reati degli immigrati in Italia
Nonostante i dati li smentiscano, gli italiani restano uno tra i popoli più spaventati dagli stranieri in Europa. Ecco alcune cause di questo fenomeno
07 Feb. 2018
L’attenzione mediatica di questi giorni (e di questa campagna elettorale) è quasi completamente assorbita dal tema dell’immigrazione.
Il 4 febbraio
2018 Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, ha dichiarato che i “600mila
immigrati clandestini sono una bomba sociale pronta a esplodere, perché vivono
di espedienti e di reati”.
Tra chi propone
la regolarizzazione di tutti e chi invita a correre ai ripari per i rischi alla
sicurezza, i politici italiani hanno certamente centrato un nervo scoperto
nell’opinione pubblica.
Secondo il Rapporto
dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza del 2017, infatti, in Italia
“lo straniero è considerato, da una componente significativa di cittadini, come
un pericolo per la sicurezza individuale e una minaccia per l’occupazione.”
Si tratta di un timore in continua crescita: il 39 per cento degli intervistati
vede nell’immigrato un’insidia per l’ordine pubblico e la sicurezza delle
persone, il 36 per cento una minaccia per l’occupazione. Entrambi gli indicatori
sono cresciuti di circa 5 punti rispetto al 2016, raggiungendo i valori più
alti dal 2007.
Questi risultati
rivelano una convinzione di fondo, l’idea cioè che gli stranieri delinquano
perché antropologicamente portati a farlo, come se la criminalità risiedesse in
un gene, o in una tradizione culturale.
Ma è davvero
così? Dati alla mano, la risposta è una sola e molto chiara: no. Ecco perché.
Ragioniamo per
assurdo: se esistesse una vera correlazione tra immigrazione e criminalità,
all’aumentata presenza di stranieri nel nostro territorio (dai 4 milioni del
2011 ai di 5 milioni del 2017) sarebbe dovuto conseguire un parallelo aumento
dei crimini commessi.
Secondo quanto
evidenziato in
questo fact-checking di Agi, invece, i delitti denunciati alle autorità nel
2015 sono circa 250mila in meno rispetto a quelli denunciati nel 2007, prima
che iniziasse la cosiddetta “emergenza migranti”.
Il numero di
reati noti è calato con l’aumento degli stranieri in Italia: non c’è quindi
alcuna automatica correlazione.
Da cosa deriva
questa percezione sbagliata? Sono numerosi i fattori inquinanti che
contribuiscono a creare una rappresentazione fallace del fenomeno. Ecco quali
sono.
I reati visibili
Una prima
distinzione va compiuta sul piano della tipologia di reati compiuti.
Come riportato
in questo rapporto
dell’ISTAT “gli stranieri sono imputati principalmente per furto,
violazione delle norme sugli stupefacenti e lesioni, cioè per reati che
impattano maggiormente sulla percezione della criminalità”.
Non si tratta
dei reati più diffusi, né di quelli considerati più gravi dal codice penale, ma
di crimini che per la loro dimensione quotidiana hanno un effetto più diretto
sui cittadini.
I dati sugli stupri
Il reato forse
più spesso attribuito agli stranieri è lo stupro, grazie a dati a tutti gli
effetti impressionanti: il 37 per cento degli stupri denunciati è stato
compiuto da uno straniero.
Esperti di ogni
bandiera sottolineano tuttavia che le violenze sessuali denunciate sono solo
una piccola parte di quelle compiute, e soprattutto per questo tipo di reato i
due tipi dati non sono interscambiabili.
“Ricordiamoci che una donna che subisce violenza 8 volte su 10 non chiede
aiuto, secondo l’Istat”, ha spiegato a TPI Anna Costanza
Baldry, psicologa e criminologa dell’università degli Studi della Campania
Luigi Vanvitelli.
Numerosi casi di
violenza avvengono infatti in famiglia, ad opera del partner o di una persona
conosciuta, cosa che tende a far crescere nella vittima il timore di
denunciare.
Il fenomeno è
quindi tanto più sommerso quanto più l’autore dello stesso è vicino alla
vittima: si ipotizza quindi che, nella maggior parte dei casi, le violenze non
denunciate in Italia siano perpetrate da italiani.
Gli stranieri in carcere
Un altro dei
dati più invocati per mostrare l’alto tasso di criminalità tra gli stranieri è
quello sulla popolazione carceraria. A fine 2016, il 34 per cento dei
detenuti nelle carceri italiane era di nazionalità straniera.
Una realtà
certamente impressionante, specialmente dal momento che gli stranieri
costituiscono poco più dell’8 per cento della popolazione residente in Italia.
Questo può
facilmente portare alla (errata) deduzione che gli immigrati delinquano
maggiormente.
Il dato è però
inficiato dal fatto che la maggior parte degli imputati stranieri, specie se
irregolari, non ha la possibilità di permettersi un avvocato diverso da quello
d’ufficio, cosa che risulta in un minore accesso alle misure alternative alla
detenzione.
In pochi tra i
detenuti stranieri devono scontare condanne definitive: molti si trovano in
carcere per una misura preventiva, non potendo accedere alle misure alternative
per mancanza di una solida difesa o di alcuni requisiti (per gli arresti
domiciliari, ad esempio, serve una casa).
Un altro fattore
che inquina la veridicità del dato riguarda la sovrapposizione di varie
categorie: tanto tra gli italiani quanto tra gli stranieri si registrano
maggiori tassi di criminalità tra i giovani e tra le fasce sociali più povere.
Dal momento che
la popolazione straniera che si trova in Italia è mediamente molto più giovane
e più povera di quella italiana, il maggior tasso di criminalità si spiega
spesso non tanto con la provenienza quanto con l’appartenenza ad una di queste
categorie.
Infine e
soprattutto occorre distinguere tra stranieri regolari e irregolari: tra gli
immigrati regolari il numero di detenuti è infatti in proporzione uguale a
quello degli italiani (meno del cinque per cento della popolazione).
Il reato di clandestinità
È proprio questo
il fattore che più di tutti incide sul tasso di criminalità.
Per via di
questa fattispecie, introdotta dalla legge Bossi-Fini del 2002, commette reato
chiunque entri nel territorio italiano se privo di un incarico di lavoro e dei
requisiti per chiedere diritto d’asilo o protezione umanitaria.
Si tratta per la
maggiora parte dei cosiddetti “migranti economici”, ma anche di chi, in fuga da
una persecuzione, non riesca a dimostrarlo davanti alle commissioni
territoriali.
In quanto
irregolari, questi migranti sono come spettri per lo stato italiano: quelli che
riescono a sfuggire dall’espulsione non possono trovare un lavoro, né accedere
alle cure (se non quelle emergenziali) e agli altri servizi statali.
L’unico modo per
guadagnarsi da vivere rimanendo in Italia è quindi passando per vie illegali,
lavorando in nero, rimanendo spesso invischiati nelle maglie della criminalità
organizzata e dello sfruttamento ad opera dei caporali.
Come
riportato dall’ISTAT
una parte degli imputati stranieri è colpevole di reati legati alla condizione
di immigrato irregolare: nel 2009 quasi 30mila cittadini nati all’estero (il
20,6 per cento del totale) sono stati imputati per l’irregolarità della loro
presenza sul territorio italiano.
Alcuni studi
mostrano come la regolarizzazione dei clandestini portererebbe infatti ad un
calo nei crimini commessi.
I beneficiari
dei “decreti flussi”, che l’Italia ha smesso di approvare dal 2011 e che
consentivano di ottenere permessi di soggiorno temporanei per la ricerca di un
lavoro, commettevano infatti molti meno reati rispetto ai migranti irregolari.
Perché il post razzista sul rifugiato sul treno senza biglietto è una pericolosa bufala
Il post pubblicato su Facebook sul "rifugiato senza biglietto"diventato virale è stato smentito da Trenitalia che ha dichiarato false tutte le accuse riportate
13 Feb. 2018
La mattinata del 12 febbraio
compare un post, con foto, su Facebook scritto da Luca Caruso, un passeggero
del treno diretto da Roma a Milano, con un lungo testo in cui l’autore racconta
di un episodio verificatosi sul Frecciarossa su cui stava viaggiando.
Nella foto si vede un giovane
ragazzo nero ritratto nel momento in cui il controllore ferroviario stava
chiedendo il biglietto del treno, come da prassi.
Il ragazzo nella foto risultava
riconoscibile, nonostante il tentativo di Caruso di nascondere gli occhi con
l’aggiunta di pallini bianchi sull’immagine.
Dopo qualche ora il post raggiunge 75mila condivisioni e oltre 120mila like,
numeri impressionanti. Ma quello che più preoccupa sono le reazioni che si
potevano leggere fino a qualche ora fa nei commenti, prima che il post fosse
rimosso.
Il post ha scatenato odio e ostilità verso il ragazzo della foto, che
rappresenta un fenomeno molto più ampio, quello dell’immigrato straniero
Questa mattina, un bel ragazzo,
rubizzo, migrante irregolare (in assenza di documenti) è riuscito a viaggiare
gratis a bordo di un treno Frecciarossa (9608) nella tratta Roma-Milano. In
mano un costosissimo Samsung S8 di ultimissima generazione e un biglietto non
regolare di 4€.
— Massimo Manfregola (@masman007)
Trenitalia ha rilasciato la sua
versione dei fatti. Il ragazzo aveva il biglietto giusto. Nessuno scandalo,
nessun immigrato venuto a “scroccare” i nostri treni, nessun allarme invasione.
Valigia blu ha pubblicato la mail con la relazione della capo treno che aveva
effettuato il controllo sul treno 9608:
Anche se fosse stato vero, il tono
catastrofico, la foto pubblicata senza autorizzazione, il post modificato varie
volte con versioni differenti della storia dall’autore e le migliaia di
commenti falsi portano alla luce un problema ben più grosso.
Un problema di cui si parla da
mesi: il razzismo sdoganato. E non supportato da dati reali che confermino
questo allarme, questa emergenza, questa criminalità senza controllo.
Se il ragazzo non avesse avuto
veramente il biglietto, sarebbe dovuto scendere alla prima fermata disponibile,
quella di Bologna e non sarebbe arrivato “impunemente” a Milano come suggerito
dal post dell’uomo.
Lo stesso razzismo che alcuni
giorni fa ha portato all’attentato di macerata, e alle conseguenti
manifestazioni di solidarietà al terrorista razzista autore della sparatoria.
Spesso discorsi come questo
iniziano con la pericolosa frase “non sono razzista. Ma…”.
Ed è proprio in quel ma che sta la
pericolosità di discorsi come questi e di bugie come queste. Si parla di
un’esasperazione, di uno “scontro sociale”, di una “stanchezza” degli italiani.
Chiamiamo le cose con il proprio nome. Saltare a conclusioni affrettate sul
possesso o meno di un titolo di viaggio, e alla conseguente descrizione dello
smartphone posseduto dal ragazzo, che si rivelano per giunta false, è razzismo.
È razzismo nella misura in cui si
scrive “non sono più disposto a chiamarli rifugiati”, o “gente che senza
diritto e senza motivo ha varcato il nostro uscio di casa”. Questo è razzismo,
senza se e senza ma.
Negli ultimi tempi chi critica
comportamenti razzisti è tacciato di “buonismo”, con una netta accezione
negativa.
Come a suggerire che chi non fa
discorsi d’odio, chi non si scaglia contro gli stranieri qualunque cosa
succeda, chi non è attratto da campagne elettorali che vogliono mettere “prima
gli italiani”, lo fa solo perché è un povero buonista.
Nello stesso post si dice “mi
raccomando, scannatevi tra razzisti e buonisti”.
Non è buonismo, è umanità. È vivere
civile, è dire: ci avete stancato con questi discorsi infuocati, carichi di
odio, che giustificano il loro razzismo, profondo e inconfondibile, con un
“siamo stanchi di questa immigrazione incontrollata”.
L’immigrazione è una questione
seria, non può essere ridotta a un tifo da stadio e TPI lo ha affrontato tante
volte, con cognizione di causa, smontando i falsi miti, le bugie e il carico di
odio che avvelena il discorso:
(https://www.tpi.it/)
1 commento:
il manifesto 25.10.18
La diseguaglianza si combatte migrando
Report. L’ultimo rapporto Fao studia le relazioni tra migrazioni, sicurezza alimentare e crescita economica. Dice che solo riconoscendo il diritto a migrare si può «aiutarli a casa loro»
di Rachele Gonnelli
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