13
novembre 2012
Sulle leggende fiscali in Italia
In Italia pare esista una straordinaria propensione a creare e bersi
leggende metropolitane di natura fiscale. Due, in particolare, resistono al
tempo ed alla schiacciante evidenza contraria dei fatti e della logica. La
prima sostiene che negli Stati Uniti sia possibile detrarre
dalla dichiarazione dei redditi tutto ed il contrario di tutto, facendo di quel
paese un vero paradiso della lotta all’evasione fiscale. Le cose non stanno
affatto in questi termini. Negli Stati Uniti esiste un sistema di
deduzioni dall’imponibile in larga misura simile al nostro ed a quello di molti
altri paesi. Esiste infatti una standard deduction dall’imponibile,
che nel 2012 era pari a 5.950 dollari per i single e a 11.900 dollari per una
coppia che presenti dichiarazione fiscale congiunta. Questa deduzione può
essere aumentata in presenza di particolari condizioni, quali contribuente
ultrasessantacinquenne o non vedente.
In alternativa alla deduzione standard dall’imponibile vi sono le
cosiddette itemized deductions, che vengono di
solito utilizzate da chi ha reddito ed oneri elevati. Le itemized
deduction sono in larga misura simili alle nostre per tipologia di
oneri deducibili, quali spese mediche, acquisto di protesi ed ausili sanitari,
assicurazioni sanitarie pagate dal contribuente, interessi passivi su mutui
(che negli Usa sono deducibili in misura molto generosa, di fatto favorendo i
soggetti ad alto reddito e quanti, come in passato, si sono indebitati
all’inverosimile per acquistare casa), donazioni filantropiche. Tra le itemized
deduction figurano anche le imposte locali, pagate cioè allo stato ed
alla contea di residenza del contribuente. In questo modo, lo stato federale attua
una sorta di devoluzione di gettito agli enti locali.
Come si può constatare, affermare che negli Stati Uniti “si può
detrarre tutto” è una palese sciocchezza, che tuttavia resiste
tetragona non solo sui dibattiti in rete e sui social network ma a volte
compare anche sulle labbra di politici disinformati e superficiali. Peraltro,
in questo momento, negli Stati Uniti si discute della possibilità di ridurre
fortemente le deduzioni fiscali allo scopo di avviare la necessaria riduzione
del deficit federale, e tra le soluzioni di compromesso per porre fine al
braccio di ferro tra Democratici e Repubblicani vi è anche questa, che avrebbe
il vantaggio di lasciare invariate le aliquote nominali e consentire in tal
modo ai Repubblicani di affermare che le imposte non sono aumentate, anche se
di fatto una simile manovra finirebbe comunque col ridurre il reddito
disponibile dopo le imposte. Avrete certamente notato che questa soluzione
americana antideficit è identica a quanto inizialmente previsto dal governo italiano
nella legge di stabilità per il 2013, con la falcidie di detrazioni e
deduzioni. La crisi fiscale morde ovunque.
Altra leggenda metropolitana che in Italia è dura a morire,
peraltro strettamente derivata dalla precedente, è quella secondo la quale il
cosiddetto “contrasto d’interessi” (cioè la deducibilità dall’imponibile o
detraibilità dalle imposte) riuscirebbe ad azzerare l’evasione fiscale. Anche
qui, le cose stanno diversamente, come spiega un articolo molto efficace e
comprensibile pubblicato
anni addietro su lavoce.info a firma di Maria
Cecilia Guerra ed Alberto Zanardi.
Se si consentisse la detrazione fiscale degli
acquisti in misura pari al 19 per cento oggi vigente per questa tipologia di
benefici fiscali, il compratore avrebbe un onere fiscale pari alla differenza
tra l’aliquota Iva applicata sul bene ed il 19 per cento di detrazione
d’imposta. Il venditore potrebbe quindi agevolmente offrire al compratore uno
“sconto per il nero” che potrebbe raggiungere un massimo pari all’Irpef che il
primo versa allo stato, annullando l’efficacia del contrasto d’interessi.
In caso di deducibilità integrale dell’acquisto
dall’imponibile fiscale del compratore si crea effettivamente un contrasto
d’interessi in cui il compratore otterrebbe un sussidio
sull’acquisto pari alla differenza tra l’aliquota marginale Irpef del
compratore e l’aliquota Iva applicata all’acquisto. Tuttavia, anche in
questo caso, il venditore potrebbe disinnescare la minaccia offrendo al
compratore uno sconto pari almeno all’entità del sussidio ottenuto da
quest’ultimo e fino ad un massimo pari all’aliquota Irpef del venditore.
In questo caso, il margine di contrattazione tra le parti dipenderebbe
criticamente dalla struttura delle aliquote. Se il compratore ha un’aliquota
molto più alta di quella del venditore, il gettito netto per lo stato si
ridurrebbe fino ad azzerarsi, e potrebbe addirittura diventare negativo. Il
tutto senza considerare il caos che deriverebbe dalla necessità di produrre e
conservare idonea documentazione dei pagamenti. Saremmo sommersi dalla carta.
Malgrado queste schiaccianti evidenze politici, sindacalisti ed
opinionisti distratti tornano periodicamente ad invocare il contrasto
d’interessi quale proiettile d’argento che eliminerà l’evasione fiscale, “come
fanno in America”. Il ritornello è talmente ossessivo che anche
prestigiosi economisti quali Francesco Giavazzi ed Alberto
Alesina sono caduti nella fallacia, e sono stati costretti nel
recente passato a smentire se stessi ed ammettere che il contrasto
d’interessi non è la strada per combattere l’evasione fiscale. A tal fine,
molto meglio il monitoraggio sistematico dei conti correnti e delle consistenze
patrimoniali dei contribuenti.
Riusciremo ad espellere queste due leggende dal desolante dibattito pubblico
italiano, già di per sé caratterizzato da profonda ignoranza dei più basilari
meccanismi economici e per questo motivo vittima predestinata di ciarlatani e
maghi dalle soluzioni miracolose? Lecito dubitarne.
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