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domenica 4 marzo 2018

Raccontare favole


Mario Seminerio 13 novembre 2012

Sulle leggende fiscali in Italia

In Italia pare esista una straordinaria propensione a creare e bersi leggende metropolitane di natura fiscale. Due, in particolare, resistono al tempo ed alla schiacciante evidenza contraria dei fatti e della logica. La prima sostiene che negli Stati Uniti sia possibile detrarre dalla dichiarazione dei redditi tutto ed il contrario di tutto, facendo di quel paese un vero paradiso della lotta all’evasione fiscale. Le cose non stanno affatto in questi termini. Negli Stati Uniti esiste un sistema di deduzioni dall’imponibile in larga misura simile al nostro ed a quello di molti altri paesi. Esiste infatti una standard deduction dall’imponibile, che nel 2012 era pari a 5.950 dollari per i single e a 11.900 dollari per una coppia che presenti dichiarazione fiscale congiunta. Questa deduzione può essere aumentata in presenza di particolari condizioni, quali contribuente ultrasessantacinquenne o non vedente.
In alternativa alla deduzione standard dall’imponibile vi sono le cosiddette itemized deductions, che vengono di solito utilizzate da chi ha reddito ed oneri elevati. Le itemized deduction sono in larga misura simili alle nostre per tipologia di oneri deducibili, quali spese mediche, acquisto di protesi ed ausili sanitari, assicurazioni sanitarie pagate dal contribuente, interessi passivi su mutui (che negli Usa sono deducibili in misura molto generosa, di fatto favorendo i soggetti ad alto reddito e quanti, come in passato, si sono indebitati all’inverosimile per acquistare casa), donazioni filantropiche. Tra le itemized deduction figurano anche le imposte locali, pagate cioè allo stato ed alla contea di residenza del contribuente. In questo modo, lo stato federale attua una sorta di devoluzione di gettito agli enti locali.
Come si può constatare, affermare che negli Stati Uniti “si può detrarre tutto” è una palese sciocchezza, che tuttavia resiste tetragona non solo sui dibattiti in rete e sui social network ma a volte compare anche sulle labbra di politici disinformati e superficiali. Peraltro, in questo momento, negli Stati Uniti si discute della possibilità di ridurre fortemente le deduzioni fiscali allo scopo di avviare la necessaria riduzione del deficit federale, e tra le soluzioni di compromesso per porre fine al braccio di ferro tra Democratici e Repubblicani vi è anche questa, che avrebbe il vantaggio di lasciare invariate le aliquote nominali e consentire in tal modo ai Repubblicani di affermare che le imposte non sono aumentate, anche se di fatto una simile manovra finirebbe comunque col ridurre il reddito disponibile dopo le imposte. Avrete certamente notato che questa soluzione americana antideficit è identica a quanto inizialmente previsto dal governo italiano nella legge di stabilità per il 2013, con la falcidie di detrazioni e deduzioni. La crisi fiscale morde ovunque.
Altra leggenda metropolitana che in Italia è dura a morire, peraltro strettamente derivata dalla precedente, è quella secondo la quale il cosiddetto “contrasto d’interessi” (cioè la deducibilità dall’imponibile o detraibilità dalle imposte) riuscirebbe ad azzerare l’evasione fiscale. Anche qui, le cose stanno diversamente, come spiega un articolo molto efficace e comprensibile pubblicato anni addietro su lavoce.info a firma di Maria Cecilia Guerra ed Alberto Zanardi.
Se si consentisse la detrazione fiscale degli acquisti in misura pari al 19 per cento oggi vigente per questa tipologia di benefici fiscali, il compratore avrebbe un onere fiscale pari alla differenza tra l’aliquota Iva applicata sul bene ed il 19 per cento di detrazione d’imposta. Il venditore potrebbe quindi agevolmente offrire al compratore uno “sconto per il nero” che potrebbe raggiungere un massimo pari all’Irpef che il primo versa allo stato, annullando l’efficacia del contrasto d’interessi.
In caso di deducibilità integrale dell’acquisto dall’imponibile fiscale del compratore si crea effettivamente un contrasto d’interessi in cui il compratore otterrebbe un sussidio sull’acquisto pari alla differenza tra l’aliquota marginale Irpef del compratore e l’aliquota Iva applicata all’acquisto. Tuttavia, anche in questo caso, il venditore potrebbe disinnescare la minaccia offrendo al compratore uno sconto pari almeno all’entità del sussidio ottenuto da quest’ultimo e fino ad un massimo pari all’aliquota Irpef del venditore.
In questo caso, il margine di contrattazione tra le parti dipenderebbe criticamente dalla struttura delle aliquote. Se il compratore ha un’aliquota molto più alta di quella del venditore, il gettito netto per lo stato si ridurrebbe fino ad azzerarsi, e potrebbe addirittura diventare negativo. Il tutto senza considerare il caos che deriverebbe dalla necessità di produrre e conservare idonea documentazione dei pagamenti. Saremmo sommersi dalla carta.
Malgrado queste schiaccianti evidenze politici, sindacalisti ed opinionisti distratti tornano periodicamente ad invocare il contrasto d’interessi quale proiettile d’argento che eliminerà l’evasione fiscale, “come fanno in America”. Il ritornello è talmente ossessivo che anche prestigiosi economisti quali Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina sono caduti nella fallacia, e sono stati costretti nel recente passato a smentire se stessi ed ammettere che il contrasto d’interessi non è la strada per combattere l’evasione fiscale. A tal fine, molto meglio il monitoraggio sistematico dei conti correnti e delle consistenze patrimoniali dei contribuenti.
Riusciremo ad espellere queste due leggende dal desolante dibattito pubblico italiano, già di per sé caratterizzato da profonda ignoranza dei più basilari meccanismi economici e per questo motivo vittima predestinata di ciarlatani e maghi dalle soluzioni miracolose? Lecito dubitarne.

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