Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

sabato 10 agosto 2019

Sante Parole

Papa Francesco: “Il sovranismo mi spaventa, porta alle guerre”

Il Pontefice: «L’Europa non deve sciogliersi, bisogna salvarla, ha radici umane e cristiane. Una donna come Ursula von der Leyen può ravvivare la forza dei Padri Fondatori»
La Stampa -

CITTÀ DEL VATICANO. Il Papa apre la porta puntuale alle 10,30, con il suo sorriso gentile. Entra in una delle stanze che usa per ricevere la gente, arredata con l’essenziale, senza distrazioni o lussi, solo un crocifisso appeso alla parete. Siamo arrivati dall’ingresso del Perugino, il più vicino a Casa Santa Marta. Scenario abituale: qualche tonaca, gendarmi e guardie svizzere. Sullo sfondo, il Cupolone di San Pietro. In Vaticano il solito tran tran è rallentato dall’afa e dal clima vacanziero. Per Papa Francesco non è un giorno qualunque: è il 6 agosto, 41° anniversario della morte di san Paolo VI, pontefice a cui è particolarmente affezionato: «In questa giornata cerco sempre un momento per scendere nelle Grotte sotto la Basilica – rivelerà – e sostare, da solo, in preghiera e silenzio davanti alla sua tomba. Mi fa bene al cuore». I convenevoli durano poco, in un attimo siamo nel pieno della conversazione.
Francesco è allegro e rilassato. E concentrato. Impressiona la sua capacità di ascolto. Guarda sempre negli occhi. Mai l’orologio. Si prende le pause necessarie prima di esprimere un pensiero delicato. Parla di Europa, Amazzonia e ambiente. Il colloquio è intenso e senza interruzioni. Il Papa non beve neanche un sorso d’acqua. Glielo facciamo notare, lui scuote le spalle e risponde, sorridendo: «Non sono l’unico che non ha bevuto».
Santità, Lei ha auspicato che «l’Europa torni a essere il sogno dei Padri Fondatori». Che cosa si aspetta?
«L’Europa non può e non deve sciogliersi. È un’unità storica e culturale oltre che geografica. Il sogno dei Padri Fondatori ha avuto consistenza perché è stata un’attuazione di questa unità. Ora non si deve perdere questo patrimonio».
Come la vede oggi?
«Si è indebolita con gli anni, anche a causa di alcuni problemi di amministrazione, di dissidi interni. Ma bisogna salvarla. Dopo le elezioni, spero che inizi un processo di rilancio e che vada avanti senza interruzioni».
È contento della designazione di una donna alla carica di presidente della Commissione europea?
«Sì. Anche perché una donna può essere adatta a ravvivare la forza dei Padri Fondatori. Le donne hanno la capacità di accomunare, di unire».
Quali sono le sfide principali?
«Una su tutte: il dialogo. Fra le parti, fra gli uomini. Il meccanismo mentale deve essere “prima l’Europa, poi ciascuno di noi”. Il “ciascuno di noi” non è secondario, è importante, ma conta più l’Europa. Nell’Unione europea ci si deve parlare, confrontare, conoscere. Invece a volte si vedono solo monologhi di compromesso. No: occorre anche l’ascolto».
Che cosa serve per il dialogo?
«Bisogna partire dalla propria identità».
Ecco, le identità: quanto contano? Se si esagera con la difesa delle identità non si rischia l’isolamento? Come si risponde alle identità che generano estremismi?
«Le faccio l’esempio del dialogo ecumenico: io non posso fare ecumenismo se non partendo dal mio essere cattolico, e l’altro che fa ecumenismo con me deve farlo da protestante, ortodosso… La propria identità non si negozia, si integra. Il problema delle esagerazioni è che si chiude la propria identità, non ci si apre. L’identità è una ricchezza - culturale, nazionale, storica, artistica – e ogni paese ha la propria, ma va integrata col dialogo. Questo è decisivo: dalla propria identità occorre aprirsi al dialogo per ricevere dalle identità degli altri qualcosa di più grande. Mai dimenticare che il tutto è superiore alla parte. La globalizzazione, l’unità non va concepita come una sfera, ma come un poliedro: ogni popolo conserva la propria identità nell’unità con gli altri».
Quali i pericoli dai sovranismi?
«Il sovranismo è un atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934. “Prima noi. Noi… noi…”: sono pensieri che fanno paura. Il sovranismo è chiusura. Un paese deve essere sovrano, ma non chiuso. La sovranità va difesa, ma vanno protetti e promossi anche i rapporti con gli altri paesi, con la Comunità europea. Il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle guerre».
E i populismi?
«Stesso discorso. All’inizio faticavo a comprenderlo perché studiando Teologia ho approfondito il popolarismo, cioè la cultura del popolo: ma una cosa è che il popolo si esprima, un’altra è imporre al popolo l’atteggiamento populista. Il popolo è sovrano (ha un modo di pensare, di esprimersi e di sentire, di valutare), invece i populismi ci portano a sovranismi: quel suffisso, “ismi”, non fa mai bene».
Qual è la via da percorrere sul tema migranti?
«Innanzitutto, mai tralasciare il diritto più importante di tutti: quello alla vita. Gli immigrati arrivano soprattutto per fuggire dalla guerra o dalla fame, dal Medio Oriente e dall’Africa. Sulla guerra, dobbiamo impegnarci e lottare per la pace. La fame riguarda principalmente l’Africa. Il continente africano è vittima di una maledizione crudele: nell’immaginario collettivo sembra che vada sfruttato. Invece una parte della soluzione è investire lì per aiutare a risolvere i loro problemi e fermare così i flussi migratori».
Ma dal momento che arrivano da noi come bisogna comportarsi?
«Vanno seguiti dei criteri. Primo: ricevere, che è anche un compito cristiano, evangelico. Le porte vanno aperte, non chiuse. Secondo: accompagnare. Terzo: promuovere. Quarto integrare. Allo stesso tempo, i governi devono pensare e agire con prudenza, che è una virtù di governo. Chi amministra è chiamato a ragionare su quanti migranti si possono accogliere».
E se il numero è superiore alle possibilità di accoglienza?
«La situazione può essere risolta attraverso il dialogo con gli altri Paesi. Ci sono Stati che hanno bisogno di gente, penso all’agricoltura. Ho visto che recentemente di fronte a un’emergenza qualcosa del genere è successo: questo mi dà speranza. E poi, sa che cosa servirebbe anche?».
Che cosa?
«Creatività. Per esempio, mi hanno raccontato che in un paese europeo ci sono cittadine semivuote a causa del calo demografico: si potrebbero trasferire lì alcune comunità di migranti, che tra l’altro sarebbero in grado di ravvivare l’economia della zona».
Su quali valori comuni occorre basare il rilancio dell’Ue? L’Europa ha ancora bisogno del cristianesimo? E in questo contesto gli ortodossi che ruolo hanno?
«Il punto di partenza e di ripartenza sono i valori umani, della persona umana. Insieme ai valori cristiani: l’Europa ha radici umane e cristiane, è la storia che lo racconta. E quando dico questo, non separo cattolici, ortodossi e protestanti. Gli ortodossi hanno un ruolo preziosissimo per l’Europa. Abbiamo tutti gli stessi valori fondanti».
Attraversiamo idealmente l’Oceano e pensiamo al Sudamerica. Perché ha convocato in Vaticano, a ottobre, un Sinodo sull’Amazzonia?
«È “figlio” della “Laudato si’”. Chi non l’ha letta non capirà mai il Sinodo sull’Amazzonia. La Laudato si’ non è un’enciclica verde, è un’enciclica sociale, che si basa su una realtà “verde”, la custodia del Creato».
C’è qualche episodio per Lei significativo?
«Alcuni mesi fa sette pescatori mi hanno detto: “Negli ultimi mesi abbiamo raccolto 6 tonnellate di plastica”. L’altro giorno ho letto di un ghiacciaio enorme in Islanda che si è sciolto quasi del tutto: gli hanno costruito un monumento funebre. Con l’incendio della Siberia alcuni ghiacciai della Groenlandia si sono sciolti, a tonnellate. La gente di un paese del Pacifico si sta spostando perché fra vent’anni l’isola su cui vive non ci sarà più. Ma il dato che mi ha sconvolto di più è ancora un altro».
Quale?
«L’Overshoot Day: il 29 luglio abbiamo esaurito tutte le risorse rigenerabili del 2019. Dal 30 luglio abbiamo iniziato a consumare più risorse di quelle che il Pianeta riesce a rigenerare in un anno. È gravissimo. È una situazione di emergenza mondiale. E il nostro sarà un Sinodo di urgenza. Attenzione però: un Sinodo non è una riunione di scienziati o di politici. Non è un Parlamento: è un’altra cosa. Nasce dalla Chiesa e avrà missione e dimensione evangelizzatrici. Sarà un lavoro di comunione guidato dallo Spirito Santo».
Ma perché concentrarsi sull’Amazzonia?
«È un luogo rappresentativo e decisivo. Insieme agli oceani contribuisce in maniera determinante alla sopravvivenza del pianeta. Gran parte dell’ossigeno che respiriamo arriva da lì. Ecco perché la deforestazione significa uccidere l’umanità. E poi l’Amazzonia coinvolge nove Stati, dunque non riguarda una sola nazione. E penso alla ricchezza della biodiversità amazzonica, vegetale e animale: è meravigliosa».
Al Sinodo si discuterà anche la possibilità di ordinare dei «viri probati», uomini anziani e sposati che possano rimediare alla carenza di clero. Sarà uno dei temi principali?
«Assolutamente no: è semplicemente un numero dell’Instrumentum Laboris (il documento di lavoro, ndr). L’importante saranno i ministeri dell’evangelizzazione e i diversi modi di evangelizzare».
Quali sono gli ostacoli alla salvaguardia dell’Amazzonia?
«La minaccia della vita delle popolazioni e del territorio deriva da interessi economici e politici dei settori dominanti della società».
Dunque come deve comportarsi la politica?
«Eliminare le proprie connivenze e corruzioni. Deve assumersi responsabilità concrete, per esempio sul tema delle miniere a cielo aperto, che avvelenano l’acqua provocando tante malattie. Poi c’è la questione dei fertilizzanti».
Santità, che cosa teme più di tutto per il nostro Pianeta?
«La scomparsa delle biodiversità. Nuove malattie letali. Una deriva e una devastazione della natura che potranno portare alla morte dell’umanità».
Intravede una qualche presa di coscienza sul tema ambiente e cambiamento climatico?
«Sì, in particolare nei movimenti di giovani ecologisti, come quello guidato da Greta Thunberg, “Fridays for future”. Ho visto un loro cartello che mi ha colpito: “Il futuro siamo noi!”».
La nostra condotta quotidiana - raccolta differenziata, l’attenzione a non sprecare l’acqua in casa - può incidere o è insufficiente per contrastare il fenomeno?
«Incide eccome, perché si tratta di azioni concrete. E poi, soprattutto, crea e diffonde la cultura di non sporcare il creato».

3 commenti:

Alessandro Mazzucco ha detto...

Sette miliardi di dazi Usa: ecco il volto del sovranismo

Stefano Zurlo - Gio, 03/10/2019 - Il Giornale



È una specie di domino. La prima pedina si abbatte su quella più vicina che trascina nella caduta quella successiva.
Avanti e avanti ancora, in un cupio dissolvi senza requie. In politica questo gioco ha un nome che ha acceso speranze e aspettative dall'Italia agli Usa: sovranismo. Tradotto in parole povere: tutti contro tutti. Certo, la soglia di sopportazione del ceto medio, e non solo di quello, era stata superata un po' a tutte le latitudini. E allora ecco l'America first e tutto il resto, i cortei e gli slogan contro le euroburocrazie, i poteri forti e le aristocrazie. A Roma come a Washington e Bruxelles.
Solo che questa storia, come dimostra la guerra dei dazi, sta sfuggendo di mano in un'esibizione muscolare che fa paura. Trump batte il pugno e fa scattare tasse pesantissime che zavorrano i prodotti europei, fino al parmigiano, al prosecco e ai nostri vini pregiati. Questo round va così, ma il prossimo, ne siamo certi, vedrà la rivincita dell'Ue che alzerà i suoi muri per penalizzare le merci Usa. Ritorsione per ritorsione, occhio per occhio, gomitata contro pugno.
Per carità, dietro questi contenziosi ci sono ruggini vecchie di anni, la guerra dei cieli, Boeing contro Airbus e tutto il resto. Ma è la sostanza quella che conta: Europa versus Usa e viceversa, Cina contro America e via elencando fino al taglio slabbrato della Brexit. Le Borse scendono giù come funivie, gli imprenditori conteggiano i danni stellari che si apprestano a patire, i consumatori dovranno rinunciare a quel che prima era a portata di mano e ora diventa un lusso inarrivabile.
Oggi vinci tu, domani vinco io, alla fine perdono tutti. Fosse stata un'altra epoca, forse saremmo già in guerra. Ora per fortuna i conflitti costano troppo e manderebbero in tilt bilanci già tirati. Meglio starne alla larga, ma questo pianeta, che si spacca e si frantuma in tanti colossali iceberg che vanno alla deriva, mette paura. Anche perché questi blocchi finiscono fatalmente per scontrarsi e fracassarsi a vicenda. D' accordo sul togliersi di dosso la catena della schiavitù e sull'essere padroni a casa propria. Senza farsi pestare i piedi da nessuno. Ma questo non può significare polverizzare le relazioni internazionali e considerare il vicino come un nemico da combattere.
Siamo nel villaggio globale e invece ci comportiamo come tribù chiuse nelle loro riserve senza orizzonte. È ora di uscire fuori da questi recinti e di riprendere il filo del dialogo.

Alessandro Mazzucco ha detto...

Per non cedere a odio e morte. Lampedusa 2013: memoria e atti nuovi

Paolo Lambruschi 3 ottobre 2019 - Avvenire

parte 1 di 2

Non è giusto dimenticare la tragedia del 3 ottobre 2013 nelle acque di Lampedusa, una delle più atroci del Mediterraneo, punto di svolta nella consapevolezza di un dramma che troppi oggi cercano di nascondere, minimizzare, negare. Non si possono lasciar scivolare nell’oblio 368 morti, la lunga e straziante teoria delle bare e lo choc della distesa di quelle più piccole, dei bambini, allineate nell’hangar dell’aeroporto. Non è possibile scordare le storie dei sopravvissuti, poi accolti in tutta Europa quando ancora si "ricollocava" e c’era più solidarietà tra Stati.
La tragedia di Lampedusa, in Italia, viene ricordata dal 2016 con una Giornata della memoria. Scelta molto opportuna in questo tempo di confusione e disinformazione, con una pubblica opinione travolta da una montagna di bufale xenofobe e dall’odio riversato in rete. Ma più che mai opportuna è l’iniziativa europea Snapshotsfromtheborders (Istantanee dai confini) di cui è capofila il Comune di Lampedusa, e che è rappresentata in Italia dall’ong Amref, che intende con una petizione celebrare il 3 ottobre come Giornata europea della memoria e dell’accoglienza. Serve proprio questa Giornata, e per diverse ragioni.
Anzitutto perché Lampedusa, quella accogliente e umana del medico Pietro Bartolo narrata in "Fuocoammare", quella della gente generosa che il 3 ottobre di sei anni fa accolse in casa i naufraghi e seppe mantenere con loro rapporti divenuti di figliolanza e fratellanza e quella che ancora sopporta il peso di un’accoglienza spesso superiore alle forze dell’isola, ha molto da insegnare all’Europa. Di cui è la porta, come ricorda il monumento di Palladino che in pochi anni ne è diventato il simbolo e una cui riproduzione oggi, nell’ambito delle iniziative di Snapshot, sarà esposta a Vienna e Berlino, nel cuore dell’Unione.
E poi, seconda ragione, perché anche l’Europa si è incattivita. Cecilia Malmström, allora commissario europeo per gli Affari interni sollecitò dopo la strage i Paesi della Ue a incrementare le attività di ricerca nel Mediterraneo con pattuglie di soccorso e intervento per intercettare e soccorrere i barconi e i gommoni di profughi e migranti attraverso l’agenzia Frontex. Sappiamo come è andata. Dopo il 2015 e la crisi siriana le porte si sono chiuse e la solidarietà nell’Unione è venuta meno. Alcuni governi hanno preferito rischiare di trasformare il Sud dell’Europa in un gigantesco "campo profughi".
Ed è proprio da Frontex che sono partite due anni dopo le prime, velenose e false accuse alle organizzazioni non governative di complicità con i trafficanti di esseri umani. Quelle Ong che erano in azione nel Mediterraneo dal 2014 perché Roma aveva chiuso l’operazione "Mare Nostrum" e le navi della Marine militari europee non effettuavano più salvataggi. Usando quelle accuse infondate, il mondo delle bufale e dei bufalari in rete scatenò una campagna di disinformazione senza precedenti contro gli «umanitari», e tutti i «buonisti».
Oggi tutte le accuse sono state archiviate dalle Procure italiane dopo mesi di indagini, ma nessuno si è scusato. Il fango ha fatto danni, e in tutta la Ue ha influenzato diverse campagne elettorali. Il no alla redistribuzione dei richiedenti asilo, i muri che si volevano ergere tra Stati e i porti da chiudere sono stati la bomba "sovranista" armata, fino alle scorse elezioni europee di maggio, sotto allo stesso edificio dell’Unione minato dagli egoismi nazionalisti. Oggi, dopo il cambio di maggioranza di governo a Roma e dopo tanti vertici falliti e polemiche sterili e autolesioniste, la Ue sembra aver ritrovato un minimo di collaborazione sulla redistribuzione dei profughi salvati in mare e il Parlamento europeo ha messo di nuovo in agenda la revisione del regolamento Dublino che ancora inchioda i profughi nei Paesi di primo sbarco.

Alessandro Mazzucco ha detto...

Per non cedere a odio e morte. Lampedusa 2013: memoria e atti nuovi

Paolo Lambruschi 3 ottobre 2019 - Avvenire

parte 2 di 2

[segue] Partecipando a questo processo, dopo 14 mesi di assenza e boicottaggio, l’Italia e i suoi rappresentanti faranno finalmente un passo avanti. Poi occorrerà guardare tutti insieme all’Africa e alle cause che muovono i flussi, destinati a proseguire inesorabilmente prima di tutto (come già oggi) dentro il continente e quindi verso l’Europa. Un processo politico complicato, ma è giusto avviarlo a partire da un atto di omaggio e di consapevolezza. Onorando la memoria delle vittime del 3 ottobre in tutta la Ue, come chiede la petizione.
E rilanciando oggi la proposta di creare, in collaborazione con alcuni Paesi d’Africa già in campo, i 'corridoi umanitari europei' per svuotare le galere libiche dove migliaia di persone sono rinchiuse, stuprate, torturate e depredate dai miliziani 'pagati' dalla stessa Ue nell’indifferenza di larga parte dell’opinione pubblica e dei governi. I 'corridoi' sono infatti l’alternativa più sicura e legale, almeno per i soggetti vulnerabili, a tragedie come quella di Lampedusa. E comportano una accoglienza altrettanto sicura e umana sui territori. Come quella che avvenne in tutta la Ue dopo il 3 ottobre 2013, quando l’Europa seppe essere fedele alla sue stessa civiltà e ai valori fondativi dell’Unione.