Se non vi è bastata la disinformazione del Cremlino, ecco i troll iraniani
Facebook ha cancellato centinaia di account legati a Teheran che operavano in mezzo mondo. La scuola Putin fa proseliti
Roma. L’ultima infornata di account fasulli legati a operazioni
di disinformazione e interferenza politica cancellati da Facebook nella
notte di martedì presenta una sorpresa. Parte di questi account erano
russi, e fin qui nessuna novità – il troll russo è diventato quasi
l’antonomasia di tutti i malfattori online. Soltanto poche ore prima
Microsoft aveva denunciato e sventato un piano di hacker legati al
Cremlino che hanno tentato di violare i siti internet di alcuni think
tank conservatori americani. (Nota: i troll e gli hacker sono due
categorie differenti, gli uni disinformano e provocano, gli altri usano
internet per arricchirsi o combattere guerre asimmetriche, ma nel grande
piano di ingerenza politica del governo russo le due figure si tengono
per mano). Ma questa volta, dicevamo, c’è stata una sorpresa. Parte
degli account di troll e disinformatori scoperti da Facebook proveniva
dall’Iran. Non solo. Al contrario delle campagne di disinformazione su
Facebook degli scorsi anni, che hanno colpito quasi esclusivamente gli
Stati Uniti, gli obiettivi dei troll questa volta erano molto più
ambiziosi: America latina, medio oriente, Regno Unito e, ovviamente,
sempre l’America.
La campagna di disinformazione, per come l’ha descritta Facebook, in
collaborazione con la società di sicurezza digitale FireEye, è
piuttosto familiare. Il social network ha cancellato 652 pagine, gruppi,
singoli account che mostravano un “comportamento coordinato non
autentico”, vale a dire: erano manovrati tutti dalle stesse persone e
per scopi di destabilizzazione. L’indagine è partita da una segnalazione
di FireEye sulla pagina “Liberty Front Press”, che è risultata essere
legata ai media di stato iraniani. Da lì, Facebook ha ripercorso una
catena di pagine, account, contenuti tutti legati al regime degli
ayatollah, che promuovevano messaggi spesso non legati direttamente alla
causa iraniana, ma piuttosto volti a fomentare rabbia e malcontento
contro l’Amministrazione americana, contro i paesi arabi sunniti, contro
il governo britannico. Alcuni contenuti criticavano Donald Trump, altre
incitavano all’indipendentismo della Scozia dal Regno Unito. Una
perfetta operazione di destabilizzazione. Un’indagine separata, questa
volta partita da una segnalazione delle autorità americane, ha
riguardato decine di pagine legate al Cremlino. Anche Twitter e YouTube
hanno annunciato di aver chiuso un certo numero di account. Il portavoce
del Cremlino, Dmitri Peskov, ieri ha negato le accuse di Facebook.
Le campagne rivelate da Facebook non sono semplici atti di
propaganda, riguardano un’applicazione furba e consapevole del contesto
politico di tecniche di disinformazione che sono diventate ben note
durante l’ultima campagna elettorale americana, quando la Russia,
secondo il parere unanime delle agenzie d’intelligence americane, ha
usato Facebook e altri social network per cercare di influenzare il
risultato delle elezioni (se abbiano o meno avuto successo è più
difficile da provare).
Che anche l’Iran abbia cominciato a usare questo tipo di tecniche,
dunque, e abbia come obiettivi non soltanto l’occidente ma anche il
medio oriente e l’America latina, è dimostrazione del fatto che il playbook,
il manuale d’utilizzo del troll russo sta passando di mano in mano, e
che altri governi usano le medesime tecniche per mettere in atto
operazioni di destabilizzazione all’estero. Aumentano gli aggressori –
dopo la Russia l’Iran, e poi chissà – e aumentano le vittime. E’ in
corso una mondializzazione della disinformazione coordinata mediante
social network.
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