Dentro la fabbrica dei troll russi
La divulgazione di 3 milioni di
tweet riconducibili alla famigerata Internet Research Agency di San Pietroburgo
imputata di aver condizionato le ultime elezioni presidenziali americane ci
dice che tutto è falsificabile, se non inesistente
RollingStone 3 agosto 2018
E’ uno degli edifici più misteriosi al mondo, un parallelepipedo
grigio e anonimo di quattro piani alla periferia di Pietroburgo, in via
Savushkina 55, un indirizzo ormai diventato famoso negli ambienti
dell’intelligence e dei media quanto la leggendaria Lubianka dell’ex Kgb. Dei
servizi segreti russi almeno si sa che esistono, e che hanno il loro quartier
generale nella piazza del centro di Mosca.
Il blocco di cemento grigio di Savushkina 55 è, se possibile,
ancora più enigmatico: nei documenti ufficiali e nei giornali viene definito
“l’ultimo indirizzo accertato della sede dell’Internet Research Agency”, il
nome dell’entità alla quale viene ricondotta l’invasione dei troll russi nella
Rete globale. Dell’Agenzia, o IRA, come viene chiamata nelle carte delle
indagini, si sa più o meno quanto dell’apparato di potere della Corea del Nord:
le uniche rivelazioni sul suo funzionamento sono state fornite da un paio di
troll “pentiti” che sono finiti a lavorare al “ministero della Verità” in
Savushkina 55, attirati da inserzioni come “Impiego ben retribuito in un
ufficio chic”, e alcuni giornalisti russi che erano riusciti a infiltrarsi per
pochi giorni come aspiranti troll.
Dentro, sembrava un ufficio qualunque, stanze con scrivanie e
pc, piene di giovani smart, con capi settore, macchinette del caffè, memo,
riunioni e training per i 400 dipendenti. Un’altra circostanza che si può
affermare con una qualche certezza è il nome del loro datore di lavoro:
Evgheniy Prigozhin, 57enne pietroburghese con alle spalle una movimentata
carriera che include 9 anni di prigione per rapina, truffa e sfruttamento di
prostituzione minorile, studi da farmacista e la fondazione di un impero di
ristorazione partito da un banchetto di hot dog. Oggi porta orgogliosamente il
titolo di “cuoco di Putin”, figura nella lista nera degli oligarchi moscoviti
sotto sanzioni degli Usa e viene associato dagli analisti a due delle armi più
elusive e potenti del Cremlino: la “fabbrica dei troll” di Pietroburgo e la
compagnia Wagner, una società di contractor privati che ha fatto il lavoro
sporco per i militari russi nel Donbass, in Siria e ora anche in Africa.
Un contesto da grande romanzo di spie, con la differenza che i
prodotti della “fabbrica dei troll” non sono il gas nervino o il polonio, li
abbiamo consumati tutti. Lo sforzo congiunto degli investigatori dell’Fbi,
giornalisti, hacker, factchecker, ricercatori, attivisti e social network ha
prodotto un data base di quasi 3 milioni (per la precisione, 2973371) di tweet
provenienti da 2848 account giudicati legati all’IRA. I tweet rivolti al
pubblico americano (visionabili qui) vanno dal 2012 al 2018, e sono stati
analizzati da due professori della Clemson University, Darren Linvill e Patrick
Warren, che hanno cercato di suddividerli per dinamiche, argomenti, algoritmi
di attività (uno dei picchi si è avuto con la pubblicazione delle email di
Hillary Clinton su WikiLeaks, mentre dopo le elezioni presidenziali americane
nell’ottobre 2016 molti account sono stati ibernati) e interazioni con altri
account.
Una lettura in fondo deludente: chilometri e chilometri di
insulti già noti, ripetitivi e banali– Hillary in galera, Obama venduto ai
musulmani, Make America Great Again, onestà onestà, muro contro gli immigrati,
filmati, meme e fake già confezionati altrove – firmati da tipici nickname dei
conservatori americani, “redneck”, “patriot”, “loveUSA”. Il problema è proprio
questo: i titolari degli account non sono americani. Anzi, non esistono
nemmeno: la maggior parte sfoggia negli avatar foto false, spesso di modelle
molto attraenti. I responsabili di Facebook e Twitter avevano già notato che
molti degli account sospettati di provenire da Pietroburgo non hanno una “vita
normale” sui social, amici “veri” o contenuti non legati alla politica. Il
procuratore speciale Robert Mueller ha accusato 12 dipendenti di Prigozhin di
aver anche utilizzato identità rubate ad americani veri, usando le loro
credenziali per pagare gli ad e l’uso dei server via PayPal. La frode forse più
clamorosa è l’account Twitter @ten_gop, che per mesi si è spacciato per il
social ufficiale del partito repubblicano del Tennessee, raccogliendo circa 100
mila follower.
Ma a Pietroburgo non si tifava solo Trump. Linvill e Warren
hanno classificato gli account legati all’IRA in 5 categorie, di cui due sono
apparentemente opposte, Left e Right. Mentre i troll di destra – i più numerosi
– ricorrono alla retorica più classica dei trumpiani, con grande enfasi
sull’immigrazione e l’islam, quelli di sinistra simpatizzano per Bernie
Sanders, postano video di afroamericani pestati dalla polizia e usano un
linguaggio simile al moviment BlackLivesMatters. Il loro obiettivo – che denota
dietro alla profilazione dei target un lavoro analitico serio – non è tanto
convincere gli afroamericani a votare per Trump quanto a persuaderli a non votare
Hillary, a restare a casa, fomentando la loro frustrazione. La terza categoria
degli account sono i “hashtag gamers”, impegnati a rilanciare hashtag di varia
natura, mentre i “news feed” si spacciano per aggregatori di news locali,
attingendo spesso a piene mani da fonti di propaganda russa come RT o Sputnik,
e contribuendo a intrecciare la rete fasulla in quella degli account autentici,
di influencer famosi come di comuni mortali (Twitter ha notificato a più di
1400000 utenti che hanno interagito a loro insaputa con i troll russi). Infine,
i meno numerosi ma forse i più pericolosi, sono i “fearmonger”, gli spacciatori
di paura, una pattuglia piccola ma agguerrita che rilancia bufale spaventose,
come la notizia che i tacchini del giorno del Ringraziamento sono stati
contaminati con la salmonella. La bufala più celebre prodotta in Savushkina 55
è l’esplosione dell’impianto chimico di Columbia Chemical, in Louisiana, mai
avvenuta se non su Twitter, dove il disastro è stato inscenato con tanto di
screenshot fasulli della Cnn, siti clonati delle tv locali e addirittura
una videorivendicazione dell’Isis, ovviamente taroccata.
I tempi delle spie russe mascherate da The Americans sono
finiti, ma su Internet le barbe finte virtuali possono ancora funzionare per
qualche mese, e chissà quanto si sono divertiti i troll pietroburghesi a
impersonare nello stesso giorno l’operaio bianco del Midwest arrabbiato e la
donna afroamericana abusata, passando dalla maschera di un militante liberal
della East Coast a quella di un redneck favorevole all’uso delle armi contro
gli immigrati, e dall’attivista nero che twitta contro la polizia al poliziotto
che twitta in difesa del suo diritto a sparare ai neri. Ogni troll, secondo le
testimonianze dei pochi pentiti, gestiva circa 10 account, e in turni di 12 ore
al giorno scrivere post a nome dei suoi vari alias su Facebook, Twitter,
Instagram o il social russo Vkontakte, e inviare decine di commenti alle
bacheche altrui e ai siti dei giornali anglosassoni. I più bravi gestivano
anche dei blog – Ludmila Savchuk, fuggita dalla fabbrica dei troll per
raccontarla dall’interno, per esempio, si improvvisava anche sensitiva, con
tanto di blog nel quale profetizzava immancabilmente successi per Putin. L’inchiesta
sugli account legati all’IRA di Facebook ha evidenziato una serie di feed
legati alla vendita di cosmetici, supplementi dietetici o prestiti brevi, senza
chiarire se i troll arrotondavano nel tempo libero oppure se si trattava di una
tecnica subdola per insinuarsi nei segmenti dell’audience che non seguono
abitualmente la politica.
Tutto è falso, o potrebbe esserlo, e anche se state leggendo un
post sugli alimenti bio, o l’oroscopo, oppure cliccate su un link “come
guadagnare 5 mila euro al mese da casa”, potreste in realtà essere collegati a
una fabbrica dei troll. Leonid Volkov, il capo della campagna elettorale di
Alexey Navalny (che grazie a Internet è diventato il volto dell’opposizione
russa), non esclude che l’obiettivo sia proprio questo: “Rovinare la Rete,
creare un clima d’odio, renderla ripugnante per la gente normale”. Volkov stima
l’internettizzazione del pubblico russo a poco più del 50%, e siccome il
dissenso in Russia ormai è quasi esclusivamente virtuale, si tratta di impedire
ai russi meno istruiti e critici di attingere da una fonte di informazioni
indipendente, vincolandoli alla televisione. La fabbrica dei troll, infatti, è
nata e lavora principalmente per il mercato interno, e l’espansione delle sue
operazioni all’estero è avvenuta dopo anni che le stesse tecniche venivano
utilizzate nell’ex Urss. Anzi, il cosidetto “PR nero” era stato collaudato ben
prima della diffusione di Internet: già all’inizio degli anni Zero i volantini
falsi e le telefonate agli elettori nel cuore della notte del tipo “Siamo i gay
che fanno campagna per X” o “Siamo i musulmani che sostengono Y” affondavano X
e Y nelle urne delle elezioni nella provincia russa.
Tutto è falso, anzi, inesistente: gli account, i nomi, i filmati
e i meme. Anche l’IRA, in fondo, è un falso: ufficialmente si occupa d’altro e
non abita più nemmeno in Savushkina 55: i suoi uffici sono occupati da
un’agenzia di news il cui direttore si è anche lamentato con l’inviato del New York Times
Adrian Chen della brutta fama dell’edificio, salvo pubblicare due giorni dopo
un articolo in cui sosteneva – con tanto di foto truccate – che il giornalista
americano era venuto a Pietroburgo a incontrare un famoso neonazista appena
uscito di prigione per omicidio, per reclutarlo in una rivolta contro Putin.
Anche il “cuoco di Putin” che manda in giro per il mondo troll
virtuali e mercenari veri potrebbe essere un fake: alcune operazioni dell’IRA
sarebbero difficilmente realizzabili senza l’aiuto dei servizi, ma nel nebuloso
sistema di potere del Cremlino non è chiaro se si tratta di un paravento, o di
“contractor” ambiziosi che si alleano con gli 007 e gli hacker per sorpassare
l’intelligence “ufficiale” a destra nella fornitura al regime di servizi
delicati.
L’unica cosa vera sono i lettori, e gli elettori: quelli non li
hanno inventati i troll russi, così come non hanno creato Trump, Salvini, Le
Pen e Farage. L’utilizzo spregiudicato dei fake è un brevetto storico di Mosca,
ma il pubblico che li legge, ci abbocca e li ripete con assoluta convinzione
non è mai stato a Pietroburgo. I fake prodotti in Savushkina 55 – ma pare che
ora l’Agenzia si sia spostata in una sede più grande e moderna in Optikov 4-3 –
sono imitazioni perfette di quelli autoctoni, e la bravura dei finti “redneck”
sta semmai nell’aver colto e copiato, amplificandolo, un sentimento e un
linguaggio Made in USA (e non solo). Su molte bacheche e forum russi è ormai
buona norma igienica non discutere con i troll (prezzolati o volontari),
disinnescandoli in partenza, e rischiando di catalogare tutti quelli che non la
pensano nello stesso modo come dei fake. Al Congresso USA sono state proposte
nuove sanzioni devastanti contro l’ingerenza dei troll russi nella campagna
elettorale per le elezioni del Midterm, mentre il passaporto russo sta
diventando per gli esperti di IT da bollino di qualità un punto debole, e
alcuni si sono già visti negare il visto americano.
Ma quelli che oggi vogliono chiudere i confini, affogare gli
immigrati, censurare i media, abolire i vaccini e archiviare la democrazia
hanno studiato nelle scuole dell’Occidente, non all’accademia del Kgb, e
rimarranno in Occidente anche dopo la chiusura dell’ultimo account falso di
Twitter.
Ecco come funzionava
la fabbrica dei troll del Russiagate
Un giornale russo ha ricostruito l’attività di un’azienda di San
Pietroburgo che avrebbe influenzato le elezioni americane sfruttando i social
network
La Stampa
20-10-2017
Tutto
inizia con degli hot dog. Nella primavera del 2015 – un anno e mezzo prima
delle elezioni americane – una delle “fabbriche di troll” russe fa un
esperimento. Vuole capire se riuscirà ad attrarre delle persone a un evento
inesistente a New York, senza muoversi da San Pietroburgo. “Chi si presenterà
avrà in omaggio un hot dog”, scrivono su Facebook.
In tanti
credono all’annuncio e rimangono delusi nel vedere che dei panini non c’è
nessuna traccia. Non sanno di essere osservati. Per la “fabbrica dei troll”,
dove la scena è tenuta d’occhio grazie a una webcam, è la prova che si possono
influenzare le persone a distanza, semplicemente condividendo delle notizie
false.
L’esercito dei troll
Lo
racconta il giornale russo Rbc che ricostruisce in
un’inchiesta molto dettagliata come è nata l’Ira (Internet research agency),
una delle principali “fabbriche di troll” di San Pietroburgo, e il modo in cui
– sempre secondo il giornale – si è poi mossa per influenzare le presidenziali
americane. Per riuscirci avrebbe speso più di due milioni di dollari,
stipendiando centinaia di impiegati che durante la campagna elettorale avevano
il compito di alimentare la disinformazione sui social media. Lo scopo
principale era di diffondere l’odio razziale nel contesto di campagne come “Black lives matter”. Ma potevano anche
sposare altre cause, come quella per la diffusione delle armi.
Rbc ha
stilato un elenco di quasi 120 comunità e gruppi tematici di questo tipo
diffusi in Facebook, Instagram e Twitter, attivi fino all’agosto 2017 e
collegati alla “fabbrica dei troll”. Il giornale ha chiesto la consulenza di
alcuni esperti di linguistica, fra cui Ronald Meyer della
Columbia University. Hanno provato che in una buona parte dei post gli errori
nell’inglese erano quelli tipici dei madrelingua russi. Secondo le stime di
Rbc, la fabbrica è stata in grado di condividere fra i 20 e 30 milioni di post
e altri contenuti nel solo settembre 2016. Arrivando ai 70 milioni
nell’ottobre.
Per di
più, secondo Rbc alcune delle storie condivise dalla “fabbrica” sarebbero state
così credibili da essere poi riprese dai media internazionali come Bbc, Usa
Today e Al Jazeera. Secondo fonti interne alla fabbrica, in questo periodo
sarebbero stati spesi quasi 200.000 rubli (circa 3.000 euro) al mese per tecnologie
informatiche, fra cui server proxy, nuovi indirizzi ip e sim telefoniche.
Come una vera fabbrica
Come ha scritto Thing Progress, le campagne internet
non supportavano direttamente Donald Trump, ma avrebbero poi favorito la sua
campagna elettorale alimentando tematiche sociali controverse. Questo scopo
poteva però non essere chiaro ai dipendenti della “fabbrica dei troll”,
organizzati come in una qualsiasi azienda.
Rbc ha
spiegato come gli impiegati rispettassero dei turni, con giorni di pausa e
salari differenziati sulla base delle competenze. Un troll di primo livello
poteva guadagnare 55.000 rubli ogni mese (quasi 810 euro), ma erano previsti
dei premi in caso di reazioni forti alle storie condivise. Secondo le stime, in
questo periodo avrebbero lavorato per la “fabbrica” fino a 250 persone.
Ma è
difficile avere poi il conto degli attivisti che hanno sposato le campagne
architettate a San Pietroburgo, senza neppure sospettarne l’origine russa.
Convincerli non sarebbe stato difficile. Il sistema d’influenza non era poi
molto diverso da quel primo rudimentale esperimento che aveva portato decine di
persone in una piazza di New York, in cerca di un hot dog gratuito.
Mica funzioneranno 'sti troll russi, diceva l'Fbi. E invece
Alcuni
ufficiali americani hanno a lungo provato a convincere Cia, Fbi e
dipartimento di Stato a mettere in atto una controffensiva. Ma sono
stati inascoltati
3 commenti:
Al direttore - Il pezzo di Daniele Raineri “La sai l’ultima sui servizi russi?” è bellissimo. Esso sviluppa un’analisi riguardante il quadro internazionale. Ma l’Italia è un paese nel quale la Russia di Putin ha molto lavorato, a dir la verità in una chiave politica più che spionistica e ha ottenuto risultati eccellenti. C’è stato un lavoro politico profondo sia sul Movimento 5 stelle sia sulla Lega, i due partiti che oggi hanno in mano il governo del paese. Per parte sua, Salvini non fa mistero dell’esistenza di questo legame di ferro e anzi esibisce una sorta di culto della personalità di Putin che assomiglia a quello che i vecchi comunisti avevano nel confronti di Josif Stalin. Nell’altra legislatura i grillini presentarono addirittura una mozione per l’uscita dell’Italia dalla Nato, poi qualcuno, forse una “manina” paleodemocristiana con università privata annessa, ha suggerito una grande prudenza verbale visto che allora il giovane Di Maio aspirava addirittura alla presidenza del Consiglio. Così oggi l’Italia è un paese il cui governo è profondamente influenzato dalla Russia. Le dice nulla il fatto che l’Italia è l’unico grande paese occidentale che non ha firmato il documento di solidarietà con la Gran Bretagna per le operazioni descritte da Raineri? Solo Berlusconi crede che Putin è ancora quello di Pratica di Mare. Allora Putin si presentò col cappello in mano, perché dopo il crollo del 1989 doveva far rientrare la Russia nel grande gioco. Poi, grazie anche all’insipienza di Obama, ha messo a segno i colpi descritti da Raineri, dall’Ucraina alla Siria e quindi oggi esprime con forza e talora anche con arroganza la sua leadership geopolitica, non economicofinanziaria nel mondo.
Ci sono molte teorie sul perché Vladimir Putin abbia favorito Trump nelle elezioni del 2016, ma gli esperti di sicurezza concordano che la strategia del Cremlino sia quella di seminare discordia in occidente. Per questo la Russia cerca di macchiare quasi tutte le elezioni nazionali, e regala il proprio sostegno a vari gruppi nazionalisti e populisti in Europa.
Come tutti gli altri, anche i russi non si aspettavano la vittoria di Trump, ma speravano che potesse comunque danneggiare la presidenza di Hillary Clinton prima del suo inizio. Se Trump avesse perso, le sue inevitabili accuse sulla legittimità delle elezioni avrebbero indebolito Hillary Clinton. Questo è il punto. Se la Russia vuole restare fedele alla sua strategia di destabilizzazione della politica americana, allora dovrebbe sperare che i democratici riconquistino il Congresso. Molte amministrazioni ‘normali’ sono state danneggiate da una sconfitta alle elezioni di metà mandato. Questo avviene perché il partito vincitore sente di avere l’obbligo di controllare e fare opposizione al partito che esprime il presidente”.
https://www.ilpost.it/2018/02/20/fabbrica-troll-russia-san-pietroburgo/
https://www.nytimes.com/2018/02/18/world/europe/russia-troll-factory.html
https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2018/02/17/a-former-russian-troll-speaks-it-was-like-being-in-orwells-world/?utm_term=.307c065a7c1f
https://www.nytimes.com/interactive/2018/02/16/us/politics/russia-propaganda-election-2016.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Internet_Research_Agency
https://en.wikipedia.org/wiki/Internet_Research_Agency
https://www.rollingstone.it/politica/dentro-la-fabbrica-dei-troll-russi/423369/
https://www.lastampa.it/2018/08/06/esteri/nella-fabbrica-dei-troll-di-san-pietroburgo-dobbiamo-creare-disordine-in-occidente-J6TSRLgC1HeKXpUlHasExN/premium.html
https://www.lastampa.it/2017/10/20/tecnologia/ecco-come-funzionava-la-fabbrica-dei-troll-del-russiagate-a7sBKiVW1r2PDlu6d7WsTK/pagina.html
https://www.stopfake.org/it/la-fabbrica-dei-troll-dentro-gli-uffici-della-dezinformatsija/
https://globalist.it/media/2018/08/02/una-fabbrica-dei-troll-russa-per-sostenere-la-destra-populista-italiana-2028873.html
https://video.repubblica.it/dossier/elezioni-europee-2019/quasi-amici-salvini-e-i-sovranisti-europei-i-democratici-svedesi-mai-insieme-a-chi-e-sostenuto-dalla-russia/329230/329828
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