Il parlamento europeo dice no a Viktor Orbán e all’estrema destra
È la fine
dell’impunità per Viktor Orbán, primo ministro ungherese e capofila degli
“illiberali” in Europa. Con un
voto realmente storico il parlamento europeo ha sancito a
maggioranza l’avvio di una procedura contro l’Ungheria a causa delle
preoccupazioni sullo stato di diritto nel paese.
Si tratta di
un provvedimento significativo, innanzitutto perché spesso l’Unione europea ha
funzionato come un “club” in cui si cerca di evitare di punire chi infrange le
regole comuni.
Da tempo il
governo ungherese moltiplica gli attacchi contro la giustizia, i
mezzi d’informazione e la società civile, mantenendo posizioni xenofobe senza
che l’Unione reagisca. Dopo il caso della Polonia, per la seconda volta è stato
fatto ricorso all’articolo 7 che regola gli attacchi contro lo stato di diritto
nell’Ue.
Un’ambiguità
insostenibile
Il voto rappresenta una sorpresa anche perché mancano nove mesi alle elezioni europee, e questo è il secondo motivo della sua importanza.
Il voto rappresenta una sorpresa anche perché mancano nove mesi alle elezioni europee, e questo è il secondo motivo della sua importanza.
Il partito
di Orbán, Fidesz, aderisce al Partito popolare europeo (Ppe), principale
schieramento di destra all’interno del parlamento di Strasburgo e di cui fanno
parte la Cdu di Angela Merkel, i Repubblicani francesi e il partito del
cancelliere austriaco Sebastian Kurz.
Fino a
questo momento, il Ppe aveva privilegiato la coesione del gruppo mantenendo
un’ambiguità sempre più insostenibile davanti alla linea apertamente
autoritaria di Orbán.
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Il voto ha
permesso al Ppe di uscire parzialmente da questa ambiguità che rischiava di
costargli molto cara nella prospettiva delle elezioni europee. Angela Merkel
vorrebbe Manfred Weber, presidente del gruppo del Ppe a Strasburgo, come capofila
della destra allo scrutinio del prossimo maggio ed eventualmente, se il suo
schieramento vincesse le elezioni, come presidente della Commissione europea al
posto di Jean-Claude Juncker.
Originario
della Baviera, dove la destra si mostra sempre più in sintonia con il vicino
ungherese e sempre meno con la cancelliera a Berlino, Manfred Weber era
contrario a una spaccatura. Faceva parte del Ppe vicino a Orbán o di quello di
Merkel? Weber ha preso la sua decisione ieri, votando a favore dell’avvio della
procedura contro il suo vecchio amico di Budapest, anche se per il momento non
si spinge fino a chiederne l’esclusione dal Ppe. La stessa linea è stata
seguita dal capo del governo austriaco, che ha appoggiato la procedura contro
Budapest pur avendo formato in patria una coalizione con l’estrema destra.
Si tratta di
una rottura netta in un momento in cui le forze populiste e di estrema destra
hanno il vento in poppa e guadagnano voti a ogni tornata elettorale in Europa.
Viktor
Orbán, ex dissidente liberale dell’epoca comunista che ha teorizzato la svolta
autoritaria in Europa centrale, ha lanciato un attacco rischioso. In estate
aveva preso di mira Angela Merkel e la sua politica migratoria, prima di
celebrare la propria amicizia con Matteo Salvini, ministro dell’interno
italiano e capo della Lega, partito di estrema destra.
Paradossalmente,
Orbán ha costretto la destra tradizionale europea a fare una scelta che alla
fine lo ha penalizzato. Orbán viene dunque spinto verso l’estrema destra dello
scacchiere, a cui sostanzialmente appartiene. Quanto meno ora c’è più
chiarezza.
(Traduzione
di Andrea Sparacino)
2 commenti:
I governi ungherese e polacco davanti a tribunali UE per infrazioni ai decreti UE. Ora quelli del "governo" Conte si stanno candidando ad accusati non solo per questioni economiche ma anche per infrazioni tipo quelle dei polacchi e degli ungheresi (diritti individuali e stato di diritto). Non hanno capito che gran parte dei governi UE in vista delle elezioni UE faranno capire a tutti i governi UE e ai cittadini UE che il tempo dei furbetti è finito. O seguire le regole o tagli di tipo economico. A cui nessun governo può mettere veto. Tanto per cominciare. E poi magari rispolveranno il famoso piano di "UE a due velocità". Ovvero i virtuosi con l'€ in serie A e gli altri in serie B. E quelli che decideranno saranno in futuro quelli di serie A e a maggioranza. Fine dei veto. A quelli di serie B viene tolto l'€ se lo hanno.
Bolsonaro presidente, un passo avanti verso l’estinzione dell’umanità
Jair Bolsonaro, recentemente eletto alla presidenza del Brasile, non è solo un militare fascista che ha espresso il suo apprezzamento per Hitler, la tortura e i golpisti brasiliani degli anni Sessanta e Settanta, criticandoli anzi per non aver assassinato un numero sufficiente di persone. Non è solo un disgustoso omofobo e un cultore dello stupro come forma di rapporto tra i sessi. Non è solo un razzista che ritiene che i neri, gli indigeni e i poveri in genere costituiscano categorie inferiori. Non è solo un soggetto talmente estremista da far sembrare il nostro Salvini un sincero democratico. E’ certamente tutto questo, ma anche e soprattutto un adepto delle politiche neoliberali di privatizzazione, che si preannunciano nell’ordine dei cinquecento miliardi di dollari, così come si preannuncia il taglio di ogni sussidio sociale volto ad attenuare, sia pure in misura limitata, le spaventose disugaglianze sociali che colpiscono il Brasile, come altri Paesi dell’America Latina.
E’ bene sottolineare come con Bolsonaro si stia preparando un attacco frontale alle condizioni materiali di vita e ai diritti delle classi subalterne brasiliane, a beneficio di quella ristretta élite locale che, legata a filo doppio alle oligarchie internazionali, ha orientato il voto di milioni di soggetti inconsapevoli mediante il controllo dei media vecchi e nuovi. Ciò comporterà evidentemente una drastica diminuzione dei livelli di democrazia, a meno che non si voglia ridurre quest’ultima al “diritto” di esprimere ogni quattro o cinque anni la propria opzione su di un candidato alla presidenza.
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L’elezione di Bolsonaro si rivelerà ben presto anche una vera e propria sciagura per l’ecosistema globale, dati i suoi orientamenti in materia di cambiamento climatico e il fatto che in Brasile sono situate alcune delle residue risorse strategiche globali che, a partire dall’Amazzonia, saranno con ogni probabilità sacrificate alle coltivazioni intensive e al profitto delle multinazionali da rapina. L’elezione di Bolsonaro sembrerebbe quindi destinata a confermare la tesi dell’incompatibilità tra sistema capitalistico e natura recentemente affacciata da uno studio delle Nazioni Unite, imprimendo anzi una drammatica accelerazione al processo di devastazione dell’ecosistema e costituendo in questo senso un passo avanti verso l’estinzione dell’umanità, perlomeno nella forma fin qui conosciuta.
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