Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

martedì 27 novembre 2018

decreto insicurezza e clandestinizzazione


Decreto sicurezza, una fabbrica di irregolari (e di paura)

Smantellare lo Sprar e cancellare la protezione umanitaria significa rinunciare all’integrazione e trasformare in fantasmi decine di migliaia di persone in cerca di sicurezza. Lasciandole sulle nostre strade in cerca dell’esasperazione

di Simone Cosimi      WIRED  28 Nov, 2018


Una fabbrica di irregolari. Sul lato dedicato all’immigrazione il decreto sicurezza approvato ieri alla Camera ponendo la questione di fiducia – dunque senza discutere nessuno delle centinaia di emendamenti – con 336 voti a favore e 249 contrari è poco più di questo, anche volendo salvarne alcuni piccoli pezzi.
Il primo e più grave punto è l’abolizione della protezione umanitaria. Si potrà restare, fuori dal perimetro dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, solo in casi specifici: gravi motivi di salute, vittime di tratta e violenza domestica, calamità naturali e atti di valore civile. Il permesso durerà due anni e non potrà essere rinnovato.
Questo significa due cose. Primo: chi rischia in patria, fuori da ogni prescrizione della Costituzione e dei trattati internazionali, sarà rimpatriato in un Paese dove non è al sicuro. Secondo, la presa in giro: di fatto non sarà mai rimpatriato, perché mancano gli accordi con i Paesi di provenienza e i pochi che ci sono funzionano male.
Secondo l’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, gli stranieri irregolari in Italia saliranno da 490mila dello scorso dicembre a 622mila.
Un gioco di prestigio securitario buono per la propaganda e per complicare la situazione nelle strade italiane, spingendo verso l’alto odio e cinismo: sono decine di migliaia di persone che rimarranno escluse da ogni genere di accoglienza. In certi casi trattenute fino a 180 giorni nei Centri di permanenza per il rimpatrio (se si riempiranno potranno essere usate strutture di polizia), cioè gli ex Cie, nella stragrande maggioranza dei casi a zonzo per le città.
Per aumentare il rischio percepito dalle persone.
Questo arcipelago semipenitenziario si amplia ulteriormente. Oltre ai già citati 180 giorni nei Centri per il rimpatrio i richiedenti asilo, prima dunque che venga esaminata la loro posizione, potranno rimanere per trenta giorni negli hotspot e nei centri di prima accoglienza (Cara e Cas). Se quel mese non basterà, passeranno appunto nei Cpr. In totale, dunque, 210 giorni di trattenimento solo per verificarne l’identità, senza alcun genere di reato loro contestato. Il tutto vale anche per i bambini. C’è infine, all’art. 4 del decreto, la previsione di un trattenimento di 48 ore nei posti di frontiera, privo di alcun genere di garanzia.
A tutto questo flusso di irregolari prodotti dal decreto sicurezza si dovrebbe rispondere con un incremento dei fondi per i rimpatri quasi da presa in giro: 500mila euro per quest’anno, 1,5 milioni nel 2019 e un milione nel 2020. Cifre che si commentano da sole.
Altro punto drammatico del decreto ora legge è lo smantellamento dell’unico network di inserimento che funzionava, lo Sprar, il Sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Il modello diffuso gestito dai comuni italiani sarà svuotato: potrà esservi ospitato solo chi ha già ottenuto l’asilo o i minori non accompagnati. Per tutti gli altri nessuna integrazione, nessun progetto, nessun lavoro di pubblica utilità né il gratuito patrocinio se l’impugnazione di un diniego della protezione sia ritenuto inammissibile: rinchiusi dei Cpr, nei Cara, nei Cas a non far nulla. O, nella stragrande maggioranza, accampati per il Paese. E magari sgombrati periodicamente per questioni di photo opportunity. Rinunciamo all’integrazione, abdichiamo alla dignità.
Sulla lista dei reati che comportano la revoca o il rigetto dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria si può invece evidentemente discutere. Il principio di perdere l’accoglienza di un Paese perché si violano le sue leggi e si è giudicati in via definitiva non è infatti liquidabile e ha una sua ragion d’essere. Le fattispecie previste dalla legge sono violenza sessuale, lesioni gravi, rapina, violenza a pubblico ufficiale, furto aggravato, furto in abitazione e traffico di droga. Il problema nasce quando il richiedente asilo sia solo indagato: in quel caso la commissione territoriale competente si riunisce d’urgenza per valutare la sua posizione e se la domanda viene negata non possibilità di ricorso. Di fatto un’indagine potrebbe essere presa per una sentenza.
Altra strettoia è l’introduzione della lista dei Paesi sicuri: chi proviene da un Paese incluso nell’elenco che il governo dovrà stilare (se ne occuperanno vari ministeri che sentiranno alcuni organismi internazionali), dovrà dimostrare, a suo solo carico, di avere gravi motivi per richiedere l’asilo in Italia. Addirittura, se può tornare in una zona del suo Paese considerata sicura non ha diritto a rimanere. Ma chi decide se un’area o l’altra della Somalia o dell’Eritrea è sicura?
C’è infine la revoca della cittadinanza per questioni di terrorismo a una vasta platea di cittadini: nati in Italia, coniugi di italiani, stranieri figli (anche adottivi) di italiani. Un meccanismo diabolico che rischia fortemente l’incostituzionalità non solo perché crea cittadini di due categorie ma produce di fatto apolidia, atteggiamento legislativo vietato da uno specifico trattato sottoscritto dall’Italia.
Il resto del decreto alterna misure scivolose – come i taser ai vigili urbani dei capoluoghi di provincia o la possibilità concessa ai sindaci di intervenire sugli orari di certi esercizi interessati da “fenomeni di aggregazione notturna” – ad altri attesi come il braccialetto elettronico anche per imputati di stalking e maltrattamenti in famiglia passando per l’inasprimento delle sanzioni per chi organizza occupazioni di immobili. Ma il cuore si gioca intorno al falso concetto di sicurezza: senza un meccanismo efficace dei rimpatri si tratta di un bluff. E anche laddove questo esistesse, si tratterebbe di un clamoroso arretramento dello Stato di diritto.





Decreto "sicurezza"

Organizzare il caos: è la logica del Viminale sui migranti


http://www.vita.it/it/article/2018/12/01/organizzare-il-caos-e-la-logica-del-viminale-sui-migranti/149965/

Finita l'emergenza concreta degli arrivi di migranti - piaccia o no, sono i numeri a dirlo -, l'emergenza deve continuare. Come? Creando le condizioni affinché le proprie profezie si avverino: decine di migliaia di persone finiranno per strada. Presumibilmente affluiranno nelle grandi città. Questa è la logica del Decreto cosiddetto Sicurezza, per chi la sappia davvero leggere. Creare il caos e, poi, organizzarlo

C'è una logica, non solo retorica nel percorso di Matteo Salvini. Ed è alla prima che dobbiamo guardare, per non farci distrarre dalla seconda. Nei mesi scorsi, siamo finiti a farci dettare l'agenda da un tweet (no Tav-sì Tav, no inceneritori-sì inceneritori, etc.) che ha creato un campo di continue polarizzazioni apparenti.

Logica, non solo retorica

La logica, però, era chiara da tempo, bastava guardare le cose senza compromessi. Ne avevamo scritto su queste pagine nel maggio scorso: azzerare il sistema Sprar. Favorire grandi aggregati (privati e di interesse). Era lo scopo? Per chi scrive, sì. I grandi aggregati - la forma giuridica conta poco, ma notiamo una prevalenza di Srl create ad hoc negli anni scorsi - avevano già dato pessima prova di sé nel sottosistema dei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria che, lo dice il nome, rispondono a una logica emergenziale. Finita l'emergenza, perché mantenere questo strumento? La risposta ognuno può darsela da sé.


Le tessere del domino

A riprova di questo, in conseguenza della nuova logica del Viminale, dalle Prefetture stano arrivando lettere come quella che pubblichiamo (in questo caso è di Potenza) che spiegano in maniera chiare e semplice gli effetti del Decreto, in termini di abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Altra questione? Non proprio: altro tassello del domino che si sta componendo, giorno dopo giorno, sotto gli occhi di tutti.
Finita l'emergenza concreta degli arrivi di migranti - piaccia o no, sono i numeri a dirlo -, l'emergenza deve continuare. Come? Creando le condizioni affinché le proprie profezie si avverino: 150mila persone finiranno per strada per gli effetti complessivi del Decreto "sicurezza". Presumibilmente affluiranno nelle grandi città.

Milano: prove di caos generale

Prendiamo un dato concreto: sono 500 i profughi accolti nei centri di accoglienza gestiti dalle cooperative di Caritas Ambrosiana nella Diocesi di Milano. Ora rischiano di diventare senza tetto per effetto del Decreto "sicurezza". Perché? Perché non avranno più la possibilità di ottenere la protezione umanitaria. Inoltre non potranno più essere accolti all’interno del sistema di protezione per richiedenti asilo gestito dai Comuni, lo Sprar. Saranno vanificati gli sforzi fatti per avviare percorsi di integrazione. Rischia così di andare perso l’investimento di risorse pubbliche e private erogate per l’accoglienza e i corsi professionali senza considerare il lavoro e il tempo offerto gratuitamente da centinaia di volontari impegnati nelle scuole di italiano e nei tanti percorsi di accompagnamento sociale.
«Poiché non è realistico immaginare che saranno rimpatriati, ci aspettiamo di ritrovarli in coda ai nostri centri di ascolto. Dopo esserci impegnati per la loro integrazione ora dovremo spendere soldi e tempo per aiutarli ma senza, a questo punto, poter offrire loro alcuna prospettiva di futuro: un controsenso», sostiene il direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti.
Risultato? Il caos. Obiettivo mancato? Tutt'altro. Il chiacchiericcio sulla retorica lasciamolo ai gatekeepers: le profezie che si autoavverano non sono più profezie, ma dati di triste realtà. C'è una logica nel Decreto cosiddetto Sicurezza, per chi la sappia davvero leggere. Creare il caos e, poi, organizzarlo.

Il Decreto Sicurezza è una crociata contro gli ultimi, stranieri e non

Oltre a "mettere per strada" migliaia di stranieri, il provvedimento se la prende con i più poveri e avrà l'effetto di limitare le forme di dissenso tramite il reato di blocco stradale.
di Dario Falcini - 2 dicembre 2018

https://www.rollingstone.it/politica/il-decreto-sicurezza-e-una-crociata-contro-gli-ultimi-stranieri-e-non/438188/

In questi giorni tutti quanti si stanno soffermando sugli effetti che il Decreto Sicurezza avrà sui flussi di immigrazione e sulla vita degli stranieri già presenti in Italia. Giustamente, perché rischiano di essere devastanti: per i richiedenti asilo la permanenza diventerà sempre più complicata e ottenere lo status di protezione internazionale sarà quasi impossibile, con l’esito di aumentare di gran lunga il numero di irregolari presenti sul territorio nazionale. Organizzare il caos, questa è la logica, come ha scritto qualcuno.
Ma il provvedimento approvato in via definitiva martedì dalla Camera – e che mette assieme due testi: il Decreto Sicurezza e il Decreto Immigrazione, riunificati per agevolarne l’approvazione – non si limita solo a “punire” gli immigrati, dopo anni di propaganda circa la loro pericolosità sociale. Riguarderà anche numerosi cittadini italiani: coloro che sono rimasti indietro, quelli che il governo di Matteo Salvini e del Movimento 5 Stelle – più passa il tempo e più appare evidente come nello slogan “né di destra, né di sinistra” una delle due negazioni fosse un po’ più convinta dell’altra – si ripromettono di riscattare dopo decenni di abbandono.
«Le misure sono accomunate da un obiettivo: emarginare ancora di più gli ultimi», dice Arturo Salerni, avvocato romano che, tra le centinaia di processi portati avanti nella sua carriera, difende le 300 parti lese per il naufragio di Lampedusa, i familiari di Soumayla Sacko e di numerose vittime di caporalato, e poi manifestanti e spazi occupati della capitale. «Stiamo studiando il testo, ci sono diversi motivi di preoccupazione», aggiunge Eugenio Losco, collega che fa parte del direttivo della camera penale Milano, ed è il più noto “avvocato di movimento” della città lombarda.
Ma quali sono i punti che destano la loro apprensione? Anzitutto l’articolo 23 del Decreto 113/2018 (per tutti Decreto Salvini, ndr), quello intitolato “Disposizioni in materia di blocco stradale”. «Viene reintrodotto un reato (quello di blocco stradale appunto, ndr) che era previsto in una legge del 1948, e che era stato depenalizzato nel 1999. Allora si creò una distinzione tra coloro che impedivano o ostacolavano la libera circolazione sui binari ferroviari e chi lo faceva su una strada ordinaria: solo i primi rischiavano il carcere, per i secondi era prevista una sanzione amministrativa», spiega Losco. «Ora si torna al passato, con il reato che può essere contestato su ogni tipo di strada. Inizialmente il testo spiegava che il blocco poteva svolgersi sia tramite degli ingombri che con il proprio corpo, ma in fase di conversione del decreto la seconda opzione è stata levata: devono essere presenti oggetti fisici in strada». 
Quello che più colpisce è il carico della pena: da uno a sei anni, che raddoppiano se il reato è commesso da 10 o più persone e se è contestata l’aggravante di violenza o minacce. «I confini sono ampi e non sarà affatto semplice stabilire quando si configura il blocco», dice Salerni. Tante manifestazioni – più o meno tutte quelle non concordate con la questura, e quindi autorizzate a occupare la sede stradale – hanno come effetto blocchi o ritardi nella circolazione dei mezzi, dalle auto ai tram. «Sarà da stabilire volta per volta quando contestare davvero il reato. Di certo un simile provvedimento può funzionare come deterrente a chi voglia manifestare: se non sei più che motivato, diciamo radicale, la sola possibilità di andare sotto processo può intimorirti». «E poi non è chiaro se si sommerà al reato di interruzione di pubblico servizio, che ha una condotta sovrapponibile ed è già previsto dalla legge. Ravvisiamo dei profili di incostituzionalità», prosegue Eugenio Losco.
Che spiega anche come il reato determini la revoca del permesso di soggiorno alle persone coinvolte, e sia considerato ostativo all’emissione di uno nuovo. E pare quindi pensata ad hoc per limitare le proteste dei lavoratori della logistica, molto frequenti – e determinate – gli scorsi mesi nel piacentino e nell’hinterland di Milano, dove hanno sede alcuni corrieri per il trasporto merci e magazzini di stoccaggio di grandi aziende.
Ma i facchini – quasi tutti stranieri – non saranno gli unici “beneficiari” del decreto. Con gli articoli 30 e 31 il Dl va all’attacco di chi occupa case e altri immobili. Chi “invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”. «Prima era prevista una pena fino a due anni oppure una multa, ora la sanzione si somma al carcere da uno a tre anni, che salgono da due fino a cinque in caso il reato sia commesso da più di 5 persone. Può essere contestato d’ufficio oppure per querela di parte (ad esempio il proprietario dell’immobile, ndr)», dice Losco. E se l’occupazione risale indietro nel tempo? «Teoricamente vale il momento in cui viene contestata».
Inoltre per chi è accusato di aver promosso l’occupazione sono previste delle aggravanti. «Si vogliono punire i movimenti per la casa, particolarmente forti negli ultimi anni in città come Roma o Milano», spiega Losco. «Nei loro confronti», aggiunge Salerni, «è prevista la possibilità di effettuare delle intercettazioni telefoniche, in caso si pensi che stiano organizzando un’occupazione. Questo in deroga alla legge, che vuole che un simile tipo di attività investigativa sia riservata a reati con pene superiori».
Infine – tutto da chiarire e quindi da studiare molto attentamente -, nel decreto trovano posto misure repressive come l’estensione del Daspo, provvedimento nato per allontanare i violenti dallo stadio e oggi introdotto in contesti molto diversi. Il cosiddetto Daspo urbano, l’impossibilità di frequentare una città o zone della stessa, allarga il suo raggio d’applicazione. «Chi viene incolpato di avere creato disordini in un locale pubblico, può essere impedito a tornarci. Ci sono varie possibilità», spiega Eugenio Losco. E poi la sperimentazione del taser anche alla polizia municipale e l’aberrazione del reato di accattonaggio, tra le tante novità del decreto. Di certo aumenteranno i clienti di professionisti come Salerni e Losco. «E come sempre lavoreremo pro bono», dice quest’ultimo. Trovando fortunatamente il modo di concedersi una risata su un decreto che va a colpire chi non può nemmeno pagarsi un avvocato.

1 commento:

Anonimo ha detto...

"SALVINI FA IL SURF SULLE PAURE DEGLI ITALIANI" (Giuliano Cazzola)