Le inchieste de L'Espresso
Lega, caccia ai milioni dal Lussemburgo: cosa sappiamo sui soldi del partito di Salvini
Gli investimenti illegali. L'associazione usata per ottenere finanziamenti privati. I soldi della truffa incassati dai nuovi dirigenti. I fortunati fornitori del partito. I bonifici di Parnasi. Fino allo strano gruppo di società controllate tramite una holding in Lussemburgo. Lo stesso Paese dove ora i magistrati credono che la Lega abbia riciclato milioni
di
Giovanni Tizian e Stefano Vergine
13 giugno 2018
Roberto Maroni e Matteo Salvini
hanno riciclato i soldi della Lega in Lussemburgo? È questa la pista che stanno
seguendo i magistrati della procura di Genova, da tempo impegnati a capire dove
sono finiti i 48 milioni di euro di rimborsi elettorali usati illegalmente dal
Carroccio ai tempi di Umberto Bossi. La notizia è stata pubblicata questa
mattina da Repubblica e da Il Fatto Quotidiano. I due giornali hanno
raccontato di una segnalazione inviata dalle autorità lussemburghesi alla Banca
d'Italia poco dopo le ultime elezioni del 4 marzo. Una segnalazione legata a un
movimento bancario sospetto: 3 milioni di euro versati da una fiduciaria
lussemburghese su un conto corrente italiano che gli investigatori ritengono
collegato alla Lega.
L'inchiesta dalla procura di Genova, per ora a carico di ignoti, ha portato questa mattina la Guardia di Finanza a perquisire le sedi della banca Sparkasse di Bolzano e Milano con l'obiettivo di raccogliere tutta la documentazione sui conti del Carroccio. Come detto, la vicenda riguarda i 48 milioni di euro di rimborsi elettorali incassati dalla Lega ai tempi di Bossi. Soldi percepiti illegalmente, hanno stabilito in primo grado i tribunali di Genova e Milano, perché frutto di truffa e appropriazione indebita.
L'inchiesta dalla procura di Genova, per ora a carico di ignoti, ha portato questa mattina la Guardia di Finanza a perquisire le sedi della banca Sparkasse di Bolzano e Milano con l'obiettivo di raccogliere tutta la documentazione sui conti del Carroccio. Come detto, la vicenda riguarda i 48 milioni di euro di rimborsi elettorali incassati dalla Lega ai tempi di Bossi. Soldi percepiti illegalmente, hanno stabilito in primo grado i tribunali di Genova e Milano, perché frutto di truffa e appropriazione indebita.
vedi anche:
Esclusivo: anche Matteo Salvini ha usato i soldi rubati da Bossi
L’attuale leader della Lega e Bobo Maroni hanno utilizzato una parte dei 48 milioni di euro frutto della truffa orchestrata dal Senatur e dall’ex tesoriere. Lo dimostrano le carte del partito tra la fine del 2011 e il 2014 che abbiamo consultato
Il problema è che quando i magistrati sono andati a
sequestrare tutti questi soldi sui conti del Carroccio hanno trovato solo 3
milioni. Gli altri? A questo tema – importante non solo perché riguarda un
partito politico ma anche perché stiamo parlando di 45 milioni di euro
pubblici, provenienti da chi paga le tasse - L'Espresso ha dedicato molti
articoli nell'ultimo anno. Inchieste giornalistiche, basate su visure camerali
e documenti interni alla Lega, che hanno permesso di svelare parecchie notizie
inedite. Innanzitutto il fatto che sia
Maroni che Salvini, segretari federali succeduti a Bossi, pur avendolo più
volte negato in pubblico hanno usato il denaro pubblico frutto di truffa, e lo
hanno fatto consapevoli dei rischi che correvano.
L'Espresso è stato anche il primo giornale a rivelare ai suoi lettori l'esistenza di parecchi milioni di euro investiti dalla Lega in prodotti finanziari vietati per un partito. In barba alla legge, Maroni e Salvini hanno infatti usato i denari del Carroccio per acquistare titoli obbligazionari di alcune delle più famose banche e multinazionali del
L'Espresso è stato anche il primo giornale a rivelare ai suoi lettori l'esistenza di parecchi milioni di euro investiti dalla Lega in prodotti finanziari vietati per un partito. In barba alla legge, Maroni e Salvini hanno infatti usato i denari del Carroccio per acquistare titoli obbligazionari di alcune delle più famose banche e multinazionali del
vedi anche:
Esclusivo: caccia ai soldi della Lega
Il denaro investito in modo illegale. E la onlus Più voci per sfuggire ai giudici. Quel che non dice l’uomo che vuole l’incarico di governo
mondo come General Electric, Gas Natural, Mediobanca, Enel,
Telecom, Intesa Sanpaolo e Arcelor Mittal. Dove sono finiti tutti questi soldi?
Su quale conto corrente sono stati incassati una volta scadute le obbligazioni?
Gli strumenti del giornalismo d'inchiesta non ci hanno permesso di scoprirlo.
Seguendo i movimenti finanziari della galassia leghista siamo però riusciti a raccontare qualche altro fatto inedito. Abbiamo ad esempio dato conto dell'esistenza, a partire dal 2015, dell'associazione Più Voci, un'organizzazione fondata dal tesoriere del partito, Giulio Centemero, e usata per ricevere finanziamenti privati al riparo da sguardi indiscreti. È così emerso che sul conto corrente dell'associazione leghista sono arrivati bonifici a quattro e cinque zeri da Esselunga e dal costruttore romano Luca Parnasi, quello che dovrebbe realizzare lo stadio della Roma e che proprio per questo progetto è stato arrestato oggi su mandato della procura di Roma con l'accusa, insieme a diverse altre persone, di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.
Seguendo i movimenti finanziari della galassia leghista siamo però riusciti a raccontare qualche altro fatto inedito. Abbiamo ad esempio dato conto dell'esistenza, a partire dal 2015, dell'associazione Più Voci, un'organizzazione fondata dal tesoriere del partito, Giulio Centemero, e usata per ricevere finanziamenti privati al riparo da sguardi indiscreti. È così emerso che sul conto corrente dell'associazione leghista sono arrivati bonifici a quattro e cinque zeri da Esselunga e dal costruttore romano Luca Parnasi, quello che dovrebbe realizzare lo stadio della Roma e che proprio per questo progetto è stato arrestato oggi su mandato della procura di Roma con l'accusa, insieme a diverse altre persone, di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.
vedi anche:
I soldi dei leghisti nascosti in Lussemburgo
Gli affari dei tre commercialisti scelti da Salvini per gestire i fondi del partito. Tra fiduciarie svizzere e holding offshore
Infine, nell'ultima inchiesta di copertina, abbiamo
raccontato degli affari dei commercialisti scelti da Salvini per gestire le
finanze del partito. E proprio studiando la rete societaria collegata ai
cassieri del ministero dell'Interno siamo arrivati nel più noto paradiso
fiscale europeo: il Lussemburgo. Lo stesso Paese che i magistrati di Genova
ritengono essere al centro del riciclaggio milionario targato Lega.
I soldi dei leghisti nascosti in Lussemburgo
Gli affari dei tre commercialisti scelti da Salvini per gestire i fondi del partito. Tra fiduciarie svizzere e holding offshore
di
Giovanni Tizian e Stefano Vergine
07 giugno 2018
È
questa la sede dell’associazione “Più voci”? La portiera di via Angelo Maj 24,
a Bergamo, sgrana gli occhi. «Mai sentita nominare», risponde. Eppure, secondo
i documenti ufficiali ottenuti da L’Espresso, è in questo condominio a sei
piani color verde acqua che è stata registrata l’associazione fondata da tre
commercialisti fedelissimi di Matteo Salvini. Un’associazione importante per
capire come il leader della Lega ha riorganizzato le finanze del partito dopo
gli scandali della gestione Umberto Bossi e del tesoriere Francesco Belsito, le
condanne per truffa, i sequestri milionari. In meno di un anno, dall’ottobre
del 2015 all’agosto del 2016, sul conto corrente della “Più Voci” sono arrivati
bonifici per un totale di 313.900 euro. Denaro versato principalmente da
Esselunga e dall’immobiliarista romano Luca Parnasi. Soldi che
“l’organizzazione culturale” ha girato subito dopo a due società molto vicine
alla Lega: Radio Padania e Mc srl, l’impresa che edita il quotidiano online Il
Populista. Possibile che nemmeno la portiera dello stabile abbia mai sentito
parlare della “Più Voci”, la porta girevole creata dai cassieri di Salvini per
incamerare finanziamenti privati? Davanti all’insistenza dei cronisti,
l’anziana signora ha un sussulto. Estrae da un cassetto un foglio bianco: vi
sono riportati i nomi di una ventina di società. La portiera scorre
attentamente l’elenco. «Eccola», esclama, «l’associazione “Più Voci” in effetti
è qui, in quella porta», e la indica con il dito al piano terra.
La porta è quella dello studio Dea Consulting, di proprietà di due commercialisti bergamaschi poco noti: Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba. Sono stati loro, insieme al collega e tesoriere leghista Giulio Centemero, a creare l’associazione. Sempre loro a depositare all’ufficio brevetti il marchio “Salvini premier”, sfondo blu e scritta bianca in stile Trump. E ancora loro a spostare il baricentro finanziario del partito da Milano, in via Bellerio, sede storica del Carroccio, alla più modesta via Angelo Maj, nella Bergamo dell’ex ministro Roberto Calderoli, bossiano del cerchio magico fino alla tempesta dell’indagine sulla truffa dei rimborsi elettorali, poi unico della vecchia guardia a sedersi con Salvini al tavolo delle trattative con i Cinquestelle. Passato e futuro che si incrociano in questa palazzina residenziale di Bergamo bassa. Con al centro i tre giovani contabili scelti da Matteo per gestire la cassa. Tutti nati nel 1979, tutti laureati in economia e commercio all’università di Bergamo, dove si sono conosciuti nei primi anni 2000. È indagando sugli affari dei tre commercialisti che si scopre una lista infinita di società. Una ragnatela che nasconde parecchie sorprese. Ci sono ad esempio sette imprese registrate presso lo studio Dea Consulting, di cui è però impossibile conoscere il reale proprietario: a controllarle è una fiduciaria che porta lontano dai confini nazionali cari a Salvini. Seguendo il flusso di denaro si arriva in Lussemburgo passando per la Svizzera. E ci si imbatte pure nella nipote di Silvio Berlusconi, azionista di minoranza della pattuglia di aziendine che fanno base presso lo studio dei commercialisti leghisti. Ma non è tutto. Approfondendo gli affari dei cassieri del Carroccio si arriva a un’impresa di Di Rubba e Manzoni che noleggia auto, il cui fatturato si è impennato da quando la Lega è diventata sua cliente. E c’è pure una grande tipografia della bergamasca, anche questa diventata fornitrice di punta del partito gestione-Salvini, il cui proprietario ha fatto guadagnare oltre un milione di euro a Di Rubba.
Operazione Lussemburgo
Centemero, Di Rubba e Manzoni. Gli amministratori della cassa del partito, traslocata in gran fretta dalla milanese via Bellerio alla bergamasca via Angelo Maj. Tutti e tre con ruoli di peso all’interno della Lega. Centemero è il tesoriere del partito. Gli altri due ad aprile sono stati nominati rispettivamente direttore amministrativo e revisore contabile dei gruppi parlamentari, Manzoni alla Camera e Di Rubba al Senato. Un ruolo delicato, perché chi lo ricopre ha a che fare con soldi della collettività. I gruppi parlamentari sono infatti sovvenzionati dallo Stato. E con la fine del finanziamento pubblico ai partiti, sono rimasti l’unico canale attraverso cui le forze politiche possono incamerare denaro dei contribuenti. Per questo sarebbe auspicabile evitare commistioni tra il ruolo pubblico e quello privato dei professionisti impegnati ad amministrare o a vigilare sui conti dei gruppi parlamentari.
Al vertice del trio di cassieri Salvini ha posto Centemero, militante di lungo corso e tesoriere ufficiale del partito dal 2014. Compito particolarmente delicato viste le grane finanziarie in cui si è impelagata la Lega dopo la truffa sui 48 milioni di euro di rimborsi elettorali (sentenza di primo grado). Già assistente a Bruxelles di Salvini, che dice di conoscere da quando aveva 17 anni, il giovane commercialista è l’unico dei tre contabili ad essersi guadagnato un posto in Parlamento alle ultime elezioni. L’uomo a cui è stato affidato il compito di mettere in sesto le casse leghiste ha in effetti un curriculum di tutto rispetto. Niente a che vedere con Francesco Belsito, che prima di assumere la carica di tesoriere faceva l’autista. Nato in Brianza e residente a Milano, Giulio vanta un master in Bocconi e uno alla Boston University di Bruxelles, esperienze lavorative in multinazionali come Ibm e Pricewaterhouse Coopers, una passione non comune per le lingue (dice di cavarsela persino con l’armeno, l’arabo e il cinese). Nel curriculum non lo scrive, ma a facilitare la sua scalata nel mondo della politica potrebbe essere stata anche una parentela prestigiosa: sua sorella si chiama infatti Elena, più volte deputata di Forza Italia.
È stato Centemero a spostare gli affari più riservati della Lega da Milano a Bergamo, nello studio commercialistico di via Angelo Maj 24, quello degli ex compagni di università Di Rubba e Manzoni.
Questo civico alle porte del centro storico è diventato oggi il crocevia di decine di società sconosciute ai più. Sette di queste, però, sono più speciali delle altre. La proprietà è infatti impossibile da decifrare. Un lavoro da professionisti, quali sono in effetti i cassieri di Matteo. Risalendo la catena di controllo delle sette imprese registrate presso lo studio Dea Consulting ci si imbatte infatti in una fiduciaria italiana, a sua volta controllate da una holding lussemburghese dietro la quale si trova un’altra fiduciaria. Un’architettura perfetta per celare l’identità dei proprietari e ottimizzare il carico fiscale. Tutto legale, meglio dirlo subito. Ma andiamo con ordine. Tutte le azioni delle sette società italiane - che in comune hanno il fatto di essere state fondate tra il 2014 e il 2016, dopo la presa del potere di Salvini e la nomina di Centemero a tesoriere del partito - sono detenute dalla Seven Fiduciaria di Bergamo, a sua volta controllata da un’altra impresa bergamasca, la Sevenbit. Il presidente del consiglio d’amministrazione di quest’ultima si chiama Angelo Lazzari, che si presenta sul web come ingegnere ed ex promotore finanziario, prima in Mediolanum e poi in Unicredit, oggi manager con base in Lussemburgo.
La porta è quella dello studio Dea Consulting, di proprietà di due commercialisti bergamaschi poco noti: Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba. Sono stati loro, insieme al collega e tesoriere leghista Giulio Centemero, a creare l’associazione. Sempre loro a depositare all’ufficio brevetti il marchio “Salvini premier”, sfondo blu e scritta bianca in stile Trump. E ancora loro a spostare il baricentro finanziario del partito da Milano, in via Bellerio, sede storica del Carroccio, alla più modesta via Angelo Maj, nella Bergamo dell’ex ministro Roberto Calderoli, bossiano del cerchio magico fino alla tempesta dell’indagine sulla truffa dei rimborsi elettorali, poi unico della vecchia guardia a sedersi con Salvini al tavolo delle trattative con i Cinquestelle. Passato e futuro che si incrociano in questa palazzina residenziale di Bergamo bassa. Con al centro i tre giovani contabili scelti da Matteo per gestire la cassa. Tutti nati nel 1979, tutti laureati in economia e commercio all’università di Bergamo, dove si sono conosciuti nei primi anni 2000. È indagando sugli affari dei tre commercialisti che si scopre una lista infinita di società. Una ragnatela che nasconde parecchie sorprese. Ci sono ad esempio sette imprese registrate presso lo studio Dea Consulting, di cui è però impossibile conoscere il reale proprietario: a controllarle è una fiduciaria che porta lontano dai confini nazionali cari a Salvini. Seguendo il flusso di denaro si arriva in Lussemburgo passando per la Svizzera. E ci si imbatte pure nella nipote di Silvio Berlusconi, azionista di minoranza della pattuglia di aziendine che fanno base presso lo studio dei commercialisti leghisti. Ma non è tutto. Approfondendo gli affari dei cassieri del Carroccio si arriva a un’impresa di Di Rubba e Manzoni che noleggia auto, il cui fatturato si è impennato da quando la Lega è diventata sua cliente. E c’è pure una grande tipografia della bergamasca, anche questa diventata fornitrice di punta del partito gestione-Salvini, il cui proprietario ha fatto guadagnare oltre un milione di euro a Di Rubba.
Operazione Lussemburgo
Centemero, Di Rubba e Manzoni. Gli amministratori della cassa del partito, traslocata in gran fretta dalla milanese via Bellerio alla bergamasca via Angelo Maj. Tutti e tre con ruoli di peso all’interno della Lega. Centemero è il tesoriere del partito. Gli altri due ad aprile sono stati nominati rispettivamente direttore amministrativo e revisore contabile dei gruppi parlamentari, Manzoni alla Camera e Di Rubba al Senato. Un ruolo delicato, perché chi lo ricopre ha a che fare con soldi della collettività. I gruppi parlamentari sono infatti sovvenzionati dallo Stato. E con la fine del finanziamento pubblico ai partiti, sono rimasti l’unico canale attraverso cui le forze politiche possono incamerare denaro dei contribuenti. Per questo sarebbe auspicabile evitare commistioni tra il ruolo pubblico e quello privato dei professionisti impegnati ad amministrare o a vigilare sui conti dei gruppi parlamentari.
Al vertice del trio di cassieri Salvini ha posto Centemero, militante di lungo corso e tesoriere ufficiale del partito dal 2014. Compito particolarmente delicato viste le grane finanziarie in cui si è impelagata la Lega dopo la truffa sui 48 milioni di euro di rimborsi elettorali (sentenza di primo grado). Già assistente a Bruxelles di Salvini, che dice di conoscere da quando aveva 17 anni, il giovane commercialista è l’unico dei tre contabili ad essersi guadagnato un posto in Parlamento alle ultime elezioni. L’uomo a cui è stato affidato il compito di mettere in sesto le casse leghiste ha in effetti un curriculum di tutto rispetto. Niente a che vedere con Francesco Belsito, che prima di assumere la carica di tesoriere faceva l’autista. Nato in Brianza e residente a Milano, Giulio vanta un master in Bocconi e uno alla Boston University di Bruxelles, esperienze lavorative in multinazionali come Ibm e Pricewaterhouse Coopers, una passione non comune per le lingue (dice di cavarsela persino con l’armeno, l’arabo e il cinese). Nel curriculum non lo scrive, ma a facilitare la sua scalata nel mondo della politica potrebbe essere stata anche una parentela prestigiosa: sua sorella si chiama infatti Elena, più volte deputata di Forza Italia.
È stato Centemero a spostare gli affari più riservati della Lega da Milano a Bergamo, nello studio commercialistico di via Angelo Maj 24, quello degli ex compagni di università Di Rubba e Manzoni.
Questo civico alle porte del centro storico è diventato oggi il crocevia di decine di società sconosciute ai più. Sette di queste, però, sono più speciali delle altre. La proprietà è infatti impossibile da decifrare. Un lavoro da professionisti, quali sono in effetti i cassieri di Matteo. Risalendo la catena di controllo delle sette imprese registrate presso lo studio Dea Consulting ci si imbatte infatti in una fiduciaria italiana, a sua volta controllate da una holding lussemburghese dietro la quale si trova un’altra fiduciaria. Un’architettura perfetta per celare l’identità dei proprietari e ottimizzare il carico fiscale. Tutto legale, meglio dirlo subito. Ma andiamo con ordine. Tutte le azioni delle sette società italiane - che in comune hanno il fatto di essere state fondate tra il 2014 e il 2016, dopo la presa del potere di Salvini e la nomina di Centemero a tesoriere del partito - sono detenute dalla Seven Fiduciaria di Bergamo, a sua volta controllata da un’altra impresa bergamasca, la Sevenbit. Il presidente del consiglio d’amministrazione di quest’ultima si chiama Angelo Lazzari, che si presenta sul web come ingegnere ed ex promotore finanziario, prima in Mediolanum e poi in Unicredit, oggi manager con base in Lussemburgo.
Fondata nel 2015, la Sevenbit conta una trentina di azionisti - tra questi anche la nipote di Berlusconi, Alessia, attraverso la Blue Srl - ma la maggioranza delle quote, il 90 per cento, è in mano alla Ivad Sarl, sede in Rue Antoine Jans 10, Lussemburgo, fondata nel 2008 dallo stesso Lazzari. Impossibile conoscere l’origine dei capitali attraverso cui l’azienda è cresciuta a dismisura.
Di sicuro, dal dicembre del 2015 la holding lussemburghese ha un nuovo proprietario ufficiale, e anche questa volta è italiano. Si chiama Prima Fiduciaria ed è specializzata nella creazione di trust, cioè fondazioni anonime. Tra gli azionisti della Prima Fiduciaria troviamo un’altra lussemburghese, la Arc advisory company. Che ci riporta dritti al punto di partenza, visto che è stata fondata nel 2006 proprio da Lazzari. Anche in questo caso, però, è impossibile tracciare l’origine dei capitali: il socio di controllo della Arc advisory company è infatti la Ligustrum, una società immobiliare svizzera, con base a Lugano, le cui azioni sono intestate al portatore. Perché tutta questa riservatezza dietro a sette piccole imprese della bergamasca? Ci sono legami tra queste società e la Lega? Alle domande de L’Espresso, sia Centemero che i colleghi Di Rubba e Manzoni hanno risposto allo stesso modo. Non hanno fornito informazioni sui beneficiari ultimi della Seven Fiduciaria, ma hanno assicurato che le sette aziende in questione non hanno legami né diretti né indiretti con la Lega.
Tuttavia un fatto è indiscutibile: in una di queste l’amministratore è il tesoriere del partito, cioè Centemero, e in una seconda lo stesso ruolo è ricoperto dal professionista, Manzoni, scelto per amministrare il gruppo parlamentare alla Camera. Oltretutto quest’ultimo è stato scelto per guidare l’ammiraglia delle finanze del Carroccio, la Fin Group, di proprietà del partito.
Di certo colpisce notare come il nuovo fortino degli affari leghisti porti nel paradiso fiscale europeo per eccellenza, quello in cui hanno trovato rifugio i grandi capitali della finanza speculativa. Il Granducato per anni governato da Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, volto del cosiddetto establishment e guardiano dei vincoli di bilancio europei che Salvini vorrebbe demolire in nome del sovranismo. Eppure, se da un lato Matteo promette una lunga guerra di trincea alle istituzioni comunitarie e si dice pronto a scommettere che la flat tax rimetterà in sesto i conti pubblici italiani, dall’altro non sembra preoccupato dagli affari offshore legati ai suoi fedelissimi cassieri. Affari in cui ricorrono spesso gli stessi nomi. Come quello di Giorgio Balduzzi, presente come procuratore speciale della Seven Fiduciaria all’atto di costituzione di alcune delle imprese registrate presso lo studio di Manzoni e Di Rubba. Balduzzi si mostra come numero uno della Wic Private Equitiy, una holding che gestisce investimenti. Nello stesso gruppo lavora Laura Balduzzi, che fino a settembre 2013 era la titolare dello studio poi venduto al duo Manzoni-Di Rubba.
Un altro nome ricorrente è quello di Alberto Maria Ciambella. È il notaio, anche lui bergamasco, che ha registrato tutte e sette le società domiciliate al 24 di via Angelo Maj, quelle riconducibili all’anonima holding lussemburghese Ivad. Ma è anche l’ufficiale che ha firmato tutti i rogiti attraverso cui la Lega ha sparpagliato il suo ricco patrimonio tra le varie sezioni regionali del partito, prontamente dotate di codice fiscale e quindi di autonomia patrimoniale. Una mossa inedita, realizzata dopo l’arrivo di Salvini al potere e l’avvio dell’inchiesta per truffa che poco dopo avrebbe portato al sequestro dei conti del Carroccio, sui quali finora i magistrati di Genova hanno trovato poco più di 3 milioni di euro rispetto ai 48 milioni che cercavano. Una coincidenza, forse, quella del notaio Ciambella. O più probabilmente la conferma che Bergamo è diventata il nuovo centro finanziario della Lega di Salvini, il posto più sicuro per ridare fiato agli affari. Quelli dichiarati e quelli più segreti.
Un amico d’oro
La funzione pubblica e quella privata si mischiano spesso anche quando si prova a ricostruire l’ascesa del commercialista Di Rubba, nominato ad aprile scorso direttore amministrativo del gruppo parlamentare della Lega al Senato. Una fortuna pazzesca, quella del 39enne commercialista di Gazzaniga. Ex dipendente di Ubi Banca, appassionato di montagna e motocross, da quando Salvini è diventato segretario del partito lui ha accumulato incarichi prestigiosi: presidente di Lombardia Film Commission, la fondazione controllata dalla Regione che ha come scopo quello di promuovere sul territorio lombardo le produzioni video; consigliere d’amministrazione di Radio Padania, la storica emittente del Carroccio in cui il segretario federale ha mosso i primi passi; amministratore unico di Pontida Fin, la cassaforte immobiliare del Carroccio, oggi rimasta l’unica azienda del partito con un patrimonio rilevante.
Ripartiamo allora da lui, da Di Rubba e dalla sua fortuna. Non quella politica, però, ma quella finanziaria. Il gioiellino di famiglia si chiama Dea Spa, società immobiliare in cui Centemero e Manzoni hanno avuto incarichi di vigilanza, che conta oltre 20 proprietà tra case e terreni. Il vero colpaccio, però, Alberto l’ha messo a segno di recente. E ha fatto tutto da solo, senza l’aiuto dei familiari. Una compravendita azionaria da far impallidire i più smaliziati venture capitalist. Al centro dell’affare c’è la Arti Group Holding, società fondata a Bergamo nel dicembre dell’anno scorso e attualmente inattiva, dicono le visure camerali. Quando viene costituita, Arti Group Holding ha tre azionisti: Alessandro Bulfon con il 49 per cento, Marzio Carrara con il 45 per cento e Alberto Di Rubba con il 6 per cento. Cinque mesi dopo, il 10 maggio 2018, Di Rubba vende la sua quota a Carrara, che così ottiene il controllo dell’azienda (51 per cento).
Una normale operazione finanziaria, verrebbe da dire. Non fosse per le cifre in ballo. Al momento della fondazione della Arti Group Holding, il 6 per cento in mano a Di Rubba valeva 10 mila euro. Cinque mesi dopo, per acquistarla Carrara ha versato sul conto del commercialista bergamasco la bellezza di 1,1 milioni di euro. Che cosa è successo nel frattempo per giustificare una maggiorazione di prezzo del genere? Le cronache locali raccontano che poco dopo la costituzione, a gennaio di quest’anno, Arti Group Holding ha acquisito dal fondo tedesco Bavaria due aziende della bergamasca: la Eurogravure e il Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche. Un’operazione importante, che non spiega però il motivo di quella straordinaria rivalutazione delle quote in mano a Di Rubba. Di certo c’è che nel frattempo Carrara ha migliorato il suo rapporto con la Lega. Secondo due fonti interne al partito consultate da L’Espresso, proprio negli ultimi mesi il movimento guidato da Salvini ha scelto di affidare buona parte delle forniture di stampa, volantini e manifesti elettorali, a un’azienda di Costa di Mezzate, sempre in provincia di Bergamo. Si chiama Cpz. E il proprietario è lo stesso Carrara. Interpellati da L’Espresso sul prezzo della compravendita, il proprietario della Cpz e Di Rubba hanno risposto nello stesso modo: l’operazione – si sono limitati a spiegare - «rientra nel più vasto piano di acquisizioni mobiliari che il gruppo Carrara sta compiendo».
Quanto ha incassato l’imprenditore bergamasco dalla Lega nel 2017? A questa domanda sia Carrara che il tesoriere leghista Centemero hanno preferito non ribattere, giustificando la scelta con il rispetto della normativa sulla privacy e gli obblighi di riservatezza sui dati economici sensibili. Carrara ha voluto precisare che «da oltre vent’anni» il suo gruppo stampa per «numerose forze politiche», ma ha sempre mantenuto «una posizione di assoluta neutralità nei confronti della politica». E alla domanda “come spiega l’aumento delle forniture alla Lega nell’ultimo periodo?”, l’imprenditore ha risposto così: «Qualora vi fosse stato un aumento delle forniture in favore della Lega, ritengo possa essere attribuito alla campagna elettorale conclusasi con il voto dello scorso aprile».
Onorevole stampatore
Di certo l’eventuale aumento delle forniture della Cpz deve avere oscurato il ruolo della storica tipografia usata dal Carroccio negli anni di Bossi. Si chiama Boniardi Grafiche, ha sede a Milano e fino al 2016 ha registrato fatturati invidiabili per un’impresa di soli 9 dipendenti, oltre 2 milioni di euro all’anno. C’era solo un problema: i crediti verso i clienti, lievitati costantemente fino a sfiorare 1,5 milioni di euro. Quanti di questi erano appannaggio della Lega? Anche su questo punto il tesoriere Centemero ha spiegato di non poter rispondere a causa di «precisi obblighi di legge che mi impongono il rispetto della riservatezza», assicurando al contempo che tutte queste informazioni sono «oggetto nel caso della Lega a numerosi controlli da parte di diversi organi in sede di certificazione di bilancio e in seno alle commissioni a ciò preposte». Alcune fonti interne al partito raccontano però che per sanare i debiti sia stata escogitata una soluzione a costo zero. Almeno per le casse del partito. Alle ultime elezioni la Lega ha candidato Fabio Massimo Boniardi, 46 anni, figlio del fondatore della Boniardi Grafiche nonché azionista dell’impresa. Boniardi – che è pure consigliere comunale a Bollate, assessore a Garbagnate Milanese e vice segretario provinciale del partito - è stato eletto alla Camera e ora, se le elezioni in arrivo non gli scompagineranno i piani, potrà contare su cinque anni di stipendio. Pubblico, ovviamente. Non sarebbe questo l’unico fornitore fortunato della Lega.
Tra le nuove aziende scelte dal Carroccio, raccontano tre fonti interne al partito, da un paio d’anni c’è infatti anche un’azienda bergamasca chiamata Non Solo Auto. Fornisce servizi di noleggio di autovetture, e anche questa ha sede legale nel condominio verde acqua di via Angelo Maj 24. La società è stata fondata alla fine del 2015 e nel giro di due anni il suo giro d’affari è cresciuto parecchio, arrivando a toccare un fatturato di 268 mila euro nel 2017. Non male per un’impresa che dichiara di non avere nemmeno un dipendente. Chi sono i fortunati proprietari della Non Solo Auto? Proprio Di Rubba e Manzoni. I quali respingono qualsiasi ipotesi di conflitto di interessi. Alla nostra richiesta di conoscere il fatturato della Non Solo Auto riferibile alla Lega, i due commercialisti bergamaschi hanno opposto il riserbo «per evidenti motivi di privacy e commerciali», argomentando che «né il dottor Di Rubba, né tantomeno il dottor Manzoni hanno ruoli di responsabilità esecutiva, strategica né funzioni dirigenziali» all’interno della Lega, partito per il quale i due dicono di svolgere «attività tecniche di natura amministrativa». E in effetti, tecnicamente, le cose stanno proprio così: i due sono presenti in diverse società legate al Carroccio, ma sempre come amministratori, membri del cda o del collegio sindacale. Nessun incarico politico, insomma, nemmeno adesso che i due professionisti lombardi hanno varcato la soglia dei palazzi romani con gli incarichi assunti alla Camera e al Senato.
Se di Di Rubba abbiamo già detto, vale la pena conoscere meglio Manzoni. Laureato anche lui in Economia e commercio all’università di Bergamo, vanta un dottorato in “strategie di impresa” e decine di pubblicazioni nazionali e internazionali. Oltre a gestire lo studio di via Angelo Maj, da quando Salvini è diventato leader del partito il suo curriculum si è arricchito con una serie di nomine in società pubbliche e private. È ad esempio nel collegio sindacale di Cogeme e Anita, due multiutility lombarde a controllo pubblico, in quello di Metropolitana Milanese e di Arexpo, ma è soprattutto l’amministratore unico della Fin Group, la storica holding del partito creata, insieme a Pontida Fin, per gestire quello che un tempo era un ricco patrimonio.
Ruoli strategici, occupati in passato da uomini fedelissimi a Umberto Bossi, che oggi sono concentrati nelle mani di questi giovani commercialisti. Professionisti cresciuti vicino a Pontida, nel cuore pulsante della Padania secessionista, e diventati nel silenzio generale i cassieri della nuova Lega a vocazione sovranista, quella che dice di voler difendere i confini e combattere le ingiustizie europee. Chissà se tra queste Salvini include anche i vantaggi finanziari offerti dal Lussemburgo.
© Riproduzione riservata 07 giugno 2018
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