Esclusivo: alla Lega sovranista di Matteo Salvini piace offshore
Da Bergamo al Lussemburgo, via Lugano. Lungo questa direttrice si dipanano gli affari dei cassieri del partito scelti dal segretario neo ministro degli Interni
Ma non è tutto. Approfondendo gli affari dei cassieri del Carroccio si arriva a un’impresa che noleggia auto, di proprietà di Manzoni e Di Rubba, il cui fatturato si è impennato da quando la Lega è diventata sua cliente. E c’è pure una grande tipografia della bergamasca, anche questa diventata fornitrice di punta del partito dopo l'elezioni di Salvini a segretario federale, il cui proprietario pochi giorni fa ha fatto guadagnare oltre un milione di euro a Di Rubba.
Da aprile scorso Manzoni e Di Rubba ricoprono anche una carica formale e delicata all'interno del partito: il primo è stato nominato direttore amministrativo del gruppo parlamentare alla Camera, il secondo è stato scelto come revisore legale del gruppo Lega al Senato. Non solo: entrambi hanno ottenuto incarichi di peso all'interno della Pontida Fin e della Fin Group, ammiraglie finanziarie del partito. Proprio la Fin Group ha cambiato sede con l'entrata in scena di Salvini e Centemero. Dalla storica via Bellerio, sede e simbolo di una Lega nordista, secessionista, padana, è stata trasferita in via Angelo Maj 24, presso lo studio Di Rubba - Manzoni, con quest'ultimo che è diventato l'amministratore unico della società.
Alle domande de L’Espresso, sia Centemero che i colleghi Di Rubba e Manzoni hanno risposto allo stesso modo. Non hanno fornito informazioni sui beneficiari ultimi delle fiduciarie, ma hanno assicurato che le sette aziende in questione non hanno legami né diretti né indiretti con la Lega. Tuttavia un fatto è indiscutibile: in una di queste imprese l’amministratore è il tesoriere del partito, cioè Centemero, e in una seconda lo stesso ruolo è ricoperto dal professionista Manzoni, scelto per vigilare sui conti del gruppo parlamentare alla Camera.
Sempre presso lo studio di Manzoni e Di Rubba è registrata anche la associazione culturale “Più Voci”: l'organizzazione fondata da Centemero, Di Rubba e Manzoni per incamerare contributi da imprenditori, di cui L'Espresso aveva dato conto in esclusiva due mesi fa nell'inchiesta di copertina “ I conti segreti di Salvini ”.
Sull'associazione Più voci questa volta la Lega ha risposto. Lo ha fatto con il tesoriere Centemero: «I soldi ricevuti non sono stati trasferiti al partito o utilizzati in attività di carattere politico, come ad esempio la campagna elettorale». Il tesoriere ha sottolineato che «l’associazione, come da ragione sociale, stimola il pluralismo dell’informazione, perciò i progetti di sostegno (le donazioni private, ndr) sono stati indirizzati su Radio Padania e su Il Populista (il giornale online edito da Mc Srl, ndr)». Insomma, Centemero sostiene che quei soldi non servivano a finanziare la campagna elettorale della Lega, ma a sostenere l’informazione realizzata dai suoi media. Difficile capire quale sia la differenza sostanziale, visto che Radio Padania e Il Populista sono testate attraverso cui la Lega fa campagna elettorale. E piuttosto complicato risulta anche comprendere perché, se le cose stanno così, Esselunga e Parnasi (i donatori dell'associazione che avevamo rivelato due mesi fa) non sono stati invitati a donare soldi direttamente a Radio Padania e a Il Populista. Il tesoriere Centemero ci ha anche fatto sapere che l’associazione è ancora attiva, e che a partire dalla sua fondazione, nell’ottobre nel 2015, «ha raccolto qualche centinaia di migliaia di euro da aziende e privati». Nessuna informazione sui nomi dei donatori: «La normativa delle associazioni e la riservatezza dei dati richiesti mi impediscono di rivelare i nominativi dei contribuenti e i relativi importi», ci ha scritto Centemero.
Esclusivo: caccia ai soldi della Lega
Il denaro investito in modo illegale. E la onlus Più voci per sfuggire ai giudici. Quel che non dice l’uomo che vuole l’incarico di governo
Ripartiamo dunque dall’inizio. Dov’è finito il tesoro della Lega? Dove sono spariti i 48 milioni di euro messi sotto sequestro dal tribunale di Genova dopo la condanna di Bossi per truffa ai danni dello Stato? Da mesi i giudici di Genova sono a caccia di quei denari: soldi pubblici, perché frutto dei rimborsi elettorali. Finora sui conti del Carroccio sono stati però rinvenuti poco più di 2 milioni. Gli altri? Usati, spesi, spariti: questo hanno sempre sostenuti i massimi dirigenti del Carroccio. «Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro», ha detto lo scorso 3 gennaio Salvini, che non perde occasione per ricordare come il suo partito sia senza un quattrino. La stessa cosa si legge sui bilanci ufficiali.
Alcuni documenti bancari aiutano però a comprendere meglio che fine ha fatto la ricchezza leghista. Facendo emergere un fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente. Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali. Colossi come l’americana General Electric, la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo. Una fiche da 300mila euro è stata messa anche sul corporate bond di Arcelor Mittal, il gruppo siderurgico indiano che ha acquistato l’Ilva promettendo di lasciare a casa circa 4mila lavoratori.
Ma lasciamo stare per un attimo gli investimenti e torniamo al momento in cui tutto è cambiato. Il 16 maggio del 2012, poco dopo che la notizia dell’inchiesta per truffa ha costretto Bossi a dimettersi da segretario federale, la Lega apre un conto corrente presso la filiale Unicredit di Vicenza. Nel giro di sei mesi vi trasferisce buona parte della liquidità parcheggiata in altre banche: 24,4 milioni di euro in totale. È l’inizio di una frenetica girandola di bonifici e giroconti che porteranno, nel giro di quattro anni, al prosciugamento delle risorse finanziarie padane. O almeno di quelle registrate sul conto della Lega nazionale.
Degli oltre 24 milioni arrivati in Unicredit, una decina sparisce quasi subito: prelievi in contanti, pagamenti non meglio specificati, investimenti finanziari, trasferimenti sui conti delle sezioni locali del partito, bonifici a favore di società di capitali controllate dalla stessa Lega come Pontida Fin, Media Padania ed Editoriale Nord. A gennaio del 2013 un altro colpo di scena. Il partito, allora guidato da Maroni, apre un nuovo conto corrente. Dove sposta una buona fetta del tesoretto custodito in Unicredit. Questa volta la scelta ricade sulla Sparkasse, la cassa di risparmio di Bolzano. Non un istituto a caso.
Il presidente della banca altoatesina è infatti Gerhard Brandstätter, già socio d’affari dell’avvocato della Lega di quel momento, il calabrese Domenico Aiello. Sul conto della Sparkasse arrivano, oltre a 4 milioni di titoli finanziari, 6 milioni di liquidità. Bastano solo sei mesi, però, e i soldi spariscono. La maggior parte del denaro viene usata per finanziare la campagna elettorale di Maroni alla presidenza della regione Lombardia: decine di bonifici a società di comunicazione e organizzazione eventi, tra cui spiccano i quasi 400 mila euro diretti alla sede irlandese di Google, punto di passaggio obbligato per chiunque voglia farsi pubblicità sul motore di ricerca più usato al mondo.
Anche in questo caso non mancano i trasferimenti alle sedi locali del partito, ma la parte del leone - come avvenuto pochi mesi prima con il conto Unicredit - la fanno le società di capitali della Lega. Radio Padania: 250 mila. Editoriale Nord: 600 mila. Pontida Fin: 206 mila. Fin Group: 360 mila. Una volta prosciugato il conto Sparkasse, si torna a puntare tutto su Unicredit. Ed è qui che vengono a galla i dettagli sugli investimenti finanziari. Nel dicembre del 2013, quando Maroni è ancora il segretario federale, il Carroccio ha in pancia titoli per 11,2 milioni di euro. Due terzi della somma equivalgono a buoni del tesoro italiani, mentre il resto sono obbligazioni societarie. Ci sono anche 380 mila euro investiti in un derivato, un titolo basato sull’andamento del Ftse Mib, il principale indice azionario della Borsa di Milano. Insomma una Lega che, a dispetto della legge e delle dichiarazioni ufficiali contro la finanza speculativa, ha scelto di rischiare parecchio con i soldi dei rimborsi elettorali.
Strategia che non è cambiata quando a Maroni è succeduto Salvini. Alcuni documenti bancari riassumono il saldo del conto corrente del Carroccio presso Unicredit il 19 maggio del 2014, quando Matteo è ormai da qualche mese in plancia di comando. Le carte raccontano due fatti. Il primo è che anche Salvini ha investito i denari del partito in obbligazioni societarie. Nello specifico, Matteo ha puntato 1,2 milioni su Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural. Il secondo fatto salta all’occhio confrontando i saldi del conto corrente leghista a distanza di soli cinque mesi. Da dicembre del 2013 al maggio del 2014 il patrimonio è crollato, passando da 14,2 milioni a 6,6 milioni. Non è dato sapere in che modo siano stati spesi così rapidamente tutti quei soldi. Di certo Salvini fino a qualche tempo fa poteva disporre di parecchie risorse, mentre oggi i conti della Lega sono ufficialmente a secco. Tant’è che lo Stato italiano, attraverso i giudici di Genova, si è dovuto accontentare di sequestrare solo 2 milioni sui 48 teorici.
Perché la Lega ha investito soldi violando una legge dello Stato? E come mai i finanziamenti delle imprese sono arrivati sui conti di una sconosciuta associazione no profit invece che su quelli ufficiali? Alle domande de L’Espresso, il partito guidato da Salvini ha preferito non rispondere. Scelta che alimenta un dubbio: la onlus è stata creata per evitare il sequestro dei soldi da parte dei magistrati? In mancanza di risposte da parte dei diretti interessati, non resta che attenersi ai fatti documentabili.
L’associazione si chiama Più Voci, esiste dall’autunno del 2015. All’apparenza sembra una rivisitazione in salsa padana della fondazione renziana Big Bang. Con la differenza che la onlus sovranista non ha nemmeno un sito internet, figuriamoci una lista pubblica dei finanziatori. A tenerne le redini sono tre commercialisti lombardi che Salvini ha voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero, tesoriere, assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Se è vero che la onlus Più Voci finora non ha pubblicizzato alcuna attività politica o sociale, il conto corrente di riferimento mostra una certa vitalità. Soldi - 313 mila euro in pochi mesi - che entrano, fanno una sosta e poi ripartono per altri lidi. O meglio, verso altri conti intestati a società della galassia leghista: aziende in cui i commercialisti preferiti da Salvini hanno incarichi di rilievo.
Per chiarire meglio il ruolo dell’associazione Più Voci è necessario tornare tra la metà del dicembre 2015 e i primi mesi del 2016, quando sul conto della onlus piovono due bonifici per un totale di 250 mila euro. La causale è la classica usata per i contributi ai partiti: “erogazione liberale”. I versamenti sono stati disposti dalla Immobiliare Pentapigna srl. Un nome che ai più non rivela molto. Scavando sulla proprietà si arriva a uno dei più noti costruttori della Capitale: Luca Parnasi, titolare del 100 per cento delle azioni dell’immobiliare. Già, proprio l’uomo che dovrebbe costruire il nuovo stadio della Roma, erede di una dinastia di palazzinari (lui preferisce il termine “sviluppatore di progetti”) che con il potere ha sempre flirtato. Il padre Sandro, era un comunista convinto, ha gettato le basi dell’impero, oggi con le finanze scricchiolanti e con i debiti in mano a Unicredit. Il figlio Luca preferisce il basso profilo, anche se qualche anno fa ha tentato di far rivivere lo storico quotidiano di sinistra Paese Sera, ma si è dovuto arrendere poco dopo. Nella sua carriera non ha disdegnato affari con personaggi equivoci. Come quello proposto dal capo della famigerata “Cricca”, Diego Anemone, di recente condannato in primo grado a 6 anni per associazione a delinquere. Una decina di anni fa, Parnasi acquistò da Anemone per 12 milioni un complesso residenziale di pregio dietro il Pantheon, un tempo nella disponibilità del Vaticano.
Perché Parnasi ha versato almeno 250 mila euro all’associazione leghista? L’immobiliarista romano non ha risposto alle domande de L’Espresso. Di certo il primo contributo versato all’associazione Più Voci si concretizza il 12 dicembre di tre anni fa. Nel pieno dunque della retorica sovranista di Salvini, che già in quel momento può contare sul movimento Noi con Salvini per fare proselitismo sotto il Po. E sempre a cavallo tra il primo e il secondo bonifico il leader leghista annunciava la presenza della Lega-Noi con Salvini alle Comunali poi vinte dai Cinque Stelle e Virginia Raggi. Insomma, il sostegno “liberale” offerto dal re del mattone Parnasi potrebbe essere letto in questa ottica locale-Capitale. Un luogo dove il costruttore ha bisogno di mantenere buoni rapporti con tutti, se vuole davvero sperare di costruire lo stadio della Roma.
Ma, forse, non si tratta solo di questioni romane. Perché i Parnasi si stanno giocando partite decisive per il futuro del loro gruppo anche oltre il Tevere e il raccordo. C’è per esempio il caso Ferrara. Qui la famiglia di costruttori è proprietaria del Palaspecchi, un grande complesso immobiliare che versa da anni in stato di abbandono. La politica locale, con in testa la Lega, per diversi anni ha sostenuto l’idea di demolire tutto. Un’ipotesi rischiosa per Parnasi. Per sua fortuna, però, le cose sono cambiate. Dopo anni di tira e molla, all’inizio dell’anno scorso la situazione sembra essere stata risolta con un intervento finanziato principalmente da Cassa depositi e prestiti. L’ente che gestisce i risparmi postali degli italiani dovrebbe permettere di riqualificare l’intera area e realizzare duecentosessanta alloggi sociali, affiancati da attività commerciali, servizi e spazi verdi. Un bel sospiro di sollievo per il gruppo Parnasi, che intanto sta facendo parlare di sé anche nell’altra capitale d’Italia, quella economica, Milano. Un mese e mezzo fa, infatti, il Milan ha affidato al quarantenne Luca Parnasi il compito di individuare un’area adatta a realizzare il futuro campo di proprietà rossonera.
L’immobiliarista ha dunque contribuito in maniera massiccia alla causa di questa sconosciuta associazione leghista. Non è il solo, però. Con 40 mila euro si piazza Esselunga, la catena di ipermercati della famiglia Caprotti. Del resto Salvini stesso non ha mai nascosto l’ammirazione per il gruppo concorrente per eccellenza delle Coop. «Grande uomo, mai servo di nessuno», scriveva nel suo addio su Facebook il giorno della scomparsa di Umberto Caprotti. La causale del bonifico di 40 mila euro versato a giugno 2016 recita “contributo volontario 2016”. Quasi a voler sottolineare che anche per quell’anno sono in regola con l’attestazione di fiducia verso la Lega sovranista. Esselunga è stata l’unica a rispondere alle nostre domande. La catena di supermercati non ha spiegato perché abbia scelto di versare almeno 40 mila euro all’associazione leghista invece che donarli direttamente al partito. Si è limitata a farci sapere che quella cifra «è stata destinata a Radio Padania nell’ambito della pianificazione legata agli investimenti pubblicitari su oltre 70 radio». Ma allora perché le aziende non versano il loro contributo direttamente alla Lega o a Radio Padania? È un modo per confondere le acque ed evitare il sequestro dei soldi? E per quale motivo scrivere nella causale “Contributo volontario” se di pubblicità si trattava? Domande a cui non è possibile dare risposta. Il loquace Salvini, questa volta, ha preferito il no comment.
C’è da dire, però, che in effetti, poco dopo essere arrivati sul conto della onlus i soldi, non solo quelli di Esselunga, vengono girati a società di capitali del gruppo leghista. In quattro mesi 265 mila finiscono proprio alla cooperativa Radio Padania, quella della storica emittente del Carroccio, mentre altri 30 mila euro vengono versati sul conto della Mc srl, società leghista che controlla il giornale online Il Populista, diventato lo strumento principe della propaganda salviniana in rete. Insomma, l’operazione ha tutta l’aria di essere una partita di giro. Anche perché l’amministratore unico sia della Mc che di Radio Padania è lo stesso Giulio Centemero, tesoriere del partito, che siede nella onlus da cui partono i denari.
Le azioni della Mc sono saldamente in mano alla Pontida Fin, altra cassaforte storica del Carroccio ormai caduta in disgrazia, il cui 1 per cento continua a essere in mano al Senatur Umberto Bossi. Frammenti di un passato che Salvini vorrebbe rottamare, ma che non riesce a tenere fuori dalla porta. Anche se una cosa Matteo Salvini l’ha cambiata davvero. Roma per i sovranisti cresciuti tra le valli di Pontida non è più ladrona. Ai tempi di Umberto Bossi era proibito frequentare i salotti. Il Senatur aveva avvertito i parlamentari padani, guai a mischiarsi con il potere romano, tra manager, stelle dello spettacolo e palazzinari. Con la Lega modello Front National, certe rigidità appartengono al passato secessionista
Ministro Salvini, è ora di dire la verità sui soldi della Lega
Con quale denaro sopravvive il partito del vice premier? E chi sta mentendo sull'associazione "Più Voci" scoperta dalle nostre inchieste? Ricostruiamo la galassia finanziaria leghista e le troppe dissonanze. Su cui si sta instaurando un coordinamento investigativo tra le procura di Roma e Genova
vedi anche:

Lega, caccia ai milioni dal Lussemburgo: cosa sappiamo sui soldi del partito di Salvini
Gli investimenti illegali. L'associazione usata per ottenere finanziamenti privati. I soldi della truffa incassati dai nuovi dirigenti. I fortunati fornitori del partito. I bonifici di Parnasi. Fino allo strano gruppo di società controllate tramite una holding in Lussemburgo. Lo stesso Paese dove ora i magistrati credono che la Lega abbia riciclato milioni
A partire dall’inchiesta “ Salvinidanaio ” (2 ottobre 2017), L’Espresso ha cercato di ricostruire i flussi finanziari che hanno attraversato le tre diverse gestioni della Lega: Bossi, Maroni e Salvini. Quest’ultimo ha sempre sostenuto che di quei 48 milioni non ha mai visto uno spicciolo. I report interni del Carroccio però smentiscono il ministro dell’Interno e segretario del partito. E dimostrano l’esistenza di un filo diretto tra la truffa architettata dalla coppia Belsito-Bossi e i suoi successori. Tra la fine del 2011 e il 2014, infatti, prima Maroni e poi Salvini hanno incassato e usato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. E lo hanno fatto quando ormai era chiaro a tutti che quei denari rischiavano di essere sequestrati. A fine 2013, cioè al termine del mandato di segretario, Bobo Maroni ha incassato 12,9 milioni di euro. Rimborsi relativi a elezioni comprese tra il 2008 e il 2010, quando a capo del partito c’era Bossi e a gestire la cassa era Belsito. Insomma, proprio i denari frutto della truffa ai danni dello Stato. Quando Salvini subentra a Maroni poco cambia. Il nuovo segretario incassa 820 mila euro per le elezioni regionali del 2010. Perché allora sostiene che quei soldi non li ha mai visti?
Sull'associazione "Più Voci" scoperta dalle nostre inchieste, qualcuno sta mentendo. Ma chi?
vedi anche:

Esclusivo: alla Lega sovranista di Matteo Salvini piace offshore
Da Bergamo al Lussemburgo, via Lugano. Lungo questa direttrice si dipanano gli affari dei cassieri del partito scelti dal segretario neo ministro degli Interni
È proprio seguendo i soldi, analizzando documenti bancari e contabili del partito, che sono emersi altri due dati rilevanti: un portafoglio di titoli finanziari di cui è titolare il partito di Salvini e un’associazione culturale, la “Più voci”, usata dopo la condanna per truffa per incamerare contributi volontari da imprenditori amici. Un’inchiesta giornalistica che ha dato il titolo a una delle copertine dedicate dal nostro settimanale al tesoro scomparso della Lega. “I Conti segreti di Salvini” (1° aprile 2018) svelava per la prima volta l’esistenza di un patrimonio finanziario del Carroccio fatto di buoni del tesoro italiano e obbligazioni societarie. Oltre alla liquidità, quindi, il partito poteva contare su un sostanzioso tesoretto. Investito parzialmente in titoli vietati per un partito politico, dato che la legge permette di scommettere denaro solo su titoli di Stato della zona euro.
Nel dicembre del 2013, quando Maroni è ancora il segretario federale, la Lega è titolare di titoli per 11,2 milioni di euro. Due terzi della somma equivalgono a buoni del tesoro italiani, mentre il resto sono obbligazioni societarie. E ci sono anche 380 mila euro investiti in un derivato, basato sull’andamento del Ftse Mib, il principale indice azionario della Borsa di Milano. Insomma una Lega che, a dispetto della legge e delle dichiarazioni ufficiali contro la finanza speculativa, ha scelto di rischiare parecchio con i soldi dei rimborsi elettorali. Con l’arrivo di Salvini la strategia non cambia. Nello specifico, il neo ministro ha puntato 1,2 milioni su Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural.
Ma c’è un fatto ulteriore che emerge dallo studio dei saldi bancari: da dicembre del 2013 al maggio del 2014 il patrimonio è crollato, passando da 14,2 milioni a 6,6 milioni. In che modo sono stati spesi così rapidamente tutti quei soldi resta uno dei misteri della nuova Lega sovranista, sulla quale si sono intanto accesi i riflettori della procura di Genova e della Guardia di finanza. Le perquisizioni presso le sedi della Sparkasse, la banca in cui per un certo periodo il Carroccio ha parcheggiato la sua liquidità, hanno infatti l’obiettivo di ricostruire lo spostamento del denaro fuori dai confini nazionali. I detective sono alla ricerca di investimenti passati per il Lussemburgo. Sono convinti che il materiale sequestrato darà loro molte risposte. Perché è anche da quei conti che è transitato il denaro poi improvvisamente sparito. Un passaggio che già nel 2015 L’Espresso raccontava in un’altra inchiesta dal titolo “Caccia al tesoro padano”. L’indagine della magistratura è ancora a carico di ignoti, e l’ipotesi di operazioni di riciclaggio effettuate tramite Sparkasse è solo uno dei filoni.
L’attività principale riguarda infatti la ricerca del denaro da sequestrare, così come ordinato dal tribunale dopo la sentenza di condanna per truffa.
Di certo la Lega non è riuscita a chiarire fino in fondo il ruolo dell’associazione “Più voci”. L’Espresso aveva rivelato, nell’inchiesta sui “Conti segreti di Salvini”, che questa organizzazione fondata nell’autunno 2015 aveva ricevuto parecchi finanziamenti privati. A tenere le redini dell’associazione sono tre commercialisti lombardi che Salvini ha voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero, tesoriere, assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. La “Più Voci” finora non ha pubblicizzato alcuna attività politica o sociale, ma ha ricevuto parecchi bonifici. Soldi - 313 mila euro in pochi mesi, da fine 2015 a metà 2016 - che entrano, fanno una sosta e poi ripartono per altri lidi. O meglio, verso altri conti intestati a società della galassia leghista: aziende in cui i commercialisti preferiti da Salvini hanno incarichi di rilievo, come Radio Padania e la Mc Srl, l’impresa che edita il quotidiano online Il Populista, nuovo strumento della propaganda salviniana in rete.
Come avevamo raccontato, sul conto della “Più Voci” sono arrivati in particolare due bonifici per un totale di 250 mila euro dalla Immobiliare Pentapigna di Luca Parnasi. Già, proprio l’uomo che dovrebbe costruire il nuovo stadio della Roma e che è appena finito in carcere per corruzione nell’inchiesta che rischia di travolgere il Campidoglio a Cinquestelle. «Lo conosco personalmente come una persona perbene», ha dichiarato Salvini dopo l’arresto riferendosi al costruttore. Il ministro ha però dimenticato di ricordare dei 250 mila euro versati da Parnasi all’associazione gestita dai commercialisti della Lega. D’altra parte l’immobiliarista romano non è stato il solo benefattore. L’Espresso ha documentato come anche Esselunga abbia donato 40 mila euro. Ora è l’indagine della procura di Roma, con l’arresto di Parnasi, che permette di compiere un passo avanti. L’imprenditore, intercettato, si mostra agitato dopo aver ricevuto le nostre telefonate in cui gli chiedevamo conto di quei bonifici alla “Più voci”. Decide di non rispondere alle nostre domande, così come ha fatto Salvini, ma confida a un suo collaboratore che quei soldi servivano per finanziare la campagna elettorale di Stefano Parisi (candidato per il centro destra, Lega inclusa) a sindaco di Milano del 2016. Se fosse vero, questo smentirebbe la versione del tesoriere Centemero, che al nostro giornale aveva spiegato: «I fondi raccolti non sono stati trasferiti al partito o utilizzati in attività di carattere politico, come per esempio le campagne elettorali».
Di sicuro, una volta saputo della nostra inchiesta, il gruppo Parnasi si mette al lavoro per trovare una giustificazione al finanziamento. Tramite il suo commercialista, l’immobiliarista contatta Andrea Manzoni, il contabile fedele a Salvini. Gli vuole chiedere di «fare una cosa retroattiva». E poi aggiunge: «Te lo avevo detto che era una rogna», riferendosi alle nostre domande. Ma è il passaggio successivo che rende l’idea di quanto scompiglio avesse creato la nostra richiesta. Parnasi infatti propone a un suo collaboratore di «creare una giustificazione contabile retrodatata grazie alla quale sostenere che l’erogazione sia avvenuta a favore di Radio Padania». Ma perché tanta preoccupazione? In ogni caso quando Parnasi capisce che non c’è nulla da fare e che lo scoop dell’Espresso verrà pubblicato si arrende: «Pazienza, ma sotto un certo aspetto è positivo perché tutti sapranno che siamo vicini alla Lega che farà il governo». Tesi sostenuta anche da Luigi Bisignani. Il faccendiere evergreen prima chiede all’amico quanti sono gli imprenditori che hanno versato soldi all’associazione leghista “Più Voci”. «Una decina», risponde Parnasi: dunque molti di più rispetto ai due scoperti dal nostro giornale. Poi Bisignani dice all’amico che «non serve rispondere ai giornalisti ma cavalcare la cosa», perché in fondo è amico di tutti quelli che contano visto che «ha finanziato la Lega e il M5S». Che l’uomo incaricato di costruire lo stadio della Roma abbia finanziato anche i grillini è tutto da provare. Di certo l’intercettazione rivela un inedito spaccato sul nuovo potere. Ma anche sul vecchio: nella stessa conversazione i due sostengono che a sinistra «non possono dirgli nulla» sul finanziamento alla Lega, perché «anche quelli conoscono la sua società Pentapigna».
Se l’inchiesta della procura di Roma conferma l’esistenza di canali alternativi usati dalla Lega per finanziarsi, evitando così il possibile sequestro dei soldi, resta aperto il capitolo “vecchio tesoro padano”. Una traccia del metodo usato dai leghisti per blindare il patrimonio milionario l’abbiamo raccontata nell’ultima inchiesta di copertina, “L’Europa offshore che piace a Salvini” (3 giugno 2018). Scavando negli affari del trio di commercialisti Centemero-Di Rubba-Manzoni, L’Espresso ha scoperto una ragnatela di piccole imprese di cui è impossibile conoscere il proprietario, perché a controllarle è una fiduciaria che porta lontano, fino in Lussemburgo. I cassieri della Lega hanno risposto alle nostre domande sostenendo che queste società nulla hanno a che fare con il partito. Questioni private, insomma. Gestite però da professionisti con ruoli pubblici in Parlamento. Di certo è curioso notare come i commercialisti scelti da Salvini abbiano legami con il Lussemburgo, paradiso fiscale europeo guidato per anni dal guardiano dei vincoli di bilancio, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. E ancora più curioso è rilevare che proprio nel Granducato la procura di Genova ha appena inviato una rogatoria per indagare sui flussi finanziari partiti dall’Italia e macchiati dalla truffa di Bossi.
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