Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

martedì 25 novembre 2008

Webbavagliati ?

Rieccoli, ci risiamo: stanno tornando alla carica per imbavagliare la libertà di espressione sul web in Italia.
Nel paese delle corporazioni, dell'ordine dei giornalisti (il più incostituzionale e liberticida degli ordini professionali) e della censura, non sono tollerabili la libertà, la spinta all'innovazione e la tendenziale "non-imbrigliabilità" che contraddistinguono la più grande invenzione del XX secolo dopo la radio e l'aria condizionata, ovvero la Rete e il world wide web.
E quindi, nel segno della più tipica trasversalità liberticida, si riprova a introdurre (ulteriori) norme che da un lato impedirebbero quasi tutte le forme di manifestazione di qualunque pensiero minimamente compiuto online (blog, siti di news e commenti) senza una qualche patacca targata e certificata (che la si chiami "ordine", "albo", "registro", obbligo di iscrizione di un "direttore responsabile" etc... ulteriore mano di sepoltura all'art. 21 della Cost.), e dall'altro si approfitta dell'occasione per magari vedere di racimolare qualche altra briciola pubblicitaria (quelle della pubblicità online) e qualche ulteriore contributo a favore dei soggetti "informativi" tradizionali (giornali, tv e loro propaggini online), tutti corporativamente arroccati e blindati nel regime. Un ulteriore e importante tassello per avvicinare questo paese sempre più a Iran, Libia, magari Cina (la più efficiente delle censure online) o, perché no?, Russia... Il modello Putin avanza.
Per approfondire questa notizia:
per approfondire l'intera questione:
e infine, per un utile excursus storico sui vari tentativi (riusciti e non) di imbavagliare sul territorio italiano la rete e i nuovi media, a partire dalla l. 62/2001:

lunedì 24 novembre 2008

Cupole

Si è riunita la Camera dei fasci e delle corporazioni.
In quale paese minimamente democratico, invece che fascista o corporativista, è ritenuto tollerabile e addirittura normale che il governo discuta (e decida) le questioni economiche non in parlamento ma riunendosi nei c.d. "tavoli" (meglio sarebbe dire "cupole", peraltro affollatissime) con le c.d. "parti sociali"? E' in tal modo che si espropriano di decisioni fondamentali gli organi democratico-rappresentativi eletti da tutti, a favore di abusive sedi concertative con le corporazioni. A tutti i livelli.

Consumi di Stato

Voi magari pensavate che la produzione di beni e servizi dovesse essere in funzione dei cittadini-consumatori e della loro soddisfazione. Ebbene no, è il contrario: è il consumatore che deve mettersi al servizio del sistema produttivo, secondo l'idea berlusconiana... E intanto si monta una campagna martellante per aiuti di stato a raffica e addirittura per spingere i partners europei nella stessa direzione, garantendosi in tal modo la reciproca sanatoria. Ma - come avverte M. Monti - una tale prospettiva finirebbe col distruggere o col minare irrimediabilmente il mercato unico europeo, con danni immensi per i cittadini consumatori europei e per le possibilità di spinta verso l'innovazione dei nostri sistemi imprenditoriali e produttivi.

martedì 11 novembre 2008

(Alitalia) - Il delitto perfetto

La scelta (premeditata e studiata a tavolino, a partire dal baratto col governo francese per cedere in cambio il ben più prestigioso portafoglio di Commissario alla Giustizia) di piazzare Tajani quale commissario UE ai trasporti sembra proprio che abbia pagato.
A breve sarà ufficializzata la decisione con cui la Commissione – nel dichiarare illegittimo (e ci mancherebbe altro!) il prestito-regalo-ponte (l’ennesimo) erogato nell’estate 2008 dallo stato italiano ad Alitalia – “condanna” la compagnia alla restituzione del maltolto. Ma – si badi bene – non la nuova compagnia (c.d. C.a.i.), erede per tutto quello che fa comodo della precedente, ma quella vecchia rimasta totalmente sul groppone dei contribuenti, ovvero la c.d. bad company: cioè sarà quest’ultima a dover restituire il prestito, ovvero – come per tutto il resto dei debiti Alitalia in essa convogliati – a dover pagare saranno (ancora e mai in maniera definitiva) la collettività e i cittadini contribuenti (oltre che consumatori) italiani.
In pratica, con questa decisione, si dà copertura e sanatoria – sotto l’apparente riconoscimento di principio delle ineccepibili ragioni contrarie alla sua concessione – all’ennesimo aiuto di stato dato all’Alitalia-ora-Cai. Un delitto perfetto, appunto.
E intanto le corporazioni di piloti e assistenti, aizzati dai loro indecenti sindacati corporativi, scatenano impunemente scioperi selvaggi in rivendicazione della totalità dei loro privilegi.
Ovvero, come prima più di prima. E impunemente daccapo.
Lo sciopero a tradimento è una prepotenza grave: immagino - anzi, so - i disagi che sono stati provocati ai viaggiatori (coincidenze internazionali saltate, viaggi annullati, programmi rovinati, affari perduti). Perché una compagnia salvata sull'orlo del fallimento - anzi già fallita, usando qualsiasi standard internazionale - si comporta così? La risposta è in una massina latina: «Gli dèi fanno impazzire coloro che vogliono distruggere». Ma possiamo anche essere più precisi. Lo sciopero è proclamato da una minoranza, secondo cui il nuovo contratto è peggiore di quello esistente. Probabilmente è vero: ma l'alternativa, dopo aver fatto saltare l'accordo con Air France (roba da matti), è la chiusura. L'intera faccenda è ormai un indegno papocchio. Non c'è NESSUNO - governo, Cai, AirOne, le banche, il personale di terra e di volo - che ce la conti giusta. Per non parlare della politica, che da 15 anni sta banchettando sulla carcassa della compagnia di bandiera. Chiedere ai partiti di salvare Alitalia è come chiedere a Jack lo Squartatore se ha un cerotto (Corriere.it, commenti,12/11/2008)
  • post precedente:

http://boicotto.blogspot.com/2008/10/malitalia-3.html

Per una lettura liberale e non tremontiana della Crisi

E' uscito il nuovo e apprezzabile saggio del duo F.Giavazzi - A. Alesina, dedicato appunto a una lettura della crisi economica attuale diversa e non conformista. Uno spiraglio di lucidità in un clima di dominante tremontismo protezionista. Ideale ripresa di alcuni temi già affrontati ne "Il liberismo è di sinistra". Tanto per chi si fosse voluto dimenticare che il protezionismo - come la storia dimostra immancabilmente - serve sempre a proteggere i forti da e contro i deboli, oltre che a generare illibertà, conflitti e guerre.
Alcuni passaggi di un interessante articolo di A. Panebianco sul Corriere del 22/11/2008 mi pare che ben sintetizzino questi concetti:
Conviene ricordare a chi irride il «liberismo» qualche insegnamento della storia. Anche dopo il '29 il primato della politica venne riaffermato con forza (il New Deal, il socialismo scandinavo, l'Iri, i piani quinquennali sovietici, il riarmo hitleriano) in variante democratica o totalitaria. E anche allora l'intellighenzia occidentale si buttò con entusiasmo ad inseguire i miti del momento, sostenendo che il «liberalismo» (giudicato un residuo ottocentesco) era finalmente al tramonto, che stava per nascere la luminosa era della «pianificazione». Sappiamo come finì. Il primato della politica sfociò nel protezionismo selvaggio e tutto si concluse (dieci anni dopo l'inizio della grande crisi) con una guerra mondiale. Il rapporto fra la politica e il mercato è uno degli aspetti più complessi (e oscuri, difficili da mettere a fuoco) delle società contemporanee […].
A me pare che in questo atteggiamento si annidino due errori. In primo luogo, l'errore di non riconoscere che l'onnipotenza della politica è solo un mito. Un mito lugubre, per di più. Con quanto più accanimento è stato perseguito tante più catastrofi si sono prodotte. Il grande lascito culturale (che oggi la crisi va disperdendo) delle rivoluzioni liberali di trenta anni fa — a loro volta, ispirate al liberalismo classico, sette-ottocentesco — stava nel rifiuto dell'onnipotenza della politica, nel riconoscimento che solo lasciando massima libertà agli individui e alla creatività individuale si fa il bene di una società, che compito del governo non è darci la «felicità» ma lasciarci liberi di cercare la nostra personale strada alla felicità. Il secondo errore consiste nel non vedere i costi del primato della politica, non saper contrapporre ai vantaggi di breve termine i costi dì medio-lungo termine. Nel breve termine la politica è sicuramente in grado di assicurare vantaggi. Per esempio, in una situazione di crisi, salvando il credito, tamponando gli effetti della disoccupazione, eccetera. Ma il punto è che ciò che la politica ci dà con una mano oggi se lo riprenderà domani con gli interessi (in termini di controllo sulle nostre vite).
Certamente, dobbiamo oggi affidarci a decisioni politiche per fronteggiare la crisi. E dobbiamo purtroppo accettare una più forte presenza dello Stato. Ma se non lo facciamo a malincuore, se ci mettiamo dentro un immotivato entusiasmo, se non ci rendiamo conto che si può accettare un temporaneo ampliamento del ruolo dello Stato in condizioni di emergenza solo pretendendo che lo Stato si impegni a ritirare di nuovo i suoi tentacoli quando l'emergenza sarà finita, contribuiamo a preparare un futuro persino peggiore del presente. È una questione di atteggiamenti culturali. In America esistono potenti anticorpi che impediranno degenerazioni permanenti del tipo «socialismo di Stato». In Europa continentale gli anticorpi sono più deboli (in Italia, poi, sono debolissimi). Il rischio, qui da noi, non è il «ritorno dello Stato» della cui invadenza, in realtà, nonostante tanti sforzi, non ci siamo mai liberati. Il rischio è che quell'invadenza torni a godere di piena legittimazione culturale. Il rischio è dimenticare che quanto più la politica si impiccia, quanto più pretende di dispensarci la felicità, tanto più si riduce, col tempo, la libertà di ciascuno di noi.

Veti talebani

Vaticano sempre più talebano. E’ iniziato subito il forsennato fuoco di sbarramento clericale per tentare di imporre le loro condizioni e i loro paletti etico-politici a chi è stato democraticamente eletto su precise posizioni politiche. Ma la democrazia non è cosa che piace né può interessare alle gerarchie clericali. E’ il loro “modello Iran” (non praticato compiutamente e fino in fondo solo perché non più del tutto consentito).
Un fuoco di sbarramento fatto di pressioni e ingerenze temporalistiche in difesa del loro oscuro mondo di proibizioni e di diffidenza nei confronti della scienza, della libertà e della democrazia, che si pretende di condizionare e di sottomettere tutte alla fede (ritenendo magari tutto questo garanzia del loro potere mondano e temporale). Ma per fortuna l’America non è l’Italia.
C’è quindi solo da sperare che almeno gli Stati Uniti tengano duro e che Obama e i suoi (come già Zapatero) non cedano. Ne va delle sorti laiche e civili dell’Occidente democratico.
Il Nuovo potere temporale - S. Rodotà
Di fronte ai segni di un possibile rafforzarsi delle politiche dei diritti la Chiesa interviene con durezza e con un tempismo preoccupante. I giudici della Corte di cassazione sono in camera di consiglio per discutere il ricorso del Procuratore generale di Milano contro il provvedimento che ha autorizzato l’interruzione dei trattamenti per Eluana Englaro. Nello stesso momento il cardinale Barragan, presidente del Pontificio consiglio per la salute, afferma che saremmo di fronte a "una mostruosità disumana e un assassinio". Lo stesso cardinale ha "espresso preoccupazione" per l’annuncio secondo il quale il nuovo Presidente degli Stati Uniti si accinge a revocare il divieto, imposto da Bush, di finanziamenti federali alle ricerche sulle cellule staminali embrionali, sostenendo che "non servono a nulla".
Colpisce, in questi interventi, una aggressività di linguaggio che nega ogni legittimità alle posizioni altrui, presentate in modo caricaturale e criticate con toni sprezzanti e truculenti. Questo atteggiamento, nel caso della Corte di cassazione, si traduce in una assoluta mancanza di rispetto per le istituzioni della Repubblica italiana da parte di un "ministro" di uno Stato estero. Si interviene proprio nel momento in cui la più alta magistratura sta decidendo su una questione della più grande rilevanza umana e sociale, sì che massimi dovrebbero essere il silenzio e il rispetto. Che cosa sarebbe successo se, in una situazione analoga, un qualsiasi governo straniero avesse definito "assassino" un giudice italiano per una sua possibile decisione?
Conosciamo la risposta. La Chiesa agisce nell’esercizio della sua potestà spirituale, dunque ad essa non sono applicabili categorie che riguardano la sfera della politica. Ma, per il modo in cui ormai ordinariamente agisce, la Chiesa si è costituita proprio in soggetto politico, pratica un nuovo "temporalismo", pretende un potere di governo sociale che cancella il principio che vuole lo Stato e la Chiesa, "ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani" (articolo 7 della Costituzione). Due parti autonome e distinte, dunque. E questo, lo espresse con parole chiare e misurate Giuseppe Dossetti all’Assemblea costituente, vuol dire che "nessuna di esse delega o attribuisce poteri all’altra o può, per contro, in qualsiasi modo, divenire strumento dell’altra". Nel mentre esercita il suo potere di fare giustizia, lo Stato italiano ha diritto di pretendere che siano rispettate la sua indipendenza e la sua sovranità perché, in un caso come questo, così vuole la sua Costituzione. Siamo, dunque, di fronte ad una violazione grave che, in governanti forniti di un minimo senso dello Stato, avrebbe dovuto determinare una immediata e ferma risposta.
Se, guardando al di là di questo fondamentale aspetto di politica costituzionale, si considerano le argomentazioni adoperate, lo sconcerto, se possibile, cresce. Nulla del dibattito scientifico sull’idratazione e l’alimentazione forzata è degnato di una pur minima attenzione dalla posizione vaticana. Si tace colpevolmente dei risultati di una commissione istituita da Umberto Veronesi quand’era ministro; delle pazienti spiegazioni mille volte date da Ignazio Marino, mostrando come non corrisponda alla realtà clinica la rappresentazione di una "terribile morte per fame e per sete"; delle opinioni espresse, in tutto il mondo, da autorevoli studiosi. Vi è solo una invettiva, nella quale è vano scorgere le ragioni della fede e, dove, invece, compare un sommo disprezzo per l’intelligenza delle persone, evidentemente considerate del tutto ignoranti, incapaci di trovare le informazioni corrette in materie così importanti.
Non diversa è la linea argomentativa (si fa per dire) della critica a Obama, per l’annunciata volontà di consentire il finanziamento delle ricerche sulle cellule staminali embrionali confondi federali. Cito solo una frase pronunciata ieri dal cardinale Barragan. "Gli scienziati lo dicono chiaramente: fino adesso le cellule staminali embrionali non servono a nulla e finora non c’è mai stata una guarigione". Ma la ricerca scientifica serve appunto a far avanzare le conoscenze, a scoprire opportunità fino a ieri sconosciute, a far diventare utile quel che ieri non lo era, a lavorare perché siano possibili guarigioni oggi fuori della nostra portata. Proprio per questo gli scienziati fanno esattamente l’opposto di quel che ci comunica il cardinale. Ricercano intensamente, esplorano nuove strade, ricevono finanziamenti dall’Unione europea ed è bene che li ricevano anche dall’amministrazione americana, perché la ricerca finanziata da fondi pubblici è più libera, sottratta ai possibili condizionamenti del finanziamento privato (chi vuole informarsi ricorra al recentissimo libro di Armando Massarenti, Staminalia, Guanda, Parma 2008).
Scrivo queste righe con gran pena. Conosco e pratico un mondo cattolico diverso, anche nelle sue gerarchie, aperto al mondo e ai suoi drammi, che accompagna con intelligenza e cristiana pietà. E’ questo il mondo che può darci il necessario dialogo, negato ieri da una cieca e inaccettabile chiusura. (S. Rodotà, La Repubblica, 11/11/2008)

venerdì 7 novembre 2008

Yes, They Can (e noi quando mai...)

Ulteriore prova storica della grandezza democratica di quello straordinario paese che sono gli Stati Uniti d'America.
La vittoria di Barack Obama è anzitutto una vittoria del metodo democratico. Con tante lezioni da imparare sul processo di selezione della classe dirigente e sul ruolo di internet nel moltiplicare il potere delle idee, oltre che sul significato di una società aperta e dinamica e dei diritti di cittadinanza. "Una storia come la mia è possibile solo in un paese come gli Stati Uniti d'America", ha dichiarato Barack Obama dopo l'elezione.
Tutto il contrario di un paese come il nostro. Dove una cosa del genere non sarebbe nemmeno lontanamente ipotizzabile. Dove un Obama non avrebbe probabilmente nemmeno la cittadinanza nè diritto di voto, e dove il nostro straordinario capo del governo pare proprio non riuscire a farsi scappare un'occasione per sputtanarci dinanzi al mondo civile.

sabato 1 novembre 2008

Sindacalisti

Ribadiamolo (e mai abbastanza).
L'Italia è il paese con i sindacati più forti nel mondo occidentale e i salari tra i più bassi (se non addirittura i più bassi).
Ebbene, non è ora di chiedersi se per caso non ci sia un legame tra questi due fatti ?
Come viene usata questa forza? E in cambio di che cosa e a spese di chi viene guadagnata e conservata?
La risposta è evidente: i loro privilegi in cambio del bene comune, i cazzi loro in cambio di quelli di tutti.
Un ulteriore elemento di approfondimento arriva ancora una volta dalla trasmissione Report, puntata del 26/10/2008. Vale la pena riportare un breve passaggio della parte conclusiva della trasmissione di M. Gabanelli: “Con 700.000 rappresentanti sindacali, abbiamo lo stipendio più basso d’Europa, e va detto che in alcuni settori anche la produttività è bassa. La percezione diffusa è che sia lontano dal mondo del lavoro […]. Non è un caso se il maggior numero di iscritti è proprio tra i pensionati […]”.
Illuminante.

IL SINDACALISTA (Report, 26 ottobre 2008)
I sindacati si autocertificano gli iscritti, la UGL ne dichiara 2.145.995, scavalcando così la UIL che ne dichiara 2.060.000. Ma chi controlla se effettivamente questi numeri sono veri, visto che soprattutto in base agli iscritti, un sindacato ha più o meno peso nelle trattative?
Qui il testo integrale