Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

mercoledì 4 novembre 2009

Crucifige, crucifige !!!

La Corte europea dei diritti umani...

martedì 3 novembre 2009

Bisogno di eroi

Uno studente critica l'ayatollah Khamenei davanti alla Tv. Arrestato. Mahmud Vahidnia ha rivolto queste domande alla "Guida Suprema": "Perché nessuno può permettersi di criticarla in questo paese? Non è ignoranza questa? Ma lei non sbaglia mai?". Un colpo al prestigio del leader del regime clericale iraniano, e la conferma che il paese è percorso da fermenti libertari che il regime non controlla più. E la "rivoluzione islamica" e clericale sempre più ha paura della rivoluzione di velluto, della rivoluzione democratica che si annuncia, pur inascoltata da noi (soprattutto europei). Intanto lo studente (eroico, viste le circostanze) è scomparso, di lui non si hanno più tracce né notizie.
e inoltre:

domenica 1 novembre 2009

D'Alesconi, la perfetta coppia di regime?

Non meraviglia affatto che (notizia di ieri) Berlusconi spinga entusiasticamente D'Alema alla carica di segretario (ministro) agli esteri dell'Unione Europea. Entrambi sono ottimi frequentatori (e spesso fiancheggiatori) di dittatori di vario tipo e di macellai di vario grado piuttosto che di leaders democratici, entrambi hanno più volte dato prova di essere molto dotati di ragion di stato e di poco o nullo senso dello stato...
Non meraviglia quindi che dall' Italia si esprima per quella carica (piuttosto che ad es. una figura come E. Bonino) un D'Alema, del quale già tutti i giornali riconducibili al centrodestra hanno cominciato a tessere lodi... Berlusconi-D'Alema è, oggi, la coppia chepuò incarnare alla perfezione il regime italiano. Appunto.

domenica 4 ottobre 2009

Libertà di stampa o libertà della stampa?

In Italia...

domenica 27 settembre 2009

Lo vedi, ecco Marino!

Questo blog appoggia la candidatura di Ignazio Marino alle primarie del partito democratico.

http://www.ignaziomarino.it/

http://www.ignaziomarino.it/programma/
http://www.partitodemocratico.it

Con l'auspicio che Bersani possa presto tornare a fare il ministro liberalizzatore delle Attività produttive. Perché anche di questo ci sarebbe proprio bisogno.

domenica 20 settembre 2009

Oggi è il XX Settembre

Per non dimenticare la festa nazionale e di libertà che questa data dovrebbe (tornare ad) essere:

http://boicotto.blogspot.com/2008/09/oggi-il-xx-settembre.html
http://www.bergamoliberale.org/attualita/Dossier/XXsettembre/XXsettembre.htm
http://www.anticlericale.net/

Per la libertà della religione dalla politica,
per la libertà della politica dalla religione.

mercoledì 2 settembre 2009

Il colore della pace (e dei dittatori)

Mentre il governo italiano...

lunedì 31 agosto 2009

Laici vs. laicisti? No, clericali vs. laici !

martedì 14 luglio 2009

Oggi si sciopera

14 luglio. Blog chiuso per sciopero (contro il contenuto del ddl Alfano).
Questo blog aderisce allo sciopero dei bloggers liberi contro l'ennesimo, ricorrente tentativo di bavaglio ad uno - anzi, all'unico - dei pochi spazi di libertà di manifestazione del pensiero, la rete.

domenica 12 luglio 2009

Marchette politiche e politiche marchettare

Le 10 domande rivolte su Repubblica al premier da G. D'Avanzo (uno dei pochi che, assieme alla trasmissione Report e a rare altre eccezioni, sa ancora in Italia che vuol dire giornalismo d'inchiesta) pongono temi che hanno anche a che fare col ruolo che la stampa in un paese libero dovrebbe svolgere nei confronti del potere e dei potenti.

martedì 12 maggio 2009

Semiliberi

L’ultimo rapporto sulla libertà di stampa realizzato da Freedom House consegna alla storia una valutazione dell’Italia ben poco lusinghiera, di fatto retrocedendola, in quanto a libertà di stampa e di informazione, a paese semilibero. Siamo l’unico paese nell’Europa occidentale ad avere questo triste attributo, che ci allinea di fatto solo alla Turchia (l’Italia e la Turchia sono gli unici paesi occidentali ad avere un ordine dei giornalisti).
Freedom House, è bene ricordarlo, è una autorevolissima organizzazione autonoma ed indipendente (fondata nientemeno che da Eleanor Roosvelt) che dal 1980 valuta lo stato di libertà di 195 nazioni, e vedere l’Italia ormai in 73a posizione non può non far pensare.

Le motivazioni alla base di questo declassamento sono quelle ampiamente dibattute: le leggi che limitano la libertà di parola e di informazione, gli attacchi continui ai pochi giornalisti che fanno il loro mestiere e realizzano inchieste che dispiacciono al potere, le pressioni sui tribunali, l’eccessiva concentrazione della proprietà dei media nelle mani di un soggetto unico, peraltro Capo del Governo. Freedom House pone sotto osservazione anche la vituperata legge Gasparri, che secondo l’organizzazione americana favorisce espressamente il gruppo Mediaset (strano a dirsi...).
A dire il vero, non è la prima volta che l’eccessiva concentrazione di televisioni e giornali in mano a Berlusconi finisce sotto l’analisi di Freedom House. Già nel 2005 l’Italia era stata declassata a paese parzialmente libero (partly free), tornando libero (in 61ma posizione) solo quando il proprietario di Mediaset perse le elezioni. Nel rapporto si leggeva che “anche se l'informazione privata resta concentrata nelle mani di Mediaset, controllata da Berlusconi, la principale emittente pubblica Rai non è più sotto il suo controllo”. Adesso si ritorna ad una posizione di classifica ancora più bassa, e per gli stessi motivi di sempre, aggravati. Freedom House prende anche in considerazione gli altri (pochi) media autonomi da Mediaset (come La7 ormai in crisi), ma questi hanno un peso quasi del tutto irrilevante in un panorama informativo pesantemente dominato e condizionato dal mono-duopolio Mediaset e Rai, di fatto controllate dal premier direttamente o indirettamente, e da pochi giornali "la cui sopravvivenza é comunque legata strettamente alle enormi sovvenzioni pubbliche elargite dal governo". Inoltre, fattore spesso sottovalutato ma assolutamente decisivo, il settore della pubblicità, da cui deriva un supporto indispensabile alla vita dei media, è praticamente in regime di monopolio o quasi. Ma tant'è- Siamo semiliberi, e lo siamo soprattutto dal punto di vista della libertà di stampa.
http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5ib8nNzQ2C5OKM6oOMcNuF0YRqWXg

http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=251&year=2009

martedì 24 marzo 2009

Cartoonists

Le Monde: “Papa Benedetto XVI è un irresponsabile". Le dichiarazioni di Ratzinger su preservativi e Aids criticate aspramente in Francia, Inghilterra, Germania, Olanda, Spagna. In Italia, invece, solo silenzio.
Le considerazioni del Papa erano state riportate acriticamente da quasi tutti i media italiani, senza alcun commento. Il portavoce del ministero degli Esteri francese, Eric Chevallier, ha detto: “La Francia esprime fortissima preoccupazione davanti alle conseguenze di queste frasi di Benedetto XVI. Se non spetta a noi dare un giudizio sulla dottrina della Chiesa riteniamo che frasi del genere mettano in pericolo le politiche di sanità pubblica e gli imperativi di protezione della vita umana”. I ministri della Salute e della Cooperazione economica e sviluppo della Repubblica federale tedesca, Ulla Schmidt e Heidemarie Wieczorek-Zeul, hanno aggiunto in un comunicato che “i preservativi giocano un ruolo decisivo” nella lotta all’Aids. “I preservativi salvano la vita, tanto in Europa quanto in altri continenti - è scritto nel documento - una moderna cooperazione allo sviluppo deve dare ai poveri l’accesso ai mezzi di pianificazione familiare e tra questi rientra in particolare anche l’impiego dei preservativi; tutto il resto sarebbe irresponsabile”. Ma parole di dissenso nei confronti del pontefice sono venute anche da ambienti religiosi. Il vescovo ausiliario di Amburgo, Hans Jochen Jaschke, ha sostenuto in un articolo per il settimanale Die Zeit: “Chi ha l’Aids, è sessualmente attivo e cerca partner differenti deve proteggere gli altri e se stesso. I preservativi possono proteggere, anche se spesso gli uomini li rifiutano”. Critiche dalle Ong britanniche. Secondo l’associazione di beneficenza cristiana Christian Aid, le parole del papa rischiano di seminare “confusione in Africa, nei Paesi dove la Chiesa cattolica ha un’influenza importante”. “Le parole del Papa mandano un messaggio che crea confusione in un luogo come l’Africa, dove la Chiesa cattolica è molto importante. La nostra posizione - continuava l’associazione - è che l’astinenza è una parte importante nell’insieme delle misure, ma che non è l’unico modo per combattere la diffusione del virus dell’Hiv”. Dello stesso parere Mohga Kamal-Yanni, esperta di Hiv e Aids dell’organizzazione di beneficenza Oxfam, una delle più grandi al mondo: “La disponibilità dei preservativi per combattere l’Hiv è assolutamente cruciale” ha detto la Kamal-Yanni all’agenzia francese, aggiungendo: “Se vogliamo evitare nuovi casi di infezione tra i giovani, dobbiamo aumentare la diffusione dei preservativi”.
Sempre ieri il prestigioso quotidiano francese ‘Le Monde’ ha pubblicato (in prima pagina) una vignetta del disegnatore satirico Plantuun nella quale un Cristo fa il miracolo della “moltiplicazione dei preservativi”, distribuendone a piene mani, e sorridendo, a una popolazione di africani in attesa. Sulla stessa barca, dietro l’immagine di Gesù, c’è un rassegnato Benedetto XVI che commenta: “buffonate!”. Ancora più dietro, un monsignor Williamson negazionista a tutti i costi anche dell’Aids oltre che delle camere a gas: “…e poi l’Aids non è mai esistito”. Il giornale francese ha inoltre
dedicato un editoriale all’argomento nel quale si legge: “Nessuno ha mai preteso che il preservativo fosse là soluzione per lottare contro l’Aids. Ma affermare che aggrava la pandemia è gravissimo e irresponsabile”. Continua Le Monde: “Il suo predecessore Giovanni Paolo II non si era mai spinto così in là”. Queste affermazioni, ha insistito il quotidiano che ha ricordato la politica del Vaticano fin dall’apparizione della malattia, “sono una fuga davanti alla realtà, mentre la schiacciante maggioranza delle organizzazioni umanitarie, comprese quelle cattoliche, che lottano contro l’Aids fanno del preservativo uno degli strumenti privilegiati della prevenzione. Le frasi del papa minano il loro lavoro”. “Lungi dal far evolvere la posizione della Chiesa - conclude l’editoriale - il papa la irrigidisce. Questo episodio illustra uno spirito di chiusura che un legittimo attaccamento ai dogmi e alla parola della Chiesa non giustifica. Arriva dopo la revoca della scomunica dei vescovi integralisti e la condanna in Brasile - con l’appoggio del Vaticano - della madre di una bambina che ha abortito dopo essere stata stuprata ed essere stata in pericolo di vita. Cresce, in tanti fedeli di tutto il mondo, l’incomprensione”.
Sempre in Francia moltissime personalità hanno voluto esprimere il proprio dissenso. Per l’ex primo ministro e rappresentante della destra, Alain Juppè, “questo Papa comincia a rappresentare un vero problema”, perchè secondo il politico conservatore vive “in una situazione di totale autismo”. Per Marie-George Buffet, segretario del Partito comunista francese, le esternazioni di Ratzinger sono “irresponsabili» e «criminali”. Per Daniel Cohn-Bendit, ex leader del ‘68 ed oggi europarlamentare verde, “di questo Papa se ne ha abbastanza” e le sue idee sui preservativi sono “quasi da omicidio premeditato”. Il professor Michel Kazatchkine, direttore esecutivo del fondo mondiale di lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria, ha chiesto “al Papa di ritirare le sue affermazioni” che ritiene “inaccettabili”.
La levata di scudi contro Benedetto XVI che ha investito mezza Europa è passata come un soffio di brezza in Italia, dove nessuno sembra voler assumere una posizione chiara nei confronti dell’argomento. Il fatto è di particolare gravità perchè l’Aids è una malattia epidemica pericolosissima e nel nostro Paese, anche per l’azione del Vaticano, l’informazione scarseggia.
Ma l’atteggiamento del Vaticano in questi ultimi anni sembra sempre più distante dai pensieri e dalle reali condizioni di vita dei cittadini, oltre che dalla realtà (come affermato da Alain Juppè). Dal caso Englaro al rapporto con la ricerca scientifica, dagli studi sulle cellule staminali ai test prenatali. Le convinzioni religiose non sono in discussione, ma quando diventano un pericolo per la collettività, come è nel caso delle esternazioni del pontefice sull’uso dei profilattici, è compito delle istituzioni e dei media informare correttamente l’opinione pubblica. Senza dimenticare che in democrazia (se c’è) nessuno deve pretendersi al di fuori dal diritto di critica, neppure il papa.
Sopra, la vignetta di Le Monde. Sotto, quella del Times di Londra. Due veri e propri editoriali, entrambi molto condivisibili.

venerdì 20 febbraio 2009

PDL, ovvero partito della libertà sempre più... vigilata

Berlusconi, ormai con sempre minori pudori, adesso si fa sfuggire (salvo ritrattazione) la proposta di nazionalizzare le banche (una via di mezzo tra Beneduce e Putin?); questo mentre al Senato avanza l'osceno disegno di legge di iniziativa vaticana contro il (non "sul") testamento biologico, che - se legge - sequestrerà le vite (e le morti) di tutti gli Italiani, obbligandoli a trattamenti terapeutici forzati anche contro la loro volontà. Insomma, ormai da parte di questa maggioranza e di questo capo del governo siamo non solo (e da tempo) all'antiliberalismo ma anche all'anticapitalismo (oltre che all'antiliberismo).
Antiliberalismo + corporativismo + protezionismo + stato etico + genuflessione di convenienza nei confronti del clericalismo vaticano: come si sarebbe chiamato questo "mix", questo nascente "fascio" di derive politiche, se fossimo stati negli anni '20 del secolo scorso invece che negli anni '10 (quasi) di quello attuale?

lunedì 16 febbraio 2009

Come in Iran?

L'ARMATA DEL VATICANO ALLA BATTAGLIA DELL'ETICA
di M. Politi - La Repubblica, 15 febbraio 2009

Enigma e paradosso sono il marchio del potere della Chiesa in Italia. Un potere a volte pesante, a volte impalpabile, alternativamente gridato e silenzioso, evidente e nascosto. Capace di mobilitare e al tempo stesso privo di consenso maggioritario. Ma quel che conta: un potere che c´è.
L´ultima vittoria elettorale di Santa Romana Chiesa si registrò alle elezioni regionali del Lazio nel 2000, quando il presidente della Cei cardinale Camillo Ruini volle punire la giunta ulivista di Piero Badaloni per aver tentato di regolamentare le coppie di fatto. Vinse, con l´appoggio di congregazioni e parrocchie, il post-missino Francesco Storace.
Otto anni dopo, la rivelazione clamorosa dell´impotenza ecclesiastica nell´orientare larghe masse alle elezioni politiche del 2008: l´Udc prese poco più del cinque per cento. Eppure, auspice sempre il cardinale Ruini, il direttore dell´Avvenire Dino Boffo si era speso a favore del partito di Casini, indicandolo come «presenza che fa esplicito riferimento alla dottrina sociale della Chiesa». In mezzo (anno 2005) si colloca il trionfo nel referendum sulla procreazione assistita, che ha visto la Chiesa esibire dalla sua parte il vessillo del settantaquattro per cento di non votanti.
Dove sta il potere politico della Chiesa e dove il suo tallone d´Achille? In che consiste la sua capacità di pesare sul ceto politico italiano? Sono tramontati i tempi quando la gerarchia ecclesiastica, agendo sull´associazionismo cattolico, i gruppi professionali e sindacali bianchi, le parrocchie e le congregazioni religiose, riusciva a convogliare una parte notevole del voto sulla Democrazia cristiana. Dopo Tangentopoli e l´implosione della Dc i credenti si sono divisi e frammentati e si è profilato sempre più chiaramente quello che Alessandro Castegnaro, direttore dell’ ´Osservatorio Religioso Triveneto, chiama il «doppio registro» dei cattolici: «Da un lato c´è il riconoscimento dell´utilità che la Chiesa formi le coscienze, dia indicazioni, inviti alla riflessione sui valori; e dall´altro, di fronte alle scelte di vita, la stragrande maggioranza della popolazione sostiene che riguardano la propria coscienza. Fatta eccezione per una minoranza di fedeli». In varie inchieste dove la domanda era "chi decide cosa è male?", il novanta per cento ha risposto: la coscienza individuale. Altri, la legge di Dio. Ultimi quelli per cui la Chiesa "può" dare l´indicazione decisiva. Nei giovani, sintetizza, la distinzione tra sfera etica e dimensione religiosa è visibilissima.
E tuttavia nell´ultimo quindicennio la gerarchia ecclesiastica ha sempre detto l´ultima parola sulle leggi riguardanti i rapporti di vita. Ha impedito l´introduzione del divorzio breve, ha voluto una legge sulla fecondazione assistita che prevede il divieto di scartare gli embrioni malati, ha bloccato una legge sulle coppie di fatto e infine - sul caso Eluana - è riuscita a trascinare Berlusconi, inizialmente riluttante, a sfiorare la crisi istituzionale pur di impedire l´esecuzione della sentenza, che autorizzava l´interruzione del suo calvario.
Una delle risposte sta nella fragilità della classe politica. La Chiesa non muove molti voti, forse qualcosa tra il tre e il cinque per cento. Però in un bipolarismo, in cui il cambio di governo può dipendere da ventiquattromila voti (come nel 2006), i partiti sono ossessionati dalla paura di avere contro la gerarchia ecclesiastica. «La parola d´ordine sotterranea è che non conviene litigare con i preti», riassume ironicamente il sociologo Arnaldo Nesti, che punta l´attenzione sulla rete discreta di personaggi ex democristiani o provenienti dall´associazionismo cattolico, piazzati in provincia in posizioni anche economicamente importanti. Si muovono in autonomia e al tempo stesso hanno come riferimento ultimo il vescovo: specie nelle battaglie sulle «leggi eticamente sensibili», in cui schierarsi diventa mostrare bandiera pro o contro il verbo della Chiesa. Tanto, aggiunge Nesti, c´è la riserva mentale che «ognuno nel privato fa ciò che vuole». Di pari passo, conclude, si manifesta l’´atteggiamento rinunciatario della cultura laica.
Castegnaro rovescia il discorso. Nell´indubbia debolezza del sistema politico, spiega, risalta la debolezza delle culture secolari post-novecentesche. La Chiesa non trova più competitori come un tempo: ad esempio, la sub-cultura del Pci. E allora essa appare come l´istanza che «offre più informazioni, più opzioni, più indicazioni di valore». I laici parlano solo di libertà individuale e tende a mancare nel loro discorso l´orizzonte dell´edificazione di un tessuto solidale.
La strategia dell´istituzione ecclesiastica è stata costruita negli anni Novanta dal cardinale Ruini, allora presidente della Cei. Si basa su due assi. La pretesa di rappresentare la visione antropologica «vera», consona alla tradizione cristiana dell´Italia, e al tempo stessa «retta» interprete della ragione e della natura, è il primo. Ne deriva la spinta a presentarsi come il referente autentico per la legislazione sui temi etici: dall´embrione alla famiglia, dalla pillola del giorno dopo alla ricerca sulle staminali, al testamento biologico. Indispensabile a questo disegno è l´assoluto centralismo della Cei, il cui vertice riverbera il volere del Papa, unito al silenziamento del dibattito tra i vescovi e nel mondo cattolico. Risultato raggiunto. Negli ambienti del laicato cattolico l´afasia è acuita dalla scomparsa di figure prestigiose come lo storico Pietro Scoppola, il sociologo Roberto Ardigò, lo studioso di storia della Chiesa Giuseppe Alberigo.
Il secondo elemento strategico è la compatta utilizzazione dei media ecclesiastici per occupare la scena pubblica: l´Osservatore Romano, l´Avvenire, il Sir, i settimanali e le radio diocesane, i comunicati della Cei. Non è un caso che Dino Boffo sia contemporaneamente direttore di Avvenire, della Tv dei vescovi Sat2000 e del circuito radio della Cei. A questa rete, che nei momenti cruciali martella ossessivamente l´opinione pubblica e la classe politica - si tratti del no ai Dico, del referendum sulla procreazione assistita o del testamento biologico o di Eluana - si aggiunge come alleato esterno, di area laica, il Foglio che nel nome dell´ideologia occidentalista teocon rilancia aggressivamente i comandamenti del magistero ecclesiastico. Sul piano sociale agiscono in primo piano i gruppi più integralisti: l´Associazione Scienza e Vita, il Movimento per la Vita, i Centri di aiuto alla vita, il Forum delle famiglie. Insieme a due movimenti che occhieggiano alle manifestazioni anti-Zapatero in Spagna: i neo-pentecostali di Rinnovamento dello Spirito e i Neo- Catecumenali. Sul piano parlamentare si muovono Cl e l´Opus Dei.Alle associazioni tradizionali, conoscendone il pluralismo interno di fatto, i vertici ecclesiastici chiedono solo il pubblico allineamento nelle grandi occasioni. Dal Family Day al referendum sulla procreazione artificiale, al contrasto delle sentenze della magistratura favorevoli a Beppino Englaro.Ai deputati cattolici, infine, la dottrina Ratzinger impone ubbidienza nella legislazione sui valori «non negoziabili».
Su questa base la gerarchia ecclesiastica si presenta sulla scena come portavoce (presunto) della cattolicità e preme incessantemente sul fragile sistema politico, approfittando del fatto che nel centrodestra l´area liberal-socialista si è completamente allineata alle posizioni della Chiesa e che nel centrosinistra i teodem si ergono insistentemente come unica «voce cattolica». Con una carta in più: la Chiesa interviene a tutto campo, ma se si levano voci di critica, allora reagisce convittimismo aggressivo lamentando il tentativo di imbavagliarla.
Eppure da anni nei sondaggi la grande maggioranza della popolazione ribadisce che la Chiesa non deve interferire nella legislazione. Nell´ultima indagine Swg dell´estate scorsa, l´ottantadue per cento. Per questo al referendum del 2005 la presidenza della Cei, incerta sulla consistenza dei fedeli a proprio favore, giocò la carta dell´astensione. Teorema dimostrato dall´audience televisiva la notte della morte di Eluana. Se otto milioni guardano il Grande Fratello e solo quattro milioni Porta a Porta (mostrandosi nelle mail spaccati sul sì o sul no alla decisione di Englaro), cos´è più conveniente se non arruolare alla propria strategia gli otto milioni che non vogliono porsi problemi?
Perché la comunità dei credenti è estremamente variegata. Sotto la cappa della linea ufficiale si possono incontrare suore che sbuffano perché «Santa Madre Chiesa non si sta un po´ zitta», responsabili diocesani che esprimono «fatica per le posizioni attuali» e persino cardinali che confessano: «Non parlo, perché sarei eretico». La maggioranza dei fedeli non ha nascosto in queste settimane di stare dalla parte di Eluana. Lo dicevano anche tanti pellegrini la domenica in piazza San Pietro. E dopo la sua morte (sondaggio di Nando Pagnoncelli) il settantaquattro per cento sostiene ancora che sul testamento biologico debba decidere il soggetto o, in caso di coma, la sua famiglia.
Riassume Angelo Bertani, direttore dell´agenzia Adista e già direttore di Segno (Azione cattolica) e caporedattore di Avvenire: «In Italia assistiamo all´incontro di due debolezze. La Chiesa ha bisogno di mezzi esterni, dello Stato, delle leggi, perché non possiede il linguaggio per convincere. E la politica di centrodestra, incapace di unire il Paese, cerca una legittimazione morale e un mantello sacrale».
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LA CHIESA DEL DOGMA IN CONFLITTO CON LO STATO
di E. Scalfari - La Repubblica, 15 febbraio 2009
Voglio oggi intervenire ancora una volta sul tema della nostra Costituzione e dei rapporti tra di essa e la Chiesa cattolica. Cioè, per essere ancora più concreti e per delimitare con precisione l' argomento, tra lo Stato repubblicano e costituzionale e la Santa Sede e gli organi gerarchici che da lei dipendono. Si tratta d' un tema di permanente attualità; infatti ha connotato gran parte della vita pubblica italiana, sia durante la monarchia sia durante la Repubblica, attraverso le varie fasi susseguitesi in centocinquant' anni di storia: il periodo liberale, il regime fascista, il quarantennio democristiano e infine gli ultimi quindici anni a partire dal 1992, la fase di transizione tuttora in corso che ci porterà non sappiamo dove, una terra incognita resa ancora più incerta a causa della profonda crisi economica che sta squilibrando gli assetti sociali del mondo intero. Altre persone qualificate si sono cimentate su quest' argomento. Ne cito alcune: Gustavo Zagrebelsky anzitutto, ed anche Schiavone, Prosperi, Magris, Rodotà, Mancuso. Il caso Englaro con tutto il carico di drammaticità e di umanità sofferente di cui era pervaso, ha sottolineato l' attualità del tema rendendolo ancora più palpitante e alzando i toni d' un conflitto che sembrava di natura soltanto intellettuale ed accademica e che coinvolge invece sentimenti universali come la sofferenza e la pietà. Il rapporto tra una Costituzione liberaldemocratica e la Chiesa chiama in causa quello tra la fede e la ragione, tra l' etica promanante dalla religione e la libertà di ciascuno. Infine tra la verità assoluta e quella relativa. Non c' è posto per l' indifferenza. Margini per compromessi pragmatici esistono ed è bene che siano esplorati, ma sono esigui perché mettono in gioco principi e valori che non possono essere imposti né con la spada né con la dittatura delle maggioranze. Il tema dunque è di rilievo e non eludibile. * * * Quali sono i pilastri che sorreggono l' architettura d' una Costituzione liberal-democratica? si è chiesto nel suo intervento sul nostro giornale Gustavo Zagrebelsky. Ed ha risposto: il diritto di tutte le opinioni a confrontarsi, la garanzia di poter esercitare i diritti di libertà, l' eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge senza alcuna eccezione. Questa è ciò che noi chiamiamo la legalità costituzionale e che lo Stato deve garantire e tutelare. In questa visione è escluso per definizione che lo Stato possa avere un qualsiasi contenuto etico, cioè la realizzazione di un valore come propria finalità. Salvo uno: il valore cui deve tendere uno Stato liberal - democratico è appunto e soltanto quello di realizzare i principi sopra indicati. Ogni altro valore gli è estraneo; se mette in causa quei principi fondativi gli diventa avversario e al limite nemico. Si pone a questo punto la questione se gli sia estranea, avversaria o addirittura nemica la Chiesa cattolica. La risposta è il riconoscimento dell' estraneità. Lo Stato liberal-democratico e la Chiesa cattolica sono due entità (come del resto recita lo stesso Concordato) che non si incontrano: operano su piani diversi, si muovono su linee parallele all' infinito che non potranno mai convergere se non su obiettivi specifici e delimitati. Si può chiedere a questo punto perché io abbia ristretto il tema alla Chiesa cattolica e non consideri alla stessa stregua le altre chiese e le altre religioni. La risposta è semplice: la Chiesa cattolica è la sola che disponga di una struttura di potere e di gerarchia. Nessuna delle altre confessioni cristiane dispone di strutture gerarchiche e centralizzate, nessuna delle altre religioni storiche si è data un assetto politico. È accaduto in qualche caso che uno Stato si sia identificato con una religione e per conseguenza che una religione abbia occupato uno Stato dando vita ad un regime teocratico. Quando e laddove questo è accaduto le sembianze e la natura dello Stato hanno inevitabilmente assunto fisionomia integralista, fondamentalista, totalitaria. I cittadini si sono trasformati in fedeli. Anche la religione si è trasformata: da movimento spirituale e partecipato è diventata una struttura di potere. I dissenzienti sono stati considerati non soltanto eretici rispetto all' ortodossia religiosa ma ribelli rispetto allo Stato teocratico. Queste sono le ragioni per le quali gli spiriti religiosi più consapevoli considerano il potere temporale della Chiesa cattolica come una devianza molto grave con l' effetto inevitabile di allontanare la Chiesa dal messaggio cristiano e dalla predicazione di Gesù trasmessa dai Vangeli: «Il mio regno non è di questo mondo» questa affermazione ricorre con frequenza in tutti i Vangeli, negli Atti, nelle lettere di Paolo alle prime comunità, nella tradizione patristica e in tutto il pensiero cristiano. Purtroppo la struttura gerarchica della Chiesa di Roma assunse fin dal III secolo la dimensione temporalistica come indispensabile garanzia della propria libertà. Da quel momento la prassi si discostò dall' affermazione di Cristo che puntava sul regno extraterreno disinteressandosi ed anzi rinunciando a qualsiasi tentazione di regno mondano. Rimase l' altra affermazione di natura però assai diversa: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Qui l' estraneità delle due sfere è simultanea e lascia quindi ampie zone di reciproca interferenza specie quando lo Stato può riempirsi di contenuti etici e la Chiesa di contenuti temporalistici. Questa situazione, dove le due parallele si incontrano, è all' origine di conflitti drammatici durati secoli, anzi millenni. Con un aspetto tuttavia positivo che è d' obbligo ricordare: la Chiesa cattolica è stata contaminata (nel senso positivo del termine) dalla modernità così come lo Stato è stato a sua volta contaminato dai principi dell' amore e della solidarietà. * * * Il Concilio Vaticano II fu il momento più alto di questa contaminazione. Dopo di allora ha avuto inizio un movimento di riflusso dapprima quasi impercettibile ed ora sempre più evidente, culminato pochi giorni fa con il rientro del movimento lefebvriano nella Chiesa di Roma. Un particolare, ma con valenze simboliche, liturgiche e dottrinali che non possono esser sottovalutate. È vero, questi problemi riguardano soprattutto il clero e il laicato cattolico. Soprattutto, ma non esclusivamente. Il riflusso rispetto al Vaticano II si accompagna al risorgere di una visione temporalistica della Chiesa che non ha più come obiettivo il possesso e il governo d' uno spazio territoriale, di un regno terrestre da affiancare al regno celeste. Il temporalismo attuale ha l' obiettivo di trasformare ovunque sia possibile (e quindi specialmente in Italia, giardino del Papa per storica definizione) il peccato in delitto, il precetto dottrinale in norma, la legge divina in diritto positivo, l' etica religiosa in etica pubblica, con la conseguenza di imporre ai cittadini comportamenti ed obblighi non condivisi. Il terreno sul quale questo riflusso temporale pesa con maggior forza è quello della bioetica, della vita e della morte. Qui lo spazio pubblico del quale la Chiesa gode legittimamente si sta trasformando in un' arena di scontro nella quale la gerarchia episcopale e curiale guida i fedeli ad una battaglia che ha addirittura coinvolto il Capo dello Stato. Chi crede nell' immortalità dell' anima e nella beatitudine suprema che ristora le anime nel regno celeste e bandisce vere e proprie crociate per conservare una persona che non ha più nulla di quella che fu, commette un peccato mortale contro la vita, tanto più quando si tratti di vescovi, di cardinali e perfino del capo della Chiesa di Roma. * * * Il laicato cattolico non ha dato fin qui segnali rilevanti di preoccupazione per quanto sta accadendo nella sua Chiesa. Per quel che se ne sa segnali di disagio e di dissenso sono venuti piuttosto da vescovi e cardinali non italiani e da una parte non disprezzabile del clero italiano. Da alcune comunità locali e da alcune località di rilievo nazionale ed internazionale. Qualche segno di disagio è venuto anche da alcuni settori di cattolici direttamente impegnati in politica. Soprattutto nel Partito democratico, dove sono confluiti un anno fa gran parte degli ex popolari. I giornali hanno dato notevole rilievo ai parlamentari cattolici del Partito democratico che hanno votato in favore del disegno di legge governativo sul caso Englaro. È giusto, ma non tanto per il dissenso con il proprio partito quanto per il fatto che quel disegno di legge impone un comportamento e impedisce l' esercizio d' una libera scelta, cosa che un parlamentare democratico dovrebbe rifiutare in forza della propria coerenza politica. Ma il fatto che ha avuto in quella circostanza un' importanza almeno pari se non addirittura maggiore è stato a mio avviso il voto dato da parlamentari cattolici in dissenso con il messaggio tambureggiante lanciato dalla Chiesa. Il tema comunque si riproporrà tra poco, quando sarà affrontata dal Parlamento la legge sul testamento biologico. È chiaro a tutti che su tali argomenti non può esistere una disciplina di partito, ma è altrettanto chiaro che un partito ha il diritto-dovere di esprimere pubblicamente l' atteggiamento della maggioranza dei propri aderenti. Il test che avremo sotto gli occhi in questa occasione non riguarda dunque il dissenso dei cattolici politicamente impegnati rispetto ai partiti nei quali hanno deciso di militare, ma il loro eventuale dissenso nei confronti del temporalismo cattolico, del distacco cattolico dal Concilio Vaticano II, della regressione dogmatica della gerarchia. Questo sarà il test cui saranno chiamati. La risposta che daranno sarà molto importante per l' evoluzione o l' involuzione della democrazia italiana e della Chiesa.

domenica 1 febbraio 2009

tre letture

M. Ainis - Chiesa padrona. Un falso giuridico dai Patti Lateranensi a oggi - 2009, Garzanti Libri

La Chiesa cattolica attinge abbondantemente alle risorse pubbliche dello Stato italiano: ogni anno milioni di euro vengono dirottati dal governo centrale e dagli enti locali, che si sono fatti di recente ancor più solerti. Questo tuttavia non impedisce al Vaticano pesanti incursioni nella vita pubblica del nostro paese: è pressoché impossibile che un provvedimento legislativo venga approvato senza il suo benestare; e quando accade, le resistenze della Chiesa cercano di impedirne l'applicazione. È una situazione abnorme, che trova il suo fondamento nel Concordato siglato l'11 febbraio 1929 da Pio IX con Benito Mussolini, che lo stesso pontefice aveva definito "l'uomo della Provvidenza". Quel patto venne accolto dalla Costituzione repubblicana attraverso l'articolo 7. Infine nel 1984 il Concordato fu rinnovato dall'accordo tra Craxi e Giovanni Paolo II. Oggi il trattamento privilegiato di cui gode il Vaticano non ha più alcun fondamento giuridico, argomenta Michele Ainis: l'articolo 7 era una norma provvisoria, e oggi è un farmaco scaduto. Oltretutto quelle dei vertici della Chiesa si configurano come vere e proprie ingerenze di uno stato straniero nei nostri affari interni. Infine, in una società sempre più complessa, i privilegi concordatari creano inevitabilmente una disparità di trattamento rispetto a cittadini italiani che seguono altre fedi (e soprattutto a quelli che non si sentono affiliati ad alcuna chiesa).

S. Rodotà - Perché laico -2009, Laterza

Procreazione assistita, testamento biologico, obiezione di coscienza, unioni di fatto, diritti degli omosessuali, limiti etici e giuridici della ricerca scientifica, presenza della religione nella sfera pubblica: sono questi alcuni tra i temi della difficile discussione tra laici e cattolici italiani. Da una parte le gerarchie ecclesiastiche condannano i presunti mali del "relativismo", denunciano obliqui tentativi di ricacciare la fede nel privato e la Chiesa nelle sagrestie, indicano fini "non negoziabili"; dall'altra la cultura laica appare troppe volte timorosa, incapace di ritrovare la forza dei propri principi nella dimensione costituzionale, di cogliere il significato di una presenza della Chiesa come vero e proprio soggetto politico. Solo rimuovendo fondamentalismi e arretratezze è possibile ritrovare la via di un dialogo.
"Questo libro non è una professione di fede. E' una riflessione sulla laicità non come polo oppositivo, che più d'uno vorrebbe rimuovere, ma come componente essenziale del discorso pubblico in democrazia. E' dunque guidato da un profondo convincimento democratico, non dall'idea di spaccare il mondo in due, tra credenti e non credenti. Vuole tenere ferma la bussola dei principi, misurandosi però ogni momento con i fatti".

M. Politi - La chiesa del no. Indagine sugli italiani e la libertà di coscienza - 2009, Mondadori

Troppi "no" ha pronunciato la Chiesa nell'ultimo decennio. A ottant'anni dalla firma del Concordato i suoi rapporti con lo Stato non appaiono regolati dalla reciproca indipendenza, sancita dalla Costituzione. Il bilancio delle leggi non fatte o malfatte in seguito a pressioni ecclesiastiche è cospicuo: si è impedita l'introduzione del divorzio breve; si è varata una legge sulla fecondazione assistita che prevede l'impianto degli embrioni malati; si è bloccata una legge sulle coppie di fatto, demonizzando le unioni gay. Infine emblematica è la vicenda di Eluana Englaro - si contrasta il diritto del malato a sospendere nutrizione e idratazione artificiali in caso di stato vegetativo persistente. Marco Politi scopre un paese in cui il senso dell'etica convive con la comprensione per le scelte esistenziali difficili e la fede si coniuga alla laicità e all'attenzione per le idee altrui. Il suo viaggio lo ha portato negli ambiti più vari: mondo ecclesiastico, scienza, medicina, politica, teologia, cinema, diritto. "Assistiamo a uno straripamento totale della Chiesa" nota Emma Bonino nella prefazione, criticando la debolezza della classe politica, che deve fare i conti con un'istituzione ecclesiastica refrattaria alla modernità, all'idea che la dottrina cattolica non ispiri più la legislazione. Questo studio descrive una realtà complessa dove s'intrecciano esperienze molteplici che si muovono in diverse direzioni interrogandosi sul senso dei valori, della religione, dell'esistenza.

venerdì 23 gennaio 2009

Good beginning

Il destino dell’America nel suo popolo
• da America Oggi del 21 gennaio 2009, pag. 1
di Stefano Vaccara
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La parola più usata dal presidente Barack Obama nel suo discorso inaugurale è stata “nation”. Il termine non è stato usato in modo “esclusivistico”, “noi” diversi dagli “altri”, “noi” contro gli “altri”. La “nation” usata da Obama ha un senso “inclusivo”, della rinnovata unione di individui liberi, “we the people”, così diversi nel credo o nelle razze ma di nuovo uniti nel proposito di rendere più forte l’America e farla restare una guida per il mondo.
Quando all’estero si guarda agli Usa come alla “grande potenza”, si pensa solo alla forza economica, tecnologica, militare. America “number one”, solo se ancora più ricca e più forte militarmente degli altri. Il declino della potenza americana si tratterebbe di un argomento scientifico, le grandi potenze nascono, crescono e muoiono. E’ stato sempre così, l’America si rassegni...
Ma l’arrivo alla Casa Bianca del figlio di un africano “che solo 60 anni fa non sarebbe stato servito in un ristorante di Washington”, segnala ancora una volta che il futuro della potenza americana non si può calcolare solo con freddi dati statistici. “What it’s happening here today is not about me but about the American people”. Il neo presidente Barack Obama ha detto dopo il suo discorso sulla scalinata del Campidoglio, durante un pranzo dentro il Congresso. Come per sottolineare che il significato più importante della sua presidenza, è la capacità di rinnovamento dell’America nello spirito della nazione creata poco più di due secoli fa. Una nazione democratica, con il governo del popolo, dal popolo, per il popolo. Quando ha giurato Obama ha messo la mano sulla bibbia usata da Lincoln, il presidente che a Gettysburg disse: “That this nation, under God, shall have a new birth of freedom—and that government of the people, by the people, for the people, shall not perish from the earth”.
Lo ha ricordato ieri ancora Obama, che l’America sarà ancora la nazione guida del mondo non per la forza della sua economia, o la potenza delle sue armi, o l’intelligenza dei suoi leader, ma per il potere di rinnovamento della sua democrazia che, dopo i gravi scossoni degli anni passati, ha dimostrato invece di essere ancora viva e forte.
Il giuramente di Obama arriva sicuramente in tempi difficilissimi, ma “at these moments, America has carried on not simply because of the skill or vision of those in high office, but because We the People have remained faithful to the ideals of our forbearers, and true to our founding documents”.
Così ciò che può far declinare l’America sarà solo la perdita di “confidence”, di fiducia, nel suo popolo. Ma il declino per Obama non ci sarà, perché il popolo resta l’artifice del destino della nazione. “Time and again these men and women struggled and sacrificed and worked till their hands were raw so that we might live a better life. They saw America as bigger than the sum of our individual ambitions; greater than all the differences of birth or wealth or faction… This is the journey we continue today. We remain the most prosperous, powerful nation on Earth. Our workers are no less productive than when this crisis began. Our minds are no less inventive, our goods and services no less needed than they were last week or last month or last year. Our capacity remains undiminished… All this we can do. All this we will do”.
Ed eccolo quindi il ritorno al governo del popolo per il popolo. “The question we ask today is not whether our government is too big or too small, but whether it works, whether it helps families find jobs at a decent wage, care they can afford, a retirement that is dignified… The success of our economy has always depended not just on the size of our gross domestic product, but on the reach of our prosperity; on the ability to extend opportunity to every willing heart -- not out of charity, but because it is the surest route to our common good”.
L’America sarà ancora potente non solo per i suoi dati statistici, ma per i suoi ideali e i suoi valori, che il suo popolo difenderà: “As for our common defense, we reject as false the choice between our safety and our ideals. Our founding fathers faced with perils that we can scarcely imagine, drafted a charter to assure the rule of law and the rights of man, a charter expanded by the blood of generations. Those ideals still light the world, and we will not give them up for expedience's sake…. And yet, at this moment, a moment that will define a generation, it is precisely this spirit that must inhabit us all. For as much as government can do and must do, it is ultimately the faith and determination of the American people upon which this nation relies…”.
E infine l’America di Obama non imporrà i suoi valori agli altri popoli, ma sicuramente sarà lì nuovamente ad essere ispirazione per tutti: “America is a friend of each nation and every man, woman and child who seeks a future of peace and dignity, and we are ready to lead once more….”
Obama ha chiuso il suo discorso, ricordando al mondo che la forza del popolo americano la si ritrova proprio nelle origini della nazione:
“At a moment when the outcome of our revolution was most in doubt, the father of our nation ordered these words be read to the people: "Let it be told to the future world that in the depth of winter, when nothing but hope and virtue could survive, that the city and the country, alarmed at one common danger, came forth to meet it." America, in the face of our common dangers, in this winter of our hardship, let us remember these timeless words; with hope and virtue, let us brave once more the icy currents, and endure what storms may come; let it be said by our children's children that when we were tested we refused to let this journey end, that we did not turn back nor did we falter; and with eyes fixed on the horizon and God's grace upon us, we carried forth that great gift of freedom and delivered it safely to future generations.”

Professionisti del terrore e della tirannide (Hamas) e democrazie belligeranti (Israele)

«Noi usati come scudi»
• da Corriere della Sera del 22 gennaio 2009, pag. 1
di Lorenzo Cremonesi
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«Andatevene, andatevene via di qui! Volete che gli israeliani ci uccidano tutti? Volete veder morire sotto le bombe i nostri bambini? Portate via le vostre armi e i missili», gridavano in tanti tra gli abitanti della striscia di Gaza ai miliziani di Hamas e ai loro alleati della Jihad islamica. I più coraggiosi si erano organizzati e avevano sbarrato le porte di accesso ai loro cortili, inchiodato assi a quelle dei palazzi, bloccato in fretta e furia le scale per i tetti più alti. Ma per lo più la guerriglia non dava ascolto a nessuno. «Traditori. Collaborazionisti di Israele. Spie di Fatah, codardi. I soldati della guerra santa vi puniranno. E in ogni caso morirete tutti, come noi. Combattendo gli ebrei sionisti siamo tutti destinati al paradiso, non siete contenti di morire assieme?». E così, urlando furiosi, abbattevano porte e finestre, si nascondevano ai piani alti, negli orti, usavano le ambulanze, si barricavano vicino a ospedali, scuole, edifici dell’Onu.

In casi estremi sparavano contro chi cercava di bloccare loro la strada per salvare le proprie famiglie, oppure picchiavano selvaggiamente. «I miliziani di Hamas cercavano a bella posta di provocare gli israeliani. Erano spesso ragazzini, 16 o 17 anni, armati di mitra. Non potevano fare nulla contro tank e jet. Sapevano di essere molto più deboli. Ma volevano che sparassero sulle nostre case per accusarli poi di crimini di guerra», sostiene Abu Issa, 42 anni, abitante nel quartiere di Tel Awa. «Praticamente tutti i palazzi più alti di Gaza che sono stato colpiti dalle bombe israeliane, come lo Dogmoush, Andalous, Jawarah, Siussi e tanti altri avevano sul tetto le rampe lanciarazzi, oppure punti di osservazione di Hamas. Li avevano messi anche vicino al grande deposito Onu poi andato in fiamme E lo stesso vale per i villaggi lungo la linea di frontiera poi più devastati dalla furia folle e punitiva dei sionisti», le fa eco la cugina, Um Abdallah, 48 anni. Usano i soprannomi di famiglia. Ma forniscono dettagli ben circostanziati. E’ stato difficile raccogliere queste testimonianze. In generale qui trionfa la paura di Hamas e imperano i tabù ideologici alimentati da un secolo di guerre con il «nemico sionista».

Chi racconta una versione diversa dalla narrativa imposta dalla «muhamawa» (la resistenza) è automaticamente un «amil», un collaborazionista e rischia la vita. Aiuta però il recente scontro fratricida tra Hamas e Olp. Se Israele o l’Egitto avessero permesso ai giornalisti stranieri di entrare subito sarebbe stato più facile. Quelli locali sono spesso minacciati da Hamas. «Non è un fatto nuovo, in Medio Oriente tra le società arabe manca la tradizione culturale dei diritti umani. Avveniva sotto il regime di Arafat che la stampa venisse perseguitata e censurata. Con Hamas è anche peggio», sostiene Eyad Sarraj, noto psichiatra di Gaza city. E c’è un altro dato che sta emergendo sempre più evidente visitando cliniche, ospedali e le famiglie delle vittime del fuoco israeliano. In verità il loro numero appare molto più basso dei quasi 1.300 morti, oltre a circa 5.000 feriti, riportati dagli uomini di Hamas e ripetuti da ufficiali Onu e della Croce Rossa locale. «I morti potrebbero essere non più di 500 o 600. Per lo più ragazzi tra i 17 e 23 anni reclutati tra le fila di Hamas che li ha mandati letteralmente al massacro», ci dice un medico dell’ospedale Shifah che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita. Un dato però confermato anche dai giornalisti locali: «Lo abbiamo già segnalato ai capi di Hamas. Perché insistono nel gonfiare le cifre delle vittime? Strano tra l’altro che le organizzazioni non governative, anche occidentali, le riportino senza verifica. Alla fine la verità potrebbe venire a galla. E potrebbe essere come a Jenin nel 2002. Inizialmente si parlò di 1.500 morti. Poi venne fuori che erano solo 54, di cui almeno 45 guerriglieri caduti combattendo».

Come si è giunti a queste cifre? «Prendiano il caso del massacro della famiglia Al Samoun del quartiere di Zeitun. Quando le bombe hanno colpito le loro abitazioni hanno riportato che avevano avuto 31 morti. E così sono stati registrati dagli ufficiali del ministero della Sanità controllato da Hamas. Ma poi, quando i corpi sono stati effettivamente recuperati, la somma totale è raddoppiata a 62 e così sono passati al computo dei bilanci totali», spiega Masoda Al Samoun di 24 anni. E aggiunge un dettaglio interessante: «A confondere le acque ci si erano messe anche le squadre speciali israeliane. I loro uomini erano travestiti da guerriglieri di Hamas, con tanto di bandana verde legata in fronte con la scritta consueta: non c’è altro Dio oltre Allah e Maometto è il suo Profeta. Si intrufolavano nei vicoli per creare caos. A noi è capitato di gridare loro di andarsene, temevamo le rappresaglie. Più tardi abbiamo capito che erano israeliani». E’ sufficiente visitare qualche ospedale per capire che i conti non tornano. Molti letti sono liberi all’Ospedale Europeo di Rafah, uno di quelli che pure dovrebbe essere più coinvolto nelle vittime della «guerra dei tunnel» israeliana. Lo stesso vale per il “Nasser” di Khan Yunis. Solo 5 letti dei 150 dell’Ospedale privato Al-Amal sono occupati. A Gaza city è stato evacuato lo Wafa, costruito con le donazioni «caritative islamiche» di Arabia Saudita, Qatar e altri Paesi del Golfo, e bombardato da Israele e fine dicembre. L’istituto è noto per essere una roccaforte di Hamas, qui vennero ricoverati i suoi combattenti feriti nella guerra civile con Fatah nel 2007. Gli altri stavano invece allo Al Quds, a sua volta bombardato la seconda metà settimana di gennaio.

Dice di questo fatto Magah al Rachmah, 25 anni, abitante a poche decine di metri dai quattro grandi palazzi del complesso sanitario oggi seriamente danneggiato. «Gli uomini di Hamas si erano rifugiati soprattutto nel palazzo che ospita gli uffici amministrativi dello Al Quds. Usavano le ambulanze e avevano costretto ambulanzieri e infermieri a togliersi le uniformi con i simboli dei paramedici, così potevano confondersi meglio e sfuggire ai cecchini israeliani». Tutto ciò ha ridotto di parecchio il numero di letti disponibili tra gli istituti sanitari di Gaza. Pure, lo Shifah, il più grande ospedale della città, resta ben lontano dal registrare il tutto esaurito. Sembra fossero invece densamente occupati i suoi sotterranei. «Hamas vi aveva nascosto le celle d’emergenza e la stanza degli interrogatori per i prigionieri di Fatah e del fronte della sinistra laica che erano stato evacuati dalla prigione bombardata di Saraja», dicono i militanti del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. E’ stata una guerra nella guerra questa tra Fatah e Hamas. Le organizzazioni umanitarie locali, per lo più controllate dall’Olp, raccontano di «decine di esecuzioni, casi di tortura, rapimenti nelle ultime tre settimane» perpetrati da Hamas. Uno dei casi più noti è quello di Achmad Shakhura, 47 anni, abitante di Khan Yunis e fratello di Khaled, braccio destro di Mohammad Dahlan (ex capo dei servizi di sicurezza di Yasser Arafat oggi in esilio) che è stato rapito per ordine del capo della polizia segreta locale di Hamas, Abu Abdallah Al Kidra, quindi torturato, gli sarebbe stato strappato l’occhio sinistro, e infine sarebbe stato ucciso il 15 gennaio

Qualcosa di laico

La rivoluzione di un padre
• da La Repubblica del 23 gennaio 2009
di Roberto Saviano

Beppino Englaro, il papà di Eluana, sta dando forza e senso alle istituzioni italiane e alla possibilità che un cittadino del nostro Paese, nonostante tutto, possa ancora sperare nelle leggi e nella giustizia. Ciò credo debba essere evidente anche per chi non accetta di voler sospendere uno stato vegetativo permanente e ritiene che ogni forma di vita, anche la più inerte, debba essere tutelata. Mi sono chiesto perché Beppino Englaro, come qualcuno del resto gli aveva suggerito, non avesse ritenuto opportuno risolvere tutto "all'italiana". Molti negli ospedali sussurrano: "Perché farne una battaglia simbolica? La portava in Olanda e tutto si risolveva". Altri ancora consigliavano il solito metodo silenzioso, due carte da cento euro a un'infermiera esperta e tutto si risolveva subito e in silenzio. Come nel film "Le invasioni barbariche", dove un professore canadese ormai malato terminale e in preda a feroci dolori si raccoglie con amici e familiari in una casa su un lago e grazie al sostegno economico del figlio e a una brava infermiera pratica clandestinamente l'eutanasia. Mi chiedo perché e con quale spirito accetta tutto questo clamore. Perché non prende esempio da chi silenziosamente emigra alla ricerca della felicità, sempre che le proprie finanze glielo permettano. Alla ricerca di tecniche di fecondazione in Italia proibite o alla ricerca di una fine dignitosa. Con l'amara consapevolezza che oramai non si emigra dall'Italia solo per trovare lavoro, ma anche per nascere e per morire. Nella vicenda Englaro ritornano sotto veste nuova quelle formule lontane e polverose che ci ripetevano all'università durante le lezioni di filosofia. Il principio kantiano: "Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni divenga universale" si fa carne e sudore. E forse solo in questa circostanza riesci a spiegarti la storia di Socrate e capisci solo ora dopo averla ascoltata migliaia di volte perché ha bevuto la cicuta e non è scappato. Tutto questo ritorna attuale e risulta evidente che quel voler restare, quella via di fuga ignorata, anzi aborrita è molto più di una campagna a favore di una singola morte dignitosa, è una battaglia in difesa della vita di tutti. E per questo Beppino, nonostante il suo dramma privato, ha dovuto subire l'accusa di essere un padre che vuole togliere acqua e cibo alla propria figlia, contro coloro che dileggiano la Suprema Corte e contro chi minaccia sanzioni e ritorsioni per le Regioni che accettino di accogliere la sua causa, nel pieno rispetto di una sentenza della Corte di cassazione. L'unica risposta che ho trovato a questa domanda, la più plausibile, è che la lotta quotidiana di Beppino Englaro non sia solo per Eluana, sua figlia, ma anche e soprattutto in difesa del Diritto, perché è chiaro che la vita del Diritto è diritto alla vita. Beppino Englaro con la sua battaglia sta aprendo una nuova strada, sta dimostrando che in Italia si può e si deve restare utilizzando gli strumenti che la democrazia mette a disposizione. In Italia non esiste nulla di più rivoluzionario della certezza del Diritto. E mi viene in mente che tutelare la certezza dei diritti, la certezza dei crediti, costituirebbe la stangata definitiva all'economia criminale. Se fosse possibile, nella mia terra, rivolgersi a un tribunale per veder riconosciuto, in un tempo congruo, la fondatezza del proprio diritto, non si avvertirebbe certo il bisogno di ricorrere a soluzioni altre. Beppino questo sta dimostrando al Paese. Non sarebbe necessario ricorrere al potere di dissuasione delle organizzazioni criminali, che al Sud hanno il monopolio, illegale, nel fruttuoso business del recupero crediti. E a lui il merito di aver insegnato a questo Paese che è ancora possibile rivolgersi alle istituzioni e alla magistratura per vedere affermati i propri diritti in un momento di profonda e tangibile sfiducia. E nonostante tutte le traversie burocratiche, è lì a dimostrare che nel diritto deve esistere la possibilità di trovare una soluzione. Per una volta in Italia la coscienza e il diritto non emigrano. Per una volta non si va via per ottenere qualcosa, o soltanto per chiederla. Per una volta non si cerca altrove di essere ascoltati, qualsiasi cittadino italiano, comunque la pensi non può non considerare Beppino Englaro un uomo che sta restituendo al nostro Paese quella dignità che spesso noi stessi gli togliamo. Immagino che Beppino Englaro, guardando la sua Eluana, sappia che il dolore di sua figlia è il dolore di ogni singolo individuo che lotta per l'affermazione dei propri diritti. Se avesse agito in silenzio, trovando scorciatoie a lui sarebbe rimasto forse solo il suo dolore. Rivolgendosi al diritto, combattendo all'interno delle istituzioni e con le istituzioni, chiedendo che la sentenza della Suprema Corte sia rispettata, ha fatto sì, invece, che il dolore per una figlia in coma da 17 anni, smettesse di essere un dolore privato e diventasse anche il mio, il nostro, dolore. Ha fatto riscoprire una delle meraviglie dimenticate del principio democratico, l'empatia. Quando il dolore di uno è il dolore di tutti. E così il diritto di uno diviene il diritto di tutti.