Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

mercoledì 20 dicembre 2017

Metodo putiniano /Italia

L'accusa di Biden sulla propaganda russa in Italia non è una novità

L'ex vice presidente americano parla del sostegno di Mosca a Lega nord e M5s. Nient'altro che una conferma di quanto già affermato dalle testimonianze degli stessi grillini. Perché la minaccia del Cremlino non va sottovalutata, né sopravvalutata
Il Foglio - 8 Dicembre 2017
L'accusa di Biden sulla propaganda russa in Italia non è una novità
Secondo Joe Biden, ex vicepresidente degli Stati Uniti, la Russia ha agito per fare fallire il referendum costituzionale italiano del 4 dicembre dello scorso anno e starebbe ancora cercando di influenzare il nostro quadro politico attraverso Lega nord e Movimento cinque stelle. Biden lo dice in appena qualche riga di un lungo articolo pubblicato sulla rivista Foreign Affairs e firmato assieme a Michael Carpenter, che fu vicesegretario assistente alla Difesa tra il 2015 e il 2017.
“Bisogna saper perdere. E soprattutto bisogna rispettare il voto. Un anno fa l'allora governo americano e quello italiano puntarono sulla vittoria del Sì al referendum. Oggi Biden dice che è colpa della Russia, come dice che è colpa della Russia se Trump ha vinto e il suo partito ha perso. Biden si spinge oltre e dice che la Russia sta aiutando il Movimento 5 stelle. L'ex vicepresidente Usa non porta nessuna prova. Questo è inaccettabile”, hanno commentato i Cinque stelle via Facebook.
Eppure c’è una quantità di studi, documenti e testimonianze che vanno proprio nel senso indicato da Biden. In particolare c’è “Supernova”, il libro sui Cinque stelle scritto da due ex membri che erano arrivati nella stanza dei bottoni del M5s: Marco Canestrari, un web developer dal 2007 al 2010 braccio destro di Gianroberto Casaleggio, e Nicola Biondo, che ha diretto l'ufficio comunicazione M5s alla Camera. Sono loro a scrivere nero su bianco che “anche Alessandro Di Battista, ministro degli Esteri in pectore in un possibile governo dei Cinque stelle, ha il suo Russian Style. E mica lo nasconde. ‘Che ne dite di farci dare una mano per la campagna sul referendum costituzionale dall’ambasciatore russo? Con tutto quello che stiamo facendo per loro…’ A parlare così è proprio Di Battista. Parole pronunciate negli uffici del gruppo parlamentare tra ottobre e novembre 2016, quando ancora non erano uscite inchieste sulle affinità tra la propaganda pro-Putin e quella del M5s”.
Significativo è anche “The Kremlin’s Trojan Horses 2.0: Russian Influence in Greece, Italy, and Spain”, un rapporto dell’Atlantic Council che è stato presentato al Centro studi americani di Roma lo scorso 15 novembre. In questo documento si dice tra l’altro che “nell’ottobre 2016 alcuni media internazionali russi iniziarono a fare campagna per indebolire il voto per il Sì (pro-Renzi) al referendum del dicembre 2016 sulle riforme costituzionali”. In particolare, il 30 ottobre del 2016 “RT in inglese e i suoi siti web hanno presentato falsamente una immagine di una manifestazione per il Sì di migliaia di persone a Roma come una protesta anti-governativa in sostegno del No al referendum, e la fake news fu diffusa rapidamente da una quantità di siti web e account di social media pro-M5s”. Ci fu addirittura una protesta diplomatica ufficiale del governo italiano. Lo stesso rapporto ricorda che la delegazione dei Cinque stelle guidata da Vito Petrocelli andò a Mosca il 14 novembre 2016 e tenne una conferenza stampa in favore del No in un centro direttamente controllato dal Cremlino.
Tra i sette autori dello studio ci sono anche due italiani, l’analista della Stampa Jacopo Jacoboni e il professore Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di Scienze sociali e Studi strategici. Proprio Germani spiega al Foglio che quella protesta restò isolata perché “il governo italiano pur avendo da tempo evidenziato il problema a livello di intelligence, preferisce non prendere di petto la Russia”. Secondo Germani alle ultime elezioni tedesche l’influenza russa è stata minima perché il governo di Berlino “va oltre l’azione di intelligence: da una parte individuano i media che diffondono disinformazione e propaganda; dall’altra hanno avviato una precisa opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica”. Ma Germani avverte anche su un'altra questione sollevata dal voto tedesco: la minaccia russa, dice, “non va sottovalutata, ma neanche sopravvalutata. Presentare la Russia come onnipotente è proprio uno degli obiettivi che Putin cerca di perseguire”.

lunedì 18 dicembre 2017

Metodo Putin /come volevasi dimostrare


Biden: “Il Cremlino interferì in Italia sul referendum costituzionale”

La denuncia dell’ex vice presidente Usa: l’offensiva non è finita. Ora la Russia sta aiutando Lega e Cinque Stelle in vista delle elezioni
ANSA
I «no» al referendum costituzionale del 12 aprile 2016 hanno sfiorato il 60%
08/12/2017
paolo mastrolilli

http://www.lastampa.it/2017/12/08/italia/biden-il-cremlino-interfer-in-italia-sul-referendum-costituzionale-kga1zMpSJhKCS2yv3aMdMN/pagina.html

La Russia ha interferito con il referendum costituzionale italiano dell’anno scorso, e sta aiutando la Lega e il Movimento 5 Stelle in vista delle prossime elezioni parlamentari. La denuncia viene dall’ex vice presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in un articolo pubblicato sulla rivista «Foreign Affairs» insieme all’ex vice assistente segretario alla Difesa Michael Carpenter.
Il saggio si intitola «How to Stand Up to the Kremlin», ossia come fronteggiare il Cremlino, e il catenaccio chiarisce l’obiettivo: «Difendere la democrazia contro i suoi nemici». Durante l’amministrazione Obama, il vice presidente era molto coinvolto negli affari internazionali, e aveva ricevuto in particolare l’incarico di gestire la crisi ucraina. Visto quanto sta avvenendo negli Usa con l’inchiesta sulla collusione tra la campagna elettorale di Trump e Mosca, molti osservatori hanno interpretato questo articolo come la conferma che Biden sta ancora considerando la possibilità di candidarsi alla Casa Bianca nel 2020.
Il testo sostiene che Putin ha lanciato una campagna interna e internazionale per conservare il potere, basata su corruzione, ingerenza militare e politica. Secondo Biden la forza del capo del Cremlino è più apparenza che sostanza. L’economia russa dipende ormai esclusivamente dal petrolio e dal gas, e il calo dei prezzi l’ha profondamente danneggiata, al punto che la capitalizzazione sul mercato di Gazprom è scesa dai 368 miliardi del 2008 ai 52 di oggi. Il consenso politico è molto fragile, e per conservarlo Putin ha puntato su due cose: repressione dell’opposizione, e favoreggiamento della classe corrotta di oligarchi che lo aiutano a restare al potere. Ha creato una «democrazia Potemkin, in cui la forma democratica maschera il contenuto autoritario».
Questa strategia di sopravvivenza ha un importante aspetto internazionale, per almeno tre ragioni: difendersi dall’America, impedire ai Paesi vicini di passare nell’altro campo, e destabilizzare le democrazie occidentali. Biden scrive che gli Stati Uniti non hanno mai cercato di rovesciare Putin, ma lui si è convinto che hanno fomentato le rivolte in Serbia, Georgia, Ucraina, Kirgyzistan, mondo arabo, e le proteste scoppiate tra il 2011 e 2012 in varie città russe. Quindi considera Washington il suo nemico principale, e per difendersi ha orchestrato la campagna di disinformazione finalizzata a influenzare le presidenziali del 2016. Nello stesso tempo non può permettersi che i Paesi vicini, quelli nella sfera considerata di «interesse privilegiato russo», passino dalla parte occidentale, perché darebbero un esempio negativo agli stessi cittadini russi desiderosi di democrazia, libertà e sviluppo. Così si spiegano i vari interventi diretti, tipo Montenegro, Georgia, Ucraina, Moldova, dove ha usato i tentativi di colpo di stato o la forza militare.
 Oltre alla difesa della Russia e dei territori vicini, la strategia di Putin comprende anche l’attacco dell’Occidente, per destabilizzarlo dall’interno e renderlo meno capace di contrastare Mosca. In questo quadro si inseriscono le iniziative lanciate per interferire con le elezioni. In Francia l’offensiva è fallita, ma «la Russia non si è arresa, e ha compiuto passi simili per influenzare le campagne politiche in vari Paesi europei, inclusi i referendum in Olanda (sull’integrazione dell’Ucraina in Europa), Italia (sulle riforme istituzionali), e in Spagna (sulla secessione della Catalogna)». Quindi Biden denuncia gli aiuti del Cremlino alla destra estrema in Germania, e aggiunge: «Un simile sforzo russo è in corso per sostenere il movimento nazionalista della Lega Nord e quello populista dei Cinque Stelle in Italia, in vista delle prossime elezioni parlamentari». A questo proposito bisogna ricordare che l’ex vice presidente era alla Casa Bianca, quando nell’autunno del 2016 il dipartimento di Stato inviò una missione a Roma per informare l’ambasciata di Via Veneto sui sospetti di ingerenze del Cremlino, ed era con Obama quando poco dopo ricevette l’allora premier Renzi a Washington.
Biden cita l’Internet Research Agency di San Pietroburgo come uno degli strumenti usati per diffondere ovunque le fake news, e denuncia anche l’uso della corruzione. Ad esempio nel gennaio scorso le autorità di New York hanno accusato la Deutsche Bank di aver riciclato 10 miliardi di dollari dalla Russia, e pochi giorni fa il procuratore Mueller ha chiesto alla banca tedesca di fornire informazioni sui conti che hanno presso di lei Trump e i suoi familiari. L’ex manager della campagna presidenziale, Manafort, è stato incriminato proprio per riciclaggio.
Biden non discute i motivi che potrebbero aver spinto l’attuale capo della Casa Bianca a essere disponibile verso il Cremlino, ma avverte che se lui non difenderà gli Usa e l’interno Occidente da questa offensiva, il Congresso, i privati e gli alleati dovranno farlo al suo posto, per salvare la democrazia liberale

sabato 2 dicembre 2017

Fake Taxi

Non è Uber il problema. Ricognizione sulle fake news dei taxi in sciopero

Gli esempi europei per trovare una soluzione e la necessaria modernizzazione che deve intraprendere il settore. L'esempio mytaxi
Il Foglio - 21 Novembre 2017

Taxi fermi e tassisti davanti a Porta Pia, lì dove i bersaglieri, dopo cinque ore di cannonate dell'artiglieria del Regno d'Italia, fecero una breccia nelle mura aureliane ed entrarono a Roma. La stessa "breccia" che Uber ha aperto nell'immobilismo di un settore fermo ancora a decenni fa. E allora sciopero, quindi o si guida o si prendono i mezzi pubblici. Ci fossero bike sharing nella Capitale, si potrebbe anche pensare di pedalare, ma non ci sono. Taxi fermi, perché "lo stato ci deve tutelare, deve escludere Uber dall'Italia, ci stanno rovinando". E poi, "non si può andare avanti così, c'è chi ha la licenza e chi si inventa diavolerie tecnologiche per non averla". E ancora, "ma quale regolamentazione, Uber deve essere illegale come del resto è in tutta Europa". E infine, "l'Europa ha bandito Uber, ora lo faccia anche l'Italia". Interviste andate in onda nelle tv, dichiarazioni scandite a favor di telecamera, acredine e risentimento, qualche volta magari giustificato da straordinari quotidiani "pe' tirà a campà". Ma è davvero così tragica la situazione? Uber è davvero la sanguisuga di un'intero settore? 
No. O almeno ci sono delle grosse inesattezze nelle versione dei tassisti in piazza a Roma.
La prima, e più grossa, è che Uber non è illegale in tutta Europa, anzi in quasi tutta Europa opera e lo fa a tal punto che molti paesi stanno cercando di trovare soluzioni per adeguare le normative alle nuove esigenze del mercato. E così le auto della società che offre servizio di trasporto automobilistico privato tramite app percorrono liberamente le strade della quasi totalità degli stati del Vecchio continente ad eccezione di Danimarca, Bulgaria, Ungheria. Stati nei quali non è stata messa al bando, ma ha deciso di andarsene per le regolamentazioni non favorevoli introdotte. Paesi che sono antitesi di quanto accaduto in Estonia e Finlandia. Lì il governo ha approvato una legge che permettesse a taxi e disruptor di convivere. A Tallinn e dintorni le nuove regole mettono autisti privati e tassisti ​​su uno stesso piano giuridico con comuni processi di controllo di licenze e di qualità del servizio. Allo stesso modo si è comportato l'esecutivo finlandese, che ha deregolamentato il mercato, eliminando le tariffe bloccate e il limite territoriale di licenza, creando una autority statale che controlla l'effettiva libera concorrenza, per evitare la formazione di accordi che vadano a discapito dei consumatori.
C'è inoltre chi sta affrontando il problema, superando inutili barricate tra categorie di lavoratori per garantire ai cittadini il miglior servizio possibile. 
In Croazia ad esempio è in discussione una nuova legge che liberalizza il settore dei taxi, abolendo la limitazione del numero di licenze e i regolamenti delle autonomie locali che definiscono le tariffe. Insomma apertura al libero mercato anche nel settore del trasporto privato di persone. Anche in Portogallo il governo sta discutendo una legge per la regolamentazione di quei servizi legati alla sharing economy dei trasporti. Il tentativo è quello di colmare la lacuna legislativa in materia, agevolando l'ingresso di altri soggetti privati nel mercato del settore del trasporto automobilistico.
Uber e soci insomma non sono mostri cattivi da combattere, rappresentano un'evoluzione tecnologica, almeno per fruizione, al tradizionale trasporto automobilistico privato, con la quale prima o poi il settore taxi dovrà abituarsi a convivere. Il sistema sinora utilizzato, ossia chiamo il centralino oppure esco in strada e vado alla piazzola di sosta più vicina, sinora ha retto, anche se con qualche crepa e molti problemi, ma ora, con l'utilizzo di massa degli smartphone e di app che permettono di superare i vecchi limiti di gestione del trasporto, è entrato in crisi e continuerà a essere sempre più inadeguato ai cambiamenti di abitudini dei consumatori.
Perché chiamare un centralino quando posso prenotare una corsa con un clic? Perché andare in una piazzola di sosta senza sapere se troverò un'auto? Perché salire su un mezzo senza sapere quanto mi costerà la corsa se posso avere un preventivo inserendo indirizzo di partenza e arrivo?
Uber e soci rappresentano una risposta a un'esigenza e scendere in piazza per chiedere che questa risposta sia eliminata per mantenere lo status quo non solo è sbagliata, ma è antievolutiva. L'unica via di fuga per i taxi per non essere sopraffatti dal mercato è adeguarsi al mercato, modernizzando il servizio.
Tremila tassisti tra Roma, Milano e Torino hanno già capito che non è facendo barricate, ma sfruttando le risorse che la tecnologia può offrire, che potranno sopravvivere ai cambiamenti. Mytaxi è una applicazione nata nel 2009 in Germania per superare l'esigenza di avere un numero dedicato in ogni città. Garantisce un servizio tramite smartphone che permette ai consumatori di prenotare con facilità una corsa anche all'estero, nei paesi nei quali il servizio è attivo.
Taxi con normale licenza che garantiscono corse gestite da un applicazione del tutto simile a quello che offre Uber.
"Quello che piace agli utenti è prima di tutto che possono pagare anche con la carta di credito", dice al Foglio Barbara Covili, general manager di mytaxi italia, "ma non è il solo vantaggio. La seconda attrattiva è quella dell'assoluta trasparenza del servizio: si può vedere tutto, il nome del tassista, la targa della macchina, il percorso fatto per raggiungere il cliente e il percorso fatto per raggiungere la meta. E questo, oltre al fatto dell'invio automatico della fattura via mail ha permesso di riavvicinare gli utenti alla categoria dei tassisiti". Un adeguamento ai tempi che cambiano, un modo soprattutto per evitare spiacevoli inconvenienti, quelli che per il  58,2 per cento degli intervistati in un sondaggio del 2016 dell'Istituto Piepoli, rappresentano un grosso deterrente all'utilizzo dei taxi.
Un sistema, quello di mytaxi, che ha indubbi meriti, che è in espansione – da nemmeno due mesi è attivo a Torino – ma che ancora si scontra con una certa immobilità del sistema. Ma che difficilmente potrà diventare maggioritario se continueranno a esserci le limitazioni odierne. "Il problema", sostiene Covilli, "rimane quello della clausula di esclusiva che le cooperative di tassisti in Italia chiedono agli autisti, che impedisce ai tassisti di avere a bordo dell'autovettura più sistemi".
Risulta sempre più necessaria una riforma che modernizzi il settore. Anche perché in gioco c'è la sussistenza dello stesso. E non a causa di Uber. Gli autisti della società nata nella Silicon Valley infatti sono una sparuta minoranza – appena un migliaio – rispetto al numero di licenze in Italia, che, almeno secondo l'ultima ricerca organica realizzata in Italia da Chiara Bentivogli per la Banca d’Italia nel 2008, sarebbero 20.000 in tutto il territorio nazionale. Inoltre Uber è attivo solo in due città, Roma e Milano, un po' troppo poco per considerarlo un reale problema.
Le proteste dovrebbero essere indirizzate verso le cooperative che hanno tenuto bloccato un settore che ha bisogno di un ammodernamento, che ha bisogno di competizione, non di ulteriori chiusure. Gli esempi virtuosi in Europa (e anche in Italia) ci sono, ora serve la volontà di prendere spunto e superare l'impasse.