Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

martedì 25 novembre 2008

Webbavagliati ?

Rieccoli, ci risiamo: stanno tornando alla carica per imbavagliare la libertà di espressione sul web in Italia.
Nel paese delle corporazioni, dell'ordine dei giornalisti (il più incostituzionale e liberticida degli ordini professionali) e della censura, non sono tollerabili la libertà, la spinta all'innovazione e la tendenziale "non-imbrigliabilità" che contraddistinguono la più grande invenzione del XX secolo dopo la radio e l'aria condizionata, ovvero la Rete e il world wide web.
E quindi, nel segno della più tipica trasversalità liberticida, si riprova a introdurre (ulteriori) norme che da un lato impedirebbero quasi tutte le forme di manifestazione di qualunque pensiero minimamente compiuto online (blog, siti di news e commenti) senza una qualche patacca targata e certificata (che la si chiami "ordine", "albo", "registro", obbligo di iscrizione di un "direttore responsabile" etc... ulteriore mano di sepoltura all'art. 21 della Cost.), e dall'altro si approfitta dell'occasione per magari vedere di racimolare qualche altra briciola pubblicitaria (quelle della pubblicità online) e qualche ulteriore contributo a favore dei soggetti "informativi" tradizionali (giornali, tv e loro propaggini online), tutti corporativamente arroccati e blindati nel regime. Un ulteriore e importante tassello per avvicinare questo paese sempre più a Iran, Libia, magari Cina (la più efficiente delle censure online) o, perché no?, Russia... Il modello Putin avanza.
Per approfondire questa notizia:
per approfondire l'intera questione:
e infine, per un utile excursus storico sui vari tentativi (riusciti e non) di imbavagliare sul territorio italiano la rete e i nuovi media, a partire dalla l. 62/2001:

lunedì 24 novembre 2008

Cupole

Si è riunita la Camera dei fasci e delle corporazioni.
In quale paese minimamente democratico, invece che fascista o corporativista, è ritenuto tollerabile e addirittura normale che il governo discuta (e decida) le questioni economiche non in parlamento ma riunendosi nei c.d. "tavoli" (meglio sarebbe dire "cupole", peraltro affollatissime) con le c.d. "parti sociali"? E' in tal modo che si espropriano di decisioni fondamentali gli organi democratico-rappresentativi eletti da tutti, a favore di abusive sedi concertative con le corporazioni. A tutti i livelli.

Consumi di Stato

Voi magari pensavate che la produzione di beni e servizi dovesse essere in funzione dei cittadini-consumatori e della loro soddisfazione. Ebbene no, è il contrario: è il consumatore che deve mettersi al servizio del sistema produttivo, secondo l'idea berlusconiana... E intanto si monta una campagna martellante per aiuti di stato a raffica e addirittura per spingere i partners europei nella stessa direzione, garantendosi in tal modo la reciproca sanatoria. Ma - come avverte M. Monti - una tale prospettiva finirebbe col distruggere o col minare irrimediabilmente il mercato unico europeo, con danni immensi per i cittadini consumatori europei e per le possibilità di spinta verso l'innovazione dei nostri sistemi imprenditoriali e produttivi.

martedì 11 novembre 2008

(Alitalia) - Il delitto perfetto

La scelta (premeditata e studiata a tavolino, a partire dal baratto col governo francese per cedere in cambio il ben più prestigioso portafoglio di Commissario alla Giustizia) di piazzare Tajani quale commissario UE ai trasporti sembra proprio che abbia pagato.
A breve sarà ufficializzata la decisione con cui la Commissione – nel dichiarare illegittimo (e ci mancherebbe altro!) il prestito-regalo-ponte (l’ennesimo) erogato nell’estate 2008 dallo stato italiano ad Alitalia – “condanna” la compagnia alla restituzione del maltolto. Ma – si badi bene – non la nuova compagnia (c.d. C.a.i.), erede per tutto quello che fa comodo della precedente, ma quella vecchia rimasta totalmente sul groppone dei contribuenti, ovvero la c.d. bad company: cioè sarà quest’ultima a dover restituire il prestito, ovvero – come per tutto il resto dei debiti Alitalia in essa convogliati – a dover pagare saranno (ancora e mai in maniera definitiva) la collettività e i cittadini contribuenti (oltre che consumatori) italiani.
In pratica, con questa decisione, si dà copertura e sanatoria – sotto l’apparente riconoscimento di principio delle ineccepibili ragioni contrarie alla sua concessione – all’ennesimo aiuto di stato dato all’Alitalia-ora-Cai. Un delitto perfetto, appunto.
E intanto le corporazioni di piloti e assistenti, aizzati dai loro indecenti sindacati corporativi, scatenano impunemente scioperi selvaggi in rivendicazione della totalità dei loro privilegi.
Ovvero, come prima più di prima. E impunemente daccapo.
Lo sciopero a tradimento è una prepotenza grave: immagino - anzi, so - i disagi che sono stati provocati ai viaggiatori (coincidenze internazionali saltate, viaggi annullati, programmi rovinati, affari perduti). Perché una compagnia salvata sull'orlo del fallimento - anzi già fallita, usando qualsiasi standard internazionale - si comporta così? La risposta è in una massina latina: «Gli dèi fanno impazzire coloro che vogliono distruggere». Ma possiamo anche essere più precisi. Lo sciopero è proclamato da una minoranza, secondo cui il nuovo contratto è peggiore di quello esistente. Probabilmente è vero: ma l'alternativa, dopo aver fatto saltare l'accordo con Air France (roba da matti), è la chiusura. L'intera faccenda è ormai un indegno papocchio. Non c'è NESSUNO - governo, Cai, AirOne, le banche, il personale di terra e di volo - che ce la conti giusta. Per non parlare della politica, che da 15 anni sta banchettando sulla carcassa della compagnia di bandiera. Chiedere ai partiti di salvare Alitalia è come chiedere a Jack lo Squartatore se ha un cerotto (Corriere.it, commenti,12/11/2008)
  • post precedente:

http://boicotto.blogspot.com/2008/10/malitalia-3.html

Per una lettura liberale e non tremontiana della Crisi

E' uscito il nuovo e apprezzabile saggio del duo F.Giavazzi - A. Alesina, dedicato appunto a una lettura della crisi economica attuale diversa e non conformista. Uno spiraglio di lucidità in un clima di dominante tremontismo protezionista. Ideale ripresa di alcuni temi già affrontati ne "Il liberismo è di sinistra". Tanto per chi si fosse voluto dimenticare che il protezionismo - come la storia dimostra immancabilmente - serve sempre a proteggere i forti da e contro i deboli, oltre che a generare illibertà, conflitti e guerre.
Alcuni passaggi di un interessante articolo di A. Panebianco sul Corriere del 22/11/2008 mi pare che ben sintetizzino questi concetti:
Conviene ricordare a chi irride il «liberismo» qualche insegnamento della storia. Anche dopo il '29 il primato della politica venne riaffermato con forza (il New Deal, il socialismo scandinavo, l'Iri, i piani quinquennali sovietici, il riarmo hitleriano) in variante democratica o totalitaria. E anche allora l'intellighenzia occidentale si buttò con entusiasmo ad inseguire i miti del momento, sostenendo che il «liberalismo» (giudicato un residuo ottocentesco) era finalmente al tramonto, che stava per nascere la luminosa era della «pianificazione». Sappiamo come finì. Il primato della politica sfociò nel protezionismo selvaggio e tutto si concluse (dieci anni dopo l'inizio della grande crisi) con una guerra mondiale. Il rapporto fra la politica e il mercato è uno degli aspetti più complessi (e oscuri, difficili da mettere a fuoco) delle società contemporanee […].
A me pare che in questo atteggiamento si annidino due errori. In primo luogo, l'errore di non riconoscere che l'onnipotenza della politica è solo un mito. Un mito lugubre, per di più. Con quanto più accanimento è stato perseguito tante più catastrofi si sono prodotte. Il grande lascito culturale (che oggi la crisi va disperdendo) delle rivoluzioni liberali di trenta anni fa — a loro volta, ispirate al liberalismo classico, sette-ottocentesco — stava nel rifiuto dell'onnipotenza della politica, nel riconoscimento che solo lasciando massima libertà agli individui e alla creatività individuale si fa il bene di una società, che compito del governo non è darci la «felicità» ma lasciarci liberi di cercare la nostra personale strada alla felicità. Il secondo errore consiste nel non vedere i costi del primato della politica, non saper contrapporre ai vantaggi di breve termine i costi dì medio-lungo termine. Nel breve termine la politica è sicuramente in grado di assicurare vantaggi. Per esempio, in una situazione di crisi, salvando il credito, tamponando gli effetti della disoccupazione, eccetera. Ma il punto è che ciò che la politica ci dà con una mano oggi se lo riprenderà domani con gli interessi (in termini di controllo sulle nostre vite).
Certamente, dobbiamo oggi affidarci a decisioni politiche per fronteggiare la crisi. E dobbiamo purtroppo accettare una più forte presenza dello Stato. Ma se non lo facciamo a malincuore, se ci mettiamo dentro un immotivato entusiasmo, se non ci rendiamo conto che si può accettare un temporaneo ampliamento del ruolo dello Stato in condizioni di emergenza solo pretendendo che lo Stato si impegni a ritirare di nuovo i suoi tentacoli quando l'emergenza sarà finita, contribuiamo a preparare un futuro persino peggiore del presente. È una questione di atteggiamenti culturali. In America esistono potenti anticorpi che impediranno degenerazioni permanenti del tipo «socialismo di Stato». In Europa continentale gli anticorpi sono più deboli (in Italia, poi, sono debolissimi). Il rischio, qui da noi, non è il «ritorno dello Stato» della cui invadenza, in realtà, nonostante tanti sforzi, non ci siamo mai liberati. Il rischio è che quell'invadenza torni a godere di piena legittimazione culturale. Il rischio è dimenticare che quanto più la politica si impiccia, quanto più pretende di dispensarci la felicità, tanto più si riduce, col tempo, la libertà di ciascuno di noi.

Veti talebani

Vaticano sempre più talebano. E’ iniziato subito il forsennato fuoco di sbarramento clericale per tentare di imporre le loro condizioni e i loro paletti etico-politici a chi è stato democraticamente eletto su precise posizioni politiche. Ma la democrazia non è cosa che piace né può interessare alle gerarchie clericali. E’ il loro “modello Iran” (non praticato compiutamente e fino in fondo solo perché non più del tutto consentito).
Un fuoco di sbarramento fatto di pressioni e ingerenze temporalistiche in difesa del loro oscuro mondo di proibizioni e di diffidenza nei confronti della scienza, della libertà e della democrazia, che si pretende di condizionare e di sottomettere tutte alla fede (ritenendo magari tutto questo garanzia del loro potere mondano e temporale). Ma per fortuna l’America non è l’Italia.
C’è quindi solo da sperare che almeno gli Stati Uniti tengano duro e che Obama e i suoi (come già Zapatero) non cedano. Ne va delle sorti laiche e civili dell’Occidente democratico.
Il Nuovo potere temporale - S. Rodotà
Di fronte ai segni di un possibile rafforzarsi delle politiche dei diritti la Chiesa interviene con durezza e con un tempismo preoccupante. I giudici della Corte di cassazione sono in camera di consiglio per discutere il ricorso del Procuratore generale di Milano contro il provvedimento che ha autorizzato l’interruzione dei trattamenti per Eluana Englaro. Nello stesso momento il cardinale Barragan, presidente del Pontificio consiglio per la salute, afferma che saremmo di fronte a "una mostruosità disumana e un assassinio". Lo stesso cardinale ha "espresso preoccupazione" per l’annuncio secondo il quale il nuovo Presidente degli Stati Uniti si accinge a revocare il divieto, imposto da Bush, di finanziamenti federali alle ricerche sulle cellule staminali embrionali, sostenendo che "non servono a nulla".
Colpisce, in questi interventi, una aggressività di linguaggio che nega ogni legittimità alle posizioni altrui, presentate in modo caricaturale e criticate con toni sprezzanti e truculenti. Questo atteggiamento, nel caso della Corte di cassazione, si traduce in una assoluta mancanza di rispetto per le istituzioni della Repubblica italiana da parte di un "ministro" di uno Stato estero. Si interviene proprio nel momento in cui la più alta magistratura sta decidendo su una questione della più grande rilevanza umana e sociale, sì che massimi dovrebbero essere il silenzio e il rispetto. Che cosa sarebbe successo se, in una situazione analoga, un qualsiasi governo straniero avesse definito "assassino" un giudice italiano per una sua possibile decisione?
Conosciamo la risposta. La Chiesa agisce nell’esercizio della sua potestà spirituale, dunque ad essa non sono applicabili categorie che riguardano la sfera della politica. Ma, per il modo in cui ormai ordinariamente agisce, la Chiesa si è costituita proprio in soggetto politico, pratica un nuovo "temporalismo", pretende un potere di governo sociale che cancella il principio che vuole lo Stato e la Chiesa, "ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani" (articolo 7 della Costituzione). Due parti autonome e distinte, dunque. E questo, lo espresse con parole chiare e misurate Giuseppe Dossetti all’Assemblea costituente, vuol dire che "nessuna di esse delega o attribuisce poteri all’altra o può, per contro, in qualsiasi modo, divenire strumento dell’altra". Nel mentre esercita il suo potere di fare giustizia, lo Stato italiano ha diritto di pretendere che siano rispettate la sua indipendenza e la sua sovranità perché, in un caso come questo, così vuole la sua Costituzione. Siamo, dunque, di fronte ad una violazione grave che, in governanti forniti di un minimo senso dello Stato, avrebbe dovuto determinare una immediata e ferma risposta.
Se, guardando al di là di questo fondamentale aspetto di politica costituzionale, si considerano le argomentazioni adoperate, lo sconcerto, se possibile, cresce. Nulla del dibattito scientifico sull’idratazione e l’alimentazione forzata è degnato di una pur minima attenzione dalla posizione vaticana. Si tace colpevolmente dei risultati di una commissione istituita da Umberto Veronesi quand’era ministro; delle pazienti spiegazioni mille volte date da Ignazio Marino, mostrando come non corrisponda alla realtà clinica la rappresentazione di una "terribile morte per fame e per sete"; delle opinioni espresse, in tutto il mondo, da autorevoli studiosi. Vi è solo una invettiva, nella quale è vano scorgere le ragioni della fede e, dove, invece, compare un sommo disprezzo per l’intelligenza delle persone, evidentemente considerate del tutto ignoranti, incapaci di trovare le informazioni corrette in materie così importanti.
Non diversa è la linea argomentativa (si fa per dire) della critica a Obama, per l’annunciata volontà di consentire il finanziamento delle ricerche sulle cellule staminali embrionali confondi federali. Cito solo una frase pronunciata ieri dal cardinale Barragan. "Gli scienziati lo dicono chiaramente: fino adesso le cellule staminali embrionali non servono a nulla e finora non c’è mai stata una guarigione". Ma la ricerca scientifica serve appunto a far avanzare le conoscenze, a scoprire opportunità fino a ieri sconosciute, a far diventare utile quel che ieri non lo era, a lavorare perché siano possibili guarigioni oggi fuori della nostra portata. Proprio per questo gli scienziati fanno esattamente l’opposto di quel che ci comunica il cardinale. Ricercano intensamente, esplorano nuove strade, ricevono finanziamenti dall’Unione europea ed è bene che li ricevano anche dall’amministrazione americana, perché la ricerca finanziata da fondi pubblici è più libera, sottratta ai possibili condizionamenti del finanziamento privato (chi vuole informarsi ricorra al recentissimo libro di Armando Massarenti, Staminalia, Guanda, Parma 2008).
Scrivo queste righe con gran pena. Conosco e pratico un mondo cattolico diverso, anche nelle sue gerarchie, aperto al mondo e ai suoi drammi, che accompagna con intelligenza e cristiana pietà. E’ questo il mondo che può darci il necessario dialogo, negato ieri da una cieca e inaccettabile chiusura. (S. Rodotà, La Repubblica, 11/11/2008)

venerdì 7 novembre 2008

Yes, They Can (e noi quando mai...)

Ulteriore prova storica della grandezza democratica di quello straordinario paese che sono gli Stati Uniti d'America.
La vittoria di Barack Obama è anzitutto una vittoria del metodo democratico. Con tante lezioni da imparare sul processo di selezione della classe dirigente e sul ruolo di internet nel moltiplicare il potere delle idee, oltre che sul significato di una società aperta e dinamica e dei diritti di cittadinanza. "Una storia come la mia è possibile solo in un paese come gli Stati Uniti d'America", ha dichiarato Barack Obama dopo l'elezione.
Tutto il contrario di un paese come il nostro. Dove una cosa del genere non sarebbe nemmeno lontanamente ipotizzabile. Dove un Obama non avrebbe probabilmente nemmeno la cittadinanza nè diritto di voto, e dove il nostro straordinario capo del governo pare proprio non riuscire a farsi scappare un'occasione per sputtanarci dinanzi al mondo civile.

sabato 1 novembre 2008

Sindacalisti

Ribadiamolo (e mai abbastanza).
L'Italia è il paese con i sindacati più forti nel mondo occidentale e i salari tra i più bassi (se non addirittura i più bassi).
Ebbene, non è ora di chiedersi se per caso non ci sia un legame tra questi due fatti ?
Come viene usata questa forza? E in cambio di che cosa e a spese di chi viene guadagnata e conservata?
La risposta è evidente: i loro privilegi in cambio del bene comune, i cazzi loro in cambio di quelli di tutti.
Un ulteriore elemento di approfondimento arriva ancora una volta dalla trasmissione Report, puntata del 26/10/2008. Vale la pena riportare un breve passaggio della parte conclusiva della trasmissione di M. Gabanelli: “Con 700.000 rappresentanti sindacali, abbiamo lo stipendio più basso d’Europa, e va detto che in alcuni settori anche la produttività è bassa. La percezione diffusa è che sia lontano dal mondo del lavoro […]. Non è un caso se il maggior numero di iscritti è proprio tra i pensionati […]”.
Illuminante.

IL SINDACALISTA (Report, 26 ottobre 2008)
I sindacati si autocertificano gli iscritti, la UGL ne dichiara 2.145.995, scavalcando così la UIL che ne dichiara 2.060.000. Ma chi controlla se effettivamente questi numeri sono veri, visto che soprattutto in base agli iscritti, un sindacato ha più o meno peso nelle trattative?
Qui il testo integrale

venerdì 31 ottobre 2008

Opposte patacche

Questo pare proprio condannato ad essere un Paese di fascisti e comunisti, oltre che naturalmente di preti e di clericali, praticamente un ricettacolo di tutto il peggio che la storia politica degli ultimi secoli ha prodotto.

giovedì 30 ottobre 2008

Ostili a chi?

I nemici del mercato che ci governano non si lasciano sfuggire un'occasione per consolidare per legge i cazzi loro e delle varie oligarchie italiche contro ogni forma di concorrenza. Adesso vogliono proibire le possibili scalate (c.d. "scalate ostili") alle imprese parassitario-familistiche italiane, cioè alle imprese loro e dei loro amici (gestite per eredità oligarchico-feudale spesso a spese di contribuenti e consumatori) che, dunque, potranno essere cedute a - o acquisite da - solo chi sarà loro gradito, in barba alle regole di mercato e della borsa (e questo con il fiancheggiamento e addirittura la promozione da parte del presidente della Consob). In pratica impedire (per legge) le "scalate ostili" semplicemente vuol dire impedire le scalate tout-court.
Lo spiega (e lo denuncia) molto bene T. Boeri in questo articolo.
Le recessioni sono periodi duri, difficili, soprattutto per un paese come il nostro che proviene da 15 anni di stagnazione, con i redditi delle famiglie italiane rimasti al palo per così tanto tempo. Ma non sempre tutti i mali vengono per nuocere. Durante le recessioni, infatti, si assiste ad una forte accelerazione dei processi di riorganizzazione e rinnovamento della struttura produttiva. Risorse male utilizzate si spostano verso impieghi più produttivi, nascono molte nuove imprese che prendono il posto di imprese che hanno ormai esaurito la loro spinta propulsiva, contribuendo a creare le condizioni per una forte crescita domani. Questa riorganizzazione è fondamentale per ridurre i ritardi strutturali del nostro paese, quelli alla base della stagnazione degli ultimi 15 anni. Abbiamo bisogno di cambiare radicalmente la nostra specializzazione produttiva per poter crescere almeno quanto gli altri paesi europei, rispetto ai quali continuiamo a perdere inesorabilmente terreno. Abbiamo bisogno di nuovi grandi imprenditori con idee nuove e non necessariamente solo un noto pedigree. Abbiamo bisogno di cambiare il management che in molte imprese famigliari ha una funzione di esecutore, quasi testamentario, delle volontà della famiglia proprietaria piuttosto che di chi deve valorizzare l' impresa. Guai a porre freni allora ai processi di riorganizzazione che avvengono durante le recessioni. Sarebbe come condannarsi ad avere oltre ai danni (di una diminuzione del reddito complessivo di un paese) anche la beffa di non aver approfittato della recessione per rinnovarsi. In questa particolare recessione c' è poi un' altra ragione fondamentale per cercare in tutti i modi di favorire (e certamente non ostruire) gli afflussi di nuovi capitali e investitori verso il nostro sistema produttivo. Il rallentamento della nostra economia è avvenuto sin qui per ragioni largamente indipendenti dalla tempesta in atto sui mercati finanziari. Ma la crisi finanziaria globale rischia sempre di più di metterci del suo nel rendere più acuta e più lunga questa recessione [...].
In questa settimana direttamente o per interposta persona (solo così si spiega la sorprendente avversione all' Opa, la vera e propria cardiopatia del Presidente della Consob, Lamberto Cardia) ha proposto di adottare misure per proteggere le imprese quotate da acquisizioni «ostili». «Molte aziende italiane - ha affermato - hanno oggi una quotazione che non corrisponde assolutamente al loro giusto valore. Quindi credo che sono delle ottime occasioni per chi, disponendo di capitali e penso a certi fondi sovrani, volesse proporre delle Opa ostili». Di qui la proposta di sospendere la cosiddetta passivity rule, quella norma che impedisce al management di società scalate di ostacolare l' acquisto della compagnia per difendere la propria poltrona. Lo possono fare solo su preciso mandato dell' assemblea degli azionisti. Strano che nessun giornalista, presente in quella occasione, abbia posto al nostro premier una semplice domanda: ostili a chi, signor presidente del Consiglio? Quelle che lei vuole evitare sono offerte pubbliche d' acquisto ostili all' Italia o all' attuale management delle imprese? Sono ostili alla nostra economia o alle grandi famiglie che fanno oggi il capitalismo italiano? Sono ostili ai piccoli azionisti che troppe volte sono stati trattati a pesci in faccia da queste grandi famiglie o alle scatole cinesi che hanno ingessato la governance delle nostre imprese? Il dubbio è legittimo. Nei giorni scorsi ci ha invitato tutti a tenere le azioni di società italiane per almeno due anni. Oggi ci chiede di stare attenti a chi le compra queste azioni e non vuole che aumentino di valore in seguito ad offerte pubbliche di acquisto. Vuol dire dunque condannarci a vedere diminuire ulteriormente il prezzo di queste azioni. Ci perdoni dunque l' insistenza: ostili a chi, signor presidente?
(T. Boeri, "la politica e le scalate", La Repubblica - 17 ottobre 2008)

martedì 14 ottobre 2008

MAlitalia -3

Questi i post precedenti: (-0) -1 -2

Proviamo a tirare le somme di quanto ci costa - fino ad ora e per ora - tutta l'operazione.
-Quanto ci è costata finora negli anni l'Alitalia;
-Quanto ci costa questa operazione (ennesima) di salvataggio corporativo;
-Quanto ci costerà in futuro (la CAI o come si chiama).
Intanto, basti dire che si stima ad oggi in 4-5 miliardi di euro (circa 8-9.000 miliardi di "vecchie lire", per intenderci, quasi una media manovra finanziaria...) il debito consolidato di Alitalia, debito che ricadrà interamente sul groppone dei contribuenti italiani, e solo per consentire alla "nuova" Alitalia-Cai di - sostanzialmente - ricominciare daccapo...
Un quadro abbastanza completo e, come al solito, pieno di dati interessanti lo ha offerto la trasmissione Report del 12/10/2008. Sempre utile la lettura del testo integrale.

L'INTESA (Report, 12 ottobre 2008)

Il 1° dicembre 2006 il governo Prodi, in carica da maggio, decide la cessione del controllo di Alitalia. L'azienda è in vendita ai privati e chi vuole deve comprarsi dal 30% al 49% di Alitalia. Il titolo vola in borsa e circolano i primi nomi. AF/Klm, già candidata ad un'alleanza, sta meditando. Potrebbe arrivare Lufthansa e spunta anche l'ipotesi di una cordata italiana. Cominciano le trattative e si arriva all'esclusiva con Air France. Jean Cyrill Spinetta tratta con l'azienda e coi sindacati. Intanto cade il governo Prodi e, in campagna elettorale, Silvio Berlusconi dice che quella ad Air France è una svendita e propone una cordata italiana. Il 2 aprile Spinetta abbandona il tavolo di trattativa con i sindacati.Dice che le condizioni poste sono inaccattabili. Silvio Berlusconi vince le elezioni e diventa Presidente del Consiglio. Il nuovo governo incarica Banca Intesa di fare un piano, e vengono varati alcuni decreti in deroga alle norme vigenti. A Luglio nasce il "Progetto Fenice", ovvero la nuova partnership con Air One. A fine agosto Alitalia è commissariata. La nuova cordata si chiama Cai. Si salva Alitalia, ma soprattutto Air One. Chi sono i soci, gli amministratori, i valutatori. Cronologia dei fatti dal prestito ponte fino ad oggi, per capire se per l'interesse nazionale era l'unico affare possibile. Qui il testo integrale.

Aggiornamento del 30/11/2008: L'INTESA - come è andata a finire?

Report torna ad occuparsi della vicenda Alitalia. Il passaggio dalla vecchia compagnia di bandiera a quella nuova sta avvenendo nel caos: disagi a non finire per i viaggiatori, centinaia di voli cancellati, l'aeroporto di Fiumicino semideserto. Di chi sono le responsabilità? Qui il testo integrale

venerdì 26 settembre 2008

MAlitalia -2

Dunque torna in gioco Airfrance. Con una fondamentale differenza però: che con il piano precedente i debiti di Alitalia se li sarebbe pagati Airfrance medesima, mentre adesso li pagheremo noi in nome dell'italianità prevalente della compagnia e del margine di profitto monopolistico da garantire alla cordata amica. Pronti a ricominciare daccapo come prima.
Un disastro di cui sono ben chiari i nomi dei responsabili: Silvio Berlusconi, i suoi soliti complici sindacali (Bonanni in testa) e la corporazione dei piloti nelle sue diverse articolazioni di potere. Anche Prodi ha avuto delle colpe, che consistono essenzialmente nell'incertezza con cui ha assecondato la demagogia montante del Cav, senza trovare il coraggio di opporvisi e di denunciarla in campagna elettorale e di spingere con più forza per chiudere in fretta la vendita ad Airfrance.
Come affermava Capezzone prima della sua riconversione in "compagno di bandiera" forzaitalica, e proprio in risposta agli inverecondi attacchi di Berlusconi e dei leghisti alle c.d. "compagnie low cost" in difesa dei privilegi alitalici,
"quello dell'italianità è un dibattito ingannevole: a me l'unica italianità che interessa è il portafogli italiano del viaggiatore italiano... le tariffe attuali sono un furto, anche perché ormai si viaggia in tutta Europa con 6 euro... prendiamo come bussola gli interessi dei viaggiatori e non correremo rischi... quello che fa la compagnia irlandese [Ryanair, nota mia] e che fanno tutti gli attori capaci di offrire più scelta e qualità a minor prezzo è da considerare come una benedizione... tutto quello che inchioda i viaggiatori e li riduce a prigionieri di tariffe che si aggirano sopra i duecento euro per una tratta come Roma-Milano al massimo può essere considerato una maledizione".
In sintesi. Il mito, anzi la bufala corporativa e protezionistica dell'"italianità" non vuol dire altro se non che i debiti di queste imprese fallimentari (Alitalia è solo quella del momento) dovranno ripianarli - ancora e per l'ennesima volta - i contribuenti italiani, che "in cambio" poi ne ricaveranno - continueranno a ricavarne -, in quanto cittadini consumatori, minore concorrenza e maggiori prezzi...
Dietro la "bandiera tricolore" c'è sempre un potente sottofondo di interessi politici ed economici. E questo lo si dovrebbe aver chiaro da un pezzo. Nonostante le intemerate protezionistiche e "antimercatistiche" di Tremonti & co. Del resto il loro intento è chiaro: fare dell'Italia una gigantesca Alitalia... e ci stanno riuscendo!
Basta col protezionismo e con i monopoli (nazionali o meno), la soluzione è una sola: più concorrenza, più mercato, più soggetti competitori (e meno amici che ci guadagnano e corporazioni che prosperano)!

giovedì 25 settembre 2008

Che Saràs, Saràs... dal blog di Beppe Grillo

Per la serie non c'è solo l'Alitalia... che è solo una (seppur delle peggiori) tra le tante schifezze di questo Paese.
E a conferma di come - in Italia soprattutto - il calcio sia la vera metafora della società (e non solo nel senso di quella quotata in borsa...).
Riporto dal blog di B. Grillo.

Scrivevo di emmemmme Massimo Moratti nel blog il 23 aprile 2007, diciassette mesi fa: “Ogni tanto il fratello maggiore Gianmarco gli chiede di mettere una firma sui collocamenti. La gente si fida di lui, del suo aspetto da Bugs Bunny buono. E così è stato anche per il debutto di Saras in Borsa. I Moratti hanno incassato 1,7 miliardi di euro, ne avevano bisogno per rinforzare la squadra. Il titolo fu quotato a 6 euro in un momento di crollo del settore energetico. Chi lo comprò perse il 12% in un solo giorno. Riassunto: qualcuno decide che il prezzo di 6 euro è giusto, i risparmiatori ci credono, comprano, perdono. I Moratti e le banche ci guadagnano e la procura indaga. La Consob dov’era? Cardia illuminaci".
Emmeemme farfugliò di querele contro di me di cui non ho avuto notizia. Quelle che ho comunque mi bastano.
Diciassette mesi dopo il post “Senza rubare”, il 23 settembre 2008, il consulente tecnico della Procura di Milano ha descritto l’operazione Saras in 400 pagine.
Il consulente, come riportato da Repubblica: “ha ipotizzato che l’incasso della quotazione sia servito soprattutto a un ramo della famiglia, quello di Massimo Moratti, per far fronte ai debiti dell’Inter. Con un contestuale danno per il mercato di 770 milioni di euro”.
In sostanza le azioni sono state quotate a un prezzo molto superiore al loro valore. I Moratti e le banche hanno incassato. Chi ha comprato ha perso 770 milioni di euro.
Le banche hanno offerto un aiuto prezioso per la collocazione dei titoli. Le email sequestrate dalla magistratura:
- “E’ vitale che davanti al prezzo ci sia un 6”, Federico Imbert, Jp Morgan
- “Devi essere al corrente del fatto che abbiamo ottenuto 1,6 miliardi di euro, cioè da entrambi i fratelli, ma uno dei due deve ripagare 500 milioni di debiti, così quella parte non la vedremo per lungo tempo” Emilio Saracco, Jp Morgan
- “Parlato a lungo con Miccichè di Intesa. E’ contento del lavoro fatto insieme su Saras e Intercos. E’ personalmente a disposizione per stimolare forza vendita specialmente su Saras. Chiede di informarlo se vediamo problemi o sgranature. Tiene ovviamente molto al successo data l’esposizione sua e di Passera con i Moratti. E’ stato da lui Galeazzo Pecori Girali di Morgan Stanley consigliando di non esagerare sul prezzo. Lui crede che lo faccia per invidia nei nostri confronti” Federico Imbert, Jp Morgan.
Che Saràs, Saràs …:
- Moratti, incasso 1,6 miliardi di euro
- Jp Morgan, incasso 26,7 milioni di euro
- Banca Caboto, incasso 18 milioni di euro
- Morgan Stanley, incasso 20,9 milioni di euro
- Azionisti, perdita 770 milioni di euro.

Che Saràs, Saràs..., dal blog di Beppe Grillo, pubblicato il 25 set alle 14.18

sabato 20 settembre 2008

Oggi è il XX settembre

20 settembre 1870. Il giorno della liberazione, rivelatasi ben presto provvisoria, di Roma (e dell'Italia) dalla tirannide temporale del papato. Per chi ama e crede nella libertà è festa nazionale.
Nelle parole di Ernesto Nathan, il più grande sindaco che Roma abbia finora avuto:
“… per la breccia di Porta Pia, entrò nella città eterna il pensiero civile ed umano, la libertà di coscienza, abbattendo per sempre, muraglia di una Bastiglia morale, il potere temporale dei papi… Quella data… da nazionale diviene, nel suo alto significato filosofico, universale, e come tale la festa del popolo per i popoli”.
Qui si può leggere lo storico discorso celebrativo di E. Rossi, Il nostro XX settembre. Lettura quanto mai salutare in un momento in cui l'attuale sindaco della Capitale ne oltraggia la memoria commemorando, tramite suoi (degni o indegni) rappresentanti, gli zuavi pontifici mercenari invece dei bersaglieri liberatori di Roma.
Non per altro la Chiesa è sempre stata contro le libertà democratiche: per il timore, cioè, di divenire oggetto, come ogni altra istituzione, di discussione e di critica.
In una periodo in cui le battaglie vanno combattute anche e in primo luogo per riappropriarsi del significato delle parole (i "clericali" definiscono se stessi "laici" e chiamano i laici spregiativamente "laicisti", sicché i "laicisti" sono semplicemente laici invece che clericali) voglio riportare, inoltre, alcune parole di G. Salvemini, straordinarie e particolarmente appropriate:
"Tutti in Italia sembrano aver dimenticato che la libertà non è la mia libertà, ma è la libertà di chi non la pensa come me. Un clericale non capirà mai questo punto, né in Italia, né in nessun altro Paese del mondo. Il clericale non arriverà mai a capire la distinzione fra peccato e delitto, fra quello che lui crede peccato e quello che la legge secolare ha il dovere di condannare come delitto. Punisce il peccato come se fosse delitto, e perdona il delitto come se fosse peccato. Non è mai uscito dall'atmosfera dei 10 comandamenti, nei quali il rubare e l'uccidere (delitti) sono messi sullo stesso livello del desiderare la donna d'altri (peccato). Perciò è necessario tenere lontani i clericali dai governi dei paesi civili." [...]
"La ideologia del laicismo nega alle autorità ecclesiastiche il diritto di mettere legalmente a servizio delle loro ideologie le autorità secolari. Le autorità ecclesiastiche hanno il diritto di "consigliare" i fedeli, e magari di condannarli al fuoco eterno, ma nell'altra vita. Se avessero la facoltà di imporre giuridicamente a fedeli e non fedeli i loro consigli e le loro condanne in questa vita, i loro consigli diventerebbero "leggi". I peccati diventerebbero delitti. Il laicismo - inteso in questo senso, e non so in quale altro senso si possa intendere - è la secolarizzazione delle istituzioni pubbliche." [...]
"È solo dopo essere vissuto in paesi protestanti, che io ho capito pienamente quale disastro morale sia per il nostro paese non il "cattolicesimo" astratto che comprende 6666 forme possibili di cattolicesimi, fra cui quelle di San Francesco e di Gasparone, di Savonarola e di Molinas, di Santa Caterina e di Alessandro VI, ma quella forma di "educazione morale" che il clero cattolico italiano dà al popolo italiano e che i papi vogliono sia sempre data al popolo italiano. È questa esperienza dei paesi protestanti che ha fatto di me non un anticlericale, ma un anticattolico..."
Gaetano Salvemini, Lettere dall'America 1947-1949 (epistolario con Ernesto Rossi)

martedì 2 settembre 2008

MAlitalia -1

Sperando di trovare il tempo, ho deciso di iniziare la pubblicazione di un dossier di approfondimento sullo scandalo senza fine e senza fondo dell'Alitalia, che ben rappresenta il modo con cui il presente governo e chi lo presiede infinocchiano ripetutamente i cittadini italiani in nome di presunti interessi nazionali (modello Putin), ovviamente con la complicità determinante dei sindacati di stato (che in questo caso hanno provveduto al "lavoro sporco" nei confronti della trattativa con Airfrance), sempre d'accordo quando c'è da saccheggiare denaro dei contribuenti....

E' un lavoro di raccolta che avrei voluto cominciare da alcuni mesi, ma tant'è - meglio tardi che mai -, forse ci voleva la mazzata definitiva che si annuncia in questi giorni.

Si comincia dalla fine. Ovvero pubblicando gli unici editoriali che spiegano come stanno le cose su questa vergogna della cordata pataccara… Del resto, nessuna meraviglia: i padroni dei giornali sono in buona parte i beneficiati da questa cordata di privatizzatori di profitti e socializzatori di perdite

Costi pubblici, profitti privati di Tito Boeri
Alitalia, resta solo la bandiera di M. Giannini
Compagnia di bandierina di Mario Deaglio

Un utile approfondimento dei fatti precedenti, con particolare riguardo agli ultimi anni, è dato dall'inchiesta pubblicata in 6 puntate dal Sole 24 ore (qui anche in .pdf).

Dio, Alitalia e Famiglia

Ovvero: del cialtronismo corporativo di questa destra.
L'"italianità" della compagnia significa non altro che l'accollo allo stato e ai contribuenti italiani dei debiti e la concessione di ulteriori privilegi e tutele futuri a danno di clienti e consumatori (che dunque pagheranno ulteriori costi in termini di protezionismo).
Inoltre la nuova compagnia nasce sulla garanzia pubblica di condizioni di monopolio (a cominciare dalla tratta Roma-Milano).
E questo viene posto in essere dopo aver lavorato - in combutta con la marmaglia sindacale e corporativa - per far fallire una soluzione (quella della vendita ad Airfrance) che accollava i debiti di Alitalia all'acquirente invece che alla collettività.
Quello che sta oggi facendo il governo italiano, più che un "salvataggio", è piuttosto operare per garantire a una nuova compagnia un monopolio di fatto sulle rotte interne, che altrimenti sarebbero state coperte da altri in condizioni di concorrenza.
Tremonti dice che in Italia il mercato non può funzionare... Certo, se non viene messo in condizioni di esistere è difficile che possa funzionare!
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In pratica, un'operazione in due fasi (accollo alla collettività dei debiti della bad company e cordata monopolistica di amici pataccari per la good company) che rappresentano nel peggiore dei modi la "socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti" (come chiariscono ad es. E. Bonino e il Riformista)... a favore di una "cordata" dentro cui stanno (chissà perché?) - parole di M. Calearo - "chi vive di tariffe e qualche indebitato", a cominciare da C. Toto di Airone, di cui a ben vedere questa operazione rappresenta un vero "salvataggio" (sempre a spese dei cittadini italiani, naturalmente). Come afferma B. Tabacci su Liberal "E' peggio dei tempi dell'Iri: il modello di oggi è Putin... se fossero vissuti allora, con le partecipazioni statali Berlusconi e Tremonti ci sarebbero andati a nozze...".
In sintesi, un brano finale del commento di T. Boeri su Repubblica:
Proprio in questi giorni stiamo assistendo ad un'altra vicenda devastante per la nostra immagine presso gli investitori esteri. Ben tre leggi dello Stato cambiate a beneficio di una cordata di banchieri, imprenditori e del presidente degli industriali italiani, noncurante del fatto che, se il loro piano dovesse andare in porto, imporrà a tutti i propri rappresentati prezzi molto più alti in quella tratta decisiva per molte imprese che è la Roma-Milano.

lunedì 1 settembre 2008

Sindacati

Un dato fondamentale che tutti gli studi e le statistiche esprimono.
L'Italia è il paese con i sindacati più forti nel mondo occidentale e i salari tra i più bassi (se non addirittura i più bassi).
Ebbene, non è ora di chiedersi se per caso non ci sia un legame tra questi due fatti ?
Come viene usata questa forza? E in cambio di che cosa e a spese di chi viene guadagnata e conservata?
La risposta è tanto semplice quanto evidente: i loro privilegi in cambio del bene comune, i cazzi loro in cambio di quelli di tutti.

domenica 31 agosto 2008

Soldi ai dittatori

Non bastava la vergognosa partnership con Putin. Forse non era abbastanza losco. E allora pure Gheddafi. Roba (se solo fossimo in un paese democratico o quantomeno civile) da sotterrarsi dalla vergogna o dall'indignazione. I giornali italiani ovviamente si guardano bene dal farlo (anzi, la Fiat ed altri padroni ringraziano). Unica eccezione, A. Romano su Il Riformista:
Prima i ringraziamenti del Cremlino per “la ragionevolezza” mostrata dall’Italia nella crisi georgiana, poi la riconoscenza del Colonnello Gheddafi per l’impegno a non usare mai contro la Libia le basi Nato presenti sul nostro territorio. Nello stesso giorno la politica estera del nuovo governo Berlusconi incassa una generosa dose di gratitudine dalla parte sbagliata del mondo. Ma soprattutto, si presenta alla comunità internazionale nel solco di una delle più guaste e longeve tradizioni italiche. Quella di una politica estera insieme velleitaria e autolesionista, da piccola potenza insicura ma convinta di ricavare vantaggi marginali dal gioco di sponda tra i grandi. Un paese in equilibrio sul crinale stretto dell’inaffidabilità e costretto proprio per questo a ribadire di continuo il proprio senso di responsabilità verso agli alleati.

venerdì 11 luglio 2008

Pari Opportunità (e opportunismi)

Berlusconi e le sue ministre. "E' come se B. Clinton avesse nominato M. Levinsky ministro", ha commentato il deputato M. Donadi (IDV). Mai paragone fu più calzante. E si immagini cosa sarebbe accaduto...
E' anche questa la differenza che c'è tra una grande democrazia come gli Stati Uniti (dove la menzogna è considerata supremo crimine politico) e un declinante paese di merda come il nostro (dove menzogna e peculato, financo sessuale, sono normalità, magari benedetta in salsa vaticana). Qui un articolo chiaro sull'argomento del noto quotidiano argentino Clarìn, tanto per documentare che ormai perfino la stampa sudamericana riesce a dare lezioni di chiarezza e di non-autocensura alla casta giornalistica dell'oligarchia italica.
Osteria delle ministre / paraponzi ponzi po / le ministre son maestre / paraponzi ponzi po / e se a letto son portento, figuriamoci in Parlamento / dammela a me Carfagna / pari op-por-tu-ni-tà (S. Guzzanti)

martedì 1 luglio 2008

Io sto con Brunetta (ma non basta...)

Io, dipendente "pubblico" che a lavorare ci va, oppositore - da cittadino liberale - della maggioranza e del governo attualmente in carica, sto con R. Brunetta: sperando che sia, però, solo l'inizio.
Esprimo, dunque, il mio assoluto consenso rispetto a una delle rare iniziative civili e liberali da loro (o, meglio, da uno di loro) messa in campo per contrastare (speriamo fino in fondo) il malcostume delle varie forme di assenteismo abusivo (anche se non tutte) nella Pubblica Amministrazione. E l'auspicio che possa essere estesa ad altri settori (magari fossero semplicemente "nicchie") di consolidata e intatta nullafacenza e impunità - permessi, immunità e privilegi sindacali (e non) in primo luogo -, anche se c'è da temere che non per caso siano stati lasciati fuori... Purtroppo ormai lo sanno tutti: chi tocca quelli "muore" (e speriamo solo con le virgolette), ed è tristemente difficile trovare gente che abbia le palle per farlo.
Intanto già si assiste all'indecente protesta di coloro che hanno una tale faccia di merda da rivendicare il diritto a "mettersi in malattia" e - attraverso la pretesa, troppo spesso e troppo facilmente accordata, dell'eguale trattamento per chi a lavorare ci va (magari anche per loro) e chi no - in fondo la pretesa arrogante e feudale di far lavorare (gli) altri al posto loro: vergogna!!!

giovedì 15 maggio 2008

Fannulloni? No, nullafacenti

Se ne è accorto pure Brunetta. Salvo - è facilmente prevedibile - ritrattare e chiedere scusa al primo stormir di fronde sindacali (i veri e principali paladini e protagonisti della nullafacenza, ricordiamolo sempre).
Quello che lascia perplessi - come in quasi tutte le occasione in cui si affronta questo argomento - è la scelta del termine, generico e inappropriato (e dunque inefficace).
Del resto perfino il giornale (Corriere della sera) che pure ha il merito di pubblicare la maggior parte degli articoli del prof. Ichino pare non perda occasione nei suoi titoli di distorcerne il pensiero, usando quasi ogni volta che può il generico e improprio termine "fannulloni" invece dello specificamente ichiniano "nullafacenti". Che cosa mai deve fare un povero cristo per far passare il termine corretto, piu' che intitolarci un libro e spiegarlo (vedi qui) in articoli ed interviste?
E' infatti da ribadire come, nonostante la comune radice linguistica dei due termini, nel linguaggio corrente "fannullone" sia usato per designare chi non fa niente o non lavora sempliemente per pigrizia o per indolenza, mentre NULLAFACENTE ha - è questo il punto - una connotazione molto più oggettiva e sistemica, quella di chi non lavora oltre che per propria personale inclinazione soprattutto per sua volontà e scelta e ancor più perché un sistema strutturalmente connivente gli consente di farlo, con buona pace di chi lavora di più...
E' proprio vero: in questo paese le velleità di cambiamento sono destinate a scontrarsi con quasi tutto, a cominciare dall'uso delle parole.

sabato 19 aprile 2008

L'altra casta - s'è svegliato...

Se ne è accorto pure Montezemolo: "E' ormai chiaro che la trincea dei negoziati infiniti, del rifiuto di guardare con occhi obiettivi la realtà, serve solo a difendere una casta di professionisti del veto"(18/4/2008). Ovviamente subito contraddetto dai protezionisti Tremonti e Calderoli e dal corporativista Alemanno, insorti a difesa del potere corporativo sindacale. Tanto per la chiarezza.

domenica 6 aprile 2008

Endorsement

Questo blog invita a votare Partito Democratico alle elezioni legislative del 13-14 aprile.


Per un motivo molto semplice: il minore dei mali e la meno conservatrice delle patacche.


Più in dettaglio:

per limitare nuovi e ulteriori rigurgiti di corporativismo protezionista (Alitalia in primo ma non unico luogo) a spese di contribuenti e consumatori;

per cercare, con Bersani (ostacolato in parlamento dall'alleanza tra sinistra conservatrice-bertinottiana e destra antiliberale-berlusconiana), di scardinare le rendite di posizione corporative a carico della collettività, in primo luogo le corporazioni, come quella dei tassisti amici di AN e di Alemanno, ma anche fantomatiche cordate italiane per Alitalia che sarebbero in tal modo ripagate, sicché pagherebbero insomma 2 volte (e ancora) i cittadini consumatori e contribuenti;

per scongiurare nuove inversioni di tendenza che ci riportino dai (sia pur timidi e faticosi) tentativi del governo uscente in direzione di un risanamento finanziario verso il demagogico dissesto del bilancio pubblico;

per evitare una accondiscendenza ancora maggiore del governo italiano con papato e prepotere vaticano, a tutti i livelli (a cominciare dal problema, di importanza fondamentale in tempi di nuovo crescente oscurantismo, del rapporto delle religioni organizzate con scienza ed etica e della loro pretesa di ingerenza egemonica);

perché Bersani, Bonino, Ichino e Veronesi possano fare (o tornare a fare) i ministri.

sabato 5 aprile 2008

L'altra casta - 3

Ecco un interessante articolo (Corriere della sera, 5/4/2008) sul libro di Livadiotti, L'altra casta.


Sindacati, la casta in crisi
Diritto di veto e iscritti insofferenti. Il caso Alitalia e la difesa dei privilegi


Nella remota eventualità che riescano a mettersi d'accordo, le ultime quattro sigle delle 43 organizzazioni sindacali scolastiche potrebbero perfino convocare un tavolo di scopone scientifico, in virtù del loro solitario iscritto. Piano con lo stupore. Perché nel mondo parallelo delle confederazioni, le dimensioni non contano. Nel settore ippico ci sono il contratto di base e quello per i cavalli da corsa, anzi, quelli, al plurale perché le normative sono differenti per il trotto o il galoppo. Le imprese che producono ombrelli e ombrelloni godono di un'unica intesa, che però differisce da quella delle aziende che forniscono il manico del manufatto. Per stare sull'attualità: nel 2007, la più piccola delle 13 sigle dell'Enav, ente controllori di volo, cinque tesserati, uno zoccolo duro di sostenitori che starebbe largo in un monolocale, riuscì a far cancellare 320 voli in un solo giorno.

Domanda d'obbligo: queste giornate sono la riproduzione riveduta e corretta dell'autunno Ottanta? C'è la sensazione diffusa che rappresentino comunque un passaggio delicato nella vita del sindacato, che segnino una svolta nella sua credibilità. Sta arrivando un libro che si chiama L'altra casta, e sembra essere un Atlante della crisi, o almeno un suo sintomo. Naturalmente, c'è un capitolo dedicato ai fasti di Alitalia, l'azienda più sindacalizzata d'Italia, nel quale si apprende — tra le altre cose — dell'esistenza sancita per contratto di una Banca dei riposi individuali, della speciale indennità riservata al personale viaggiante per la temporanea assenza del lettino a bordo di alcuni Boeing 767-300, centinaia di euro che per non creare odiose discriminazioni sono stati corrisposti anche a chi volava su aerei dotati delle cuccette in questione. D'accordo, così è troppo facile. Basta aneddoti. Ce ne sono tanti, troppi. Il problema è un altro. Alcuni libri hanno la fortuna o la capacità di cogliere lo spirito dei tempi, di intercettare uno stato d'animo comune, giusto o sbagliato che sia.

L'altra casta, scritto da Stefano Livadiotti, giornalista de L'Espresso, è uno di questi libri. Un pamphlet, che opera una dissezione da autopsia dei sindacati italiani, definiti «macchina di potere e denaro». Ne elenca in modo analitico le storture, gli organici colossali con migliaia di dipendenti pagati dal contribuente, lo sterminato e parzialmente detassato patrimonio immobiliare, i vantaggi, i privilegi che autorizzano l'autore a usare il termine ormai negativamente iconico di «casta». Ma soprattutto, questo è forse l'aspetto più controverso, ne mette in luce la perdita di identità, le debolezze e i limiti nel recitare il ruolo importante che dovrebbero avere nel Paese. Nel mare di cifre, storie e statistiche forniti da Livadiotti, è questa accusa, la più empirica, che ferirà i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil. L'autore enuncia la tesi con una certa ruvidezza: «L'immagine del sindacato come di un soggetto responsabile, capace di farsi carico degli interessi generali del Paese, agli occhi degli italiani si è dissolta ormai da tempo».

Sempre più autoreferenziali, le confederazioni hanno perso il contatto con la vita vera, per diventare un soggetto autistico, abiurando alla loro storia, alla loro vera missione. «Un apparato che, presentandosi come legittimo rappresentante di tutti i lavoratori, in nome di una concertazione degenerata in diritto di veto, pretende di mettere becco in qualunque decisone di valenza generale, ma in realtà fa gli interessi dei suoi soli iscritti, ai quali sacrifica il bene collettivo, mettendosi ostinatamente di traverso a qualunque riforma rischi di intaccarne uno statu quo fatto di privilegi ». L'altra casta, è bene dirlo, è un'opera brutale, una specie di libro nero del sindacalismo, e in quanto tale destinato a dividere, a far discutere. Ma le frasi citate qui sopra non vanno controvento, perché rappresentano davvero un sentimento di insofferenza verso il sindacato, questo sindacato, che nell'Italia del 2008 si respira a pieni polmoni, e negarlo sarebbe stupido, persino autolesionistico. Nel cittadino medio, la percezione diffusa del sindacato è questa, piaccia o no. E una vicenda più di ogni altra contribuisce a cementarla. «Dove comandano loro», è il titolo programmatico del capitolo dedicato ad Alitalia, azienda che ha un tasso di sindacalizzazione bulgaro, il 77,9% tra gli assistenti di volo e l'87,1% tra i piloti. Le scoperte sono varie, indubbiamente sconfortanti, sempre istruttive. Si apprende ad esempio che grazie al Regolamento sui limiti di tempo di volo e di servizio e requisiti di riposo per il personale navigante, il giorno di riposo, «singolo libero dal servizio», per i piloti Alitalia comprende due notti e non deve essere mai inferiore alle 33 ore, Keplero e Copernico se ne facciano una ragione. Si viene a sapere inoltre dell'esistenza di un Comitato nomi, invenzione che sarebbe piaciuta tanto al compianto Beppe Viola, fondatore con Enzo Jannacci dell'Ufficio facce. Trentasei dipendenti per suggerire come battezzare i nuovi aerei, finché ci sono stati soldi per comprarli. Più seriamente, nel 2007, mentre il governo cercava col lanternino un compratore disposto a salvare la nostra compagnia di bandiera dal fallimento — ha perso 364 milioni di Euro in 365 giorni, di ventiquattro ore — piloti e hostess si sono fatti un giro di valzer sul Titanic sommando scioperi che hanno causato mancati introiti per un totale di 111 milioni di Euro. E gli ultimi eventi, il cestinamento dell'offerta di Air France, la penosa rincorsa ai suoi dirigenti per riportarli al tavolo delle trattative, portano acqua alla tesi di chi, Livadiotti è tra questi, vede in Alitalia il punto critico che fissa l'incapacità conclamata di conciliare gli interessi dei propri iscritti con quello generale.

Che brutta questa immagine di un sindacato privo di autorevolezza ma sempre pronto ad esternare su qualunque aspetto dello scibile umano. Nell'ultimo anno solare il capo della Cisl ha collezionato 607 titoli sul notiziario Ansa, una media di 1.7 esternazioni al giorno, compresi Natale, Capodanno e Ferragosto. Leggermente attardato Epifani (539), segue a ruota Angeletti (339). Nello stesso arco di tempo, annota Livadiotti, la percentuale di coloro che vedono i sindacati come il fumo negli occhi è volata dal 67,9% al 78,3%, dati Eurispes, mentre lo zoccolo duro che ancora si dichiara molto fiducioso nel loro operato è passato dal 10,1 al 4,1%. Ecco, ne L'altra casta c'è quasi tutto per chi cerca conferme alla propria disistima verso i sindacati, compresi certi toni davvero duri. Per gli altri, mancherà sicuramente un capitolo dove si dia conto dei meriti storici del sindacato italiano, anche senza prenderla troppo da lontano, Portella della Ginestra, le lotte del dopoguerra, cose che stanno nei libri di storia, o della sua capacità — intermittente — di essere una delle ultime istituzioni che porta i propri iscritti a ragionare anche di temi elevati, di ideali. Manca l'onore delle armi all'avversario. Ma forse, come le pipe di Magritte, un pamphlet è un pamphlet, null'altro che questo.

Aggiornamento. La questione viene ripresa dal Corriere in un'editoriale del 14/4/2008, a firma di D. Di Vico. Eccone un paio di passaggi interessanti:

A tratti è persino crudele. Il libro di Stefano Livadiotti sulla casta dei sindacalisti assesta un colpo da kappaò all'immagine delle grandi confederazioni del lavoro. Le descrive come strutture bizantine quando devono ascoltare la società e prendere decisioni coerenti, ma capaci poi di trasformarsi in vere e proprie catene di montaggio del consenso forzoso e organizzato.
Tutto è finalizzato a produrre tessere, privilegi e denaro. In quelle pagine il sindacato italiano del 2008 finisce per somigliare alle strutture tipiche della tradizione novecentesca dell'Est europeo più che a moderni strumenti di rappresentanza da paese industrializzato dell'Ovest. La fotografia di Cgil-Cisl-Uil è quella di un kombinat politico-economico che punta prima di tutto a perpetuare se stesso e a garantire i propri apparati.

[...]

E' fisiologico che cicli di potere così lunghi creino distorsioni in un meccanismo già di per sé delicato come quello della rappresentanza sindacale. Una misura di rotazione degli incarichi dovrebbe abbinarsi a una liberalizzazione degli accessi. Oggi uscire dal sindacato è difficile, gli automatismi nel rinnovo della tessera diventano una barriera all'uscita. Ridare indietro la tessera è un rompicapo burocratico che equivale alla fatica di voler chiudere il proprio conto corrente in banca. La seconda misura che gioverebbe enormemente all'immagine del sindacato riguarda la trasparenza dei rendiconti economici. Non esistono bilanci consolidati ma solo singoli documenti disaggregati sostanzialmente autocertificati. Va invece adottata una prassi di completa trasparenza, analoga a quella in uso per le società quotate. Ma forse il capitolo più delicato da aprire e la vera chiave di volta di un possibile «rinascimento » sindacale sta nell'adozione di un metodo nuovo nella proclamazione degli scioperi. L'ipotesi di ricorrere al referendum preventivo tra i lavoratori può avere per Cgil-Cisl-Uil l'effetto di un balsamo. Ma come per tutti i medicamenti ci vuole prima di tutto il coraggio di voler guarire.

martedì 1 aprile 2008

L'altra casta - 2bis

S. Livadiotti, L' altra casta. Privilegi. Carriere. Misfatti e fatturati da multinazionale. L'inchiesta sul sindacato, Bompiani, 2008

Contenuto: Un libro che farà molto arrabbiare la Destra e la Sinistra, il Governo e l'opposizione, ma soprattutto: i sindacati.
"Le allegre finanze del sindacato: la sola Cgil ha un giro d'affari valutato in un miliardo di euro. I delegati delle tre centrali sindacali sono 700 mila, sei volte più dei carabinieri. I loro permessi equivalgono a un milione di giornate lavorative al mese. E costano al sistema-paese un miliardo e 854 milioni di euro l'anno".
I sindacati sono oggi nel pieno di una profonda crisi di legittimità, che rischia di cancellare anche i loro meriti storici. Lo strapotere e l'invadenza delle tre grandi centrali confederali, e le sempre più scoperte ambizioni politiche dei loro leader, hanno prodotto nel paese un senso di rigetto. Lo documentano tutti i più recenti sondaggi d'opinione: solo un italiano su venti si sente pienamente rappresentato dalle sigle sindacali e meno di uno su dieci dichiara di averne fiducia. L'immagine del sindacato come di un soggetto responsabile, capace di interpretare gli interessi generali, si è dunque dissolta. E ha lasciato il posto a quella di una casta iperburocratizzata e autoreferenziale che ha perso via via il contatto con il paese reale, quello delle buste paga sempre più leggere e delle fabbriche dove si muore troppo spesso. Un apparato che, in nome di una concertazione degenerata in diritto di veto, pretende di avere l'ultima parola sempre e su ogni cosa. Che si presenta come il legittimo rappresentante di tutti i lavoratori. Ma bada in realtà solo agli interessi dei suoi iscritti, che valgono ormai meno di un quarto dell'intero sistema produttivo nazionale. E perciò si mette puntualmente di traverso a qualunque riforma in grado di mettere in discussione uno 'status quo' fatto di privilegi.

lunedì 31 marzo 2008

L'altra casta - 2

l'inchiesta pubblicata qui e qui diventa un libro.
Da comprare, leggere, diffondere...

sabato 19 gennaio 2008

Il Travaglio d(e)i Mastella

Ricevo da un amico e volentieri ripubblico una lettera di Marco Travaglio sul mastella-gate esploso in queste ore nella politica italo-cialtrona.

"Siamo tutti costernati e affranti per quanto sta accadendo al cosiddetto ministro della Giustizia Clemente Mastella e alla sua numerosa famiglia, nonché al suo partito, che poi è la stessa cosa. Costernati, affranti, ma soprattutto increduli per la terribile sorte che sta toccando a tante brave persone. Infatti, oltre alla signora Sandra, presidente del Consiglio regionale della Campania, sono finiti agli arresti il consuocero Carlo Camilleri, già segretario provinciale Udeur; gli assessori regionali campani dell'Udeur Luigi Nocera (Ambiente) e Andrea Abbamonte (Personale); il sindaco di Benevento dell'Udeur, Fausto Pepe, e il capogruppo Udeur alla Regione, Fernando Errico, e il consigliere regionale dell'Udeur Nicola Ferraro e altri venti amministratori dell'Udeur. In pratica, hanno arrestato l'Udeur (un mese fa era finito ai domiciliari l'unico sottosegretario dell'Udeur, Marco Verzaschi, per lo scandalo delle Asl a Roma, mentre un altro consigliere regionale campano, Angelo Brancaccio, era finito in galera prima dell'estate quando era ancora nei Ds, ma appena uscito di galera era entrato nell'Udeur per meriti penali). Mastella, ancora a piede libero, è indagato a Catanzaro nell'inchiesta "Why Not" avviata da Luigi De Magistris e avocata dal procuratore generale non appena aveva raggiunto Mastella, che intanto non solo non si era dimesso, ma aveva chiesto al Csm di levargli dai piedi De Magistris. S'è dimesso invece oggi, Mastella, ma per qualche minuto appena: poi Prodi gli ha respinto le dimissioni, lasciandolo al suo posto che – pare incredibile – ma è sempre quello di MINISTRO DELLA GIUSTIZIA. La sua signora, invece, non s'è dimessa (a Napoli, di questi tempi, c'è perfino il rischio che le dimissioni di un politico vengano accolte): dunque, par di capire, dirigerà il Consiglio regionale dai domiciliari, cioè dal salotto della villa di Ceppaloni.

Al momento nessuno sa nulla delle accuse che vengono mosse a lei e agli altri 29 arrestati. Ma l'intero Parlamento – con l'eccezione, mi pare, di Di Pietro e dei Comunisti Italiani – s'è stretto intorno al suo uomo più rappresentativo, tributandogli applausi scroscianti e standing ovation mentre insultava i giudici con parole eversive, che sarebbero parse eccessive anche a Craxi, ma non a Berlusconi: insomma la casta (sempre più simile a una cosca) ha già deciso che le accuse - che nessuno conosce - sono infondate e gli arrestati sono tutti innocenti. A prescindere.

Un golpetto bianco, anzi nero, nerissimo, in diretta tv. Nessuno, tranne Alfredo Mantovano di An, s'è domandato come facesse il ministro della Giustizia a sapere che sua moglie sarebbe stata arrestata e a presentarsi a metà mattina alla Camera con un bel discorso scritto, con tanto di citazioni di Fedro: insomma, com'è che gli arresti vengono annunciati ore prima di essere eseguiti? E perché gli arrestandi non sono stati prelevati all'alba, per evitare il rischio che qualcuno si desse alla fuga? Anche stavolta, la fuga di notizie è servita agli indagati, non ai magistrati. E, naturalmente, al cosiddetto ministro.

Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, anziché aprire una pratica a tutela dei giudici aggrediti dal ministro, ha subito assicurato "solidarietà umana" al ministro e ai suoi cari (dobbiamo prepararci al trasferimento dei procuratori e del gip di Santa Maria Capua Vetere, sulla scia di quanto sta accadendo per De Magistris e Forleo?). Il senatore ambidestro Lamberto Dini ha colto l'occasione per denunciare un "fatto sconvolgente: i magistrati se la prendono con le nostre mogli" (la sua, Donatella, avendo fatto fallimento con certe sue società, è stata addirittura condannata a 2 anni e mezzo per bancarotta fraudolenta, pena interamente indultata grazie anche a Mastella). Insomma, è l'ennesimo attacco ai valori della famiglia tradizionale fondata sul matrimonio: dopo l'immunità parlamentare, occorre una bella immunità parentale. Come fa osservare la signora Sandra Lonardo in Mastella dai domiciliari, "questo è l'amaro prezzo che, insieme a mio marito, stiamo pagando per la difesa dei valori cattolici in politica, dei principi di moderazione e tolleranza contro ogni fanatismo ed estremismo". Che aspettano a invitarli a parlare alla Sapienza?" Marco Travaglio.

Ai cultori della materia segnalo peraltro gli indirizzi di due blog ormai storici:

http://www.mastellatiodio.blogspot.com/
http://dementemastella.blogspot.com/

* * *

P.S. ormai è chiaro a tutti: il vero motivo che ha portato Mastella a dimettersi e far cadere il governo è stato andare alle elezioni anticipate ed evitare i referendum elettorali... Mal gliene incolga !

mercoledì 16 gennaio 2008

L'unico strumento contro la partitocrazia

Non sarà l'uninominale "secco" all'inglese, ma almeno costituirebbe un passo avanti in senso maggioritario.
Questo blog supporta incondizionatamente i referendum elettorali (che, sia chiaro, vanno votati e vinti, non usati come merce di scambio per qualche sottoaccordo partitocratico).

Gli indirizzi web del comitato promotore:
http://www.referendumelettorale.org/
http://www.referendumelettorale.org/home.html (sito)
http://referendumelettorale.ilcannocchiale.it/ (blog).

Malati di assenteismo - 1

Un'interessante articolo (da Repubblica.it) sull'indegno malcostume (nonché ulteriore e reiterata forma di furto ai danni della collettività e di chi resta in ufficio a lavorare) della malattie fasulle nel pubblico impiego (ovviamente con copertura sindacale, manco a dirlo).

Perse ogni anno 125 milioni di giornate. La stragrande maggioranzadei certificati non supera la settimana. Ichino: "Ripristinare la franchigia".
Assenze per malattia, pubblico batte privato quattro a uno
di MARIO REGGIO

ROMA - Più di 125 milioni di giornate di lavoro perse per malattia. Quasi equamente distribuite tra dipendenti pubblici e lavoratori assunti da aziende private. Con una grande differenza: quelli pubblici sono 3 milioni e seicentomila, contro quasi 15 milioni di dipendenti privati. Poco più di 4 giorni di malattia per i privati nel 2006, 18 in media l'anno per quelli pubblici nel 2005. E la stragrande maggioranza dei certificati medici non superano la settimana.

Negli ultimi mesi la polemica sulle "malattie di comodo" è stata alimentata da numerosi fatti di cronaca. Tra questi l'insegnante che spediva i certificati da un'amena località del centro America. La docente è stata licenziata. L'ultimo caso risale a pochi giorni fa: la donna giudice che era in malattia per seri problemi alla schiena e scoperta mentre partecipava ad una regata velica.

Il dibattito su come fare per ridurre i certificati "compiacenti" si riaccende. "Credo sia giunto il momento di iniziare una sperimentazione, anche solo a livello aziendale, - suggerisce il giuslavorista Pietro Ichino - ripristinando almeno in parte la franchigia sui primi tre giorni di malattia, distribuendo i soldi risparmiati a tutti i lavoratori. Nel mio libro "A cosa serve il sindacato", dimostro dati alla mano che ci guadagnerebbero tutti, salvo gli assenteisti. In Inghilterra da quando è stato introdotto questo procedimento l'assenteismo si è dimezzato". Polemica la reazione di Michele Gentile, coordinatore della Funzione Pubblica Cgil: "Nel contratto nazionale dei dipendenti statali c'è una voce che si chiama "indennità di amministrazione", legata alle presenze.
Ogni giorno di assenza equivale ad una decurtazione dell'indennità. Quindi il meccanismo già esiste. Poche settimane fa il ministro della Funzione Pubblica ha firmato una direttiva che sollecita ad intensificare le visite fiscali - prosegue Gentile - il sindacato non vuol proteggere chi commette abusi e la falsa malattia è un abuso che attiene la dimensione penale. Anche il "tormentone" del dipendente pubblico assenteista deve finire. I dati della Ragioneria generale dello Stato parlano chiaro: dal 2003 al 2006 le assenze sono in calo costante. Nell'ultima rilevazione la Ragioneria ha sezionato i dati e la media dei giorni di malattia è scesa a 10 e mezzo l'anno per dipendente".

Nell'attesa l'Inps continua a pagare le aziende dopo il terzo giorno d'assenza per malattia. Ma questo vale per il settore privato. Nel pubblico impiego, invece, è l'amministrazione a sostenere i costi. Anche il sistema di consegna dei certificati medici è antidiluviano. Il dipendente deve consegnare al più vicino ufficio dell'Inps o spedire per raccomandata con ricevuta di ritorno il certificato medico entro due giorni dal rilascio da parte del medico. "Abbiamo cercato di razionalizzare il sistema - afferma un dirigente dell'Inps - chiedendo ai medici di spedire i certificati via internet, ma non c'è stato nulla da fare. Ci hanno chiesto di sostenere i costi del servizio, poi hanno invocato il diritto alla privacy per i pazienti".

FONTE: http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/economia/statali-sciopero/assenti/assenti.html