Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

lunedì 31 ottobre 2016

L'era della post-verità



Quando trionfa la post-verità

I fatti? Non contano più: benvenuti nell’era che non crede più ai fatti, benvenuti nell’era della post-verità.
Non si vota per la Brexit o per Trump perché dicono la verità, ma perché incarnano, a torto o a ragione, un rifiuto del ‘sistema’.
Non importa quante sciocchezze abbia detto. Donald Trump ha continuato a guadagnare voti. Perché nell'epoca della post-verità, gli elettori non vogliono fatti, ma messaggi emozionali. Veri o meno.





“Pensate a quanto Donald Trump è estraneo ai fatti. Vive in un regno fantastico in cui il certificato di nascita di Barack Obama è falsificato, il presidente ha fondato lo Stato islamico, i Clinton sono assassini e il padre di un rivale era con Lee Harvey Oswald prima che questi uccidesse John F. Kennedy”. Inizia così il durissimo e illuminante editoriale dell’Economist, che questa settimana dedica la copertina alla “politica del post verità”, di cui il candidato repubblicano alla Casa Bianca è uno dei maggiori esponenti. Nell’èra della post verità, scrive l’Economist, le dichiarazioni dei politici hanno perso le loro fondamenta nel reale. I politici hanno sempre mentito, ma questa volta la differenza è più grande: la verità è diventata un elemento di importanza secondaria, e i social media hanno un ruolo fondamentale in tutto questo.
L’espressione è apparsa nel 2004 in un libro pubblicato negli Stati Uniti, ma è nel 2016 che ha acquisito un senso più compiuto: post-truth, postverità. La formula descrive la pericolosa tendenza delle democrazie occidentali a non credere più ai fatti nel dibattito politico, bensì alle menzogne pronunciate in tono sicuro.
Nel suo libro The post-truth era (L’era della postverità), Ralph Keyes definisce la menzogna “un’affermazione falsa, fatta in piena cognizione di causa con l’obiettivo d’ingannare”. Un esempio? La campagna referendaria per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea sosteneva che Londra versava all’Ue 350 milioni di sterline alla settimana e che tale denaro sarebbe potuto essere investito nel servizio sanitario nazionale in caso d’uscita dall’Unione europea. L’affermazione era chiaramente falsa: non erano vere né la cifra né la promessa. Ma una volta scritta sugli autobus britannici a due piani è diventata credibile.
«La verità ha ancora qualche importanza?», si chiedeva la direttrice del Guardian  Katharine Viner a luglio, commentando il risultato del referendum sulla Brexit nel Regno Unito. La vittoria del sì è stata possibile anche grazie alle balle raccontate da Boris Johnson, che dell’argomento dei 350 milioni di sterline a settimana «rubate» da Bruxelles alla sanità nazionale ha fatto la sua bandiera.  Una panzana ma c’è chi ci ha creduto, nonostante i giornali avessero provato a smentirla. Oggi è chiaro, ma troppo tardi.
Ora il testimone della post-truth è passato a Donald Trump, e questa tendenza si intravede già nei primi dibattiti per le elezioni presidenziali francesi.

Siamo in piena epoca «post-truth», di post-verità. «I fatti non funzionano», non fanno guadagnare voti, ha detto Arron Banks, multimilionario co-fondatore della campagna per il Leave. E la domanda di Katharine Viner vale oggi anche altrove, per esempio in America, dove Donald Trump nel duello con Hillary Clinton colleziona bufale senza perdere voti, anzi, guadagnandone. «La campagna per il Remain ha prodotto fatti, fatti, fatti, fatti. Ma non funziona. Devi connetterti con la gente dal punto di vista emotivo. Sta qui il successo di Trump», ha aggiunto Banks.

Non importa quindi quante sciocchezze abbia detto Trump nel primo grande dibattito con Hillary. Del resto ne aveva già dette a iosa. Il blog di fact-checking del Washington Post le ha messe in fila: da Obama che non è nato negli Stati Uniti ai 4 milioni di dollari spesi per nascondere l’evidenza della sua nascita avvenuta altrove, all’invenzione delle «migliaia» di musulmani nel New Jersey che hanno celebrato gli attacchi dell’Undici Settembre.  L’ultima menzogna di Trump è stata smascherata da Politifact, che ha dimostrato che il candidato repubblicano non si è affatto opposto all’invasione dell’Iraq come ha sostenuto più volte. Tre mesi prima della guerra si era detto favorevole all’idea, per poi prenderne le distanze nel 2004 quando sono cominciati i problemi. Ma poco importa. Trump continua a dire quel che gli fa comodo, o che piace al suo elettorato, senza preoccuparsi della verità e neppure dei fatti.
Nel caso di Trump la cosa più stupefacente è che un paese moralista come gli Stati Uniti ha spesso considerato la menzogna una cosa più grave dei fatti che si volevano nascondere. Sono stati la bugia e lo spergiuro, più che il furto con scasso, a portare all’impeachment di Richard Nixon dopo lo scandalo Watergate.  Gli esperti di fact-checking (verifica dei fatti) hanno dimostrato che più di due terzi delle affermazioni di Trump nell’ultimo anno sono false, ma la sua credibilità non ne risente. Al contrario, all’indomani del suo viaggio in Messico in cui non ha osato dire al presidente messicano che gli avrebbe inviato la fattura del famoso muro che intende costruire lungo la frontiera – per poi ripetere ai suoi elettori che “saranno i messicani a pagare” – ha superato Hillary Clinton in alcuni sondaggi (anche se la sua vittoria appare ancora improbabile).

Ralph Keyes, nel suo libro L’era della post-verità, definisce la menzogna come «un’affermazione falsa, fatta in piena cognizione di causa con l’obiettivo d’ingannare».  Trump è uno che mente sapendo di mentire, ma non è l’unico. Pensate a quelli che in Italia danno del Pinochet a Renzi (citofonare Di Maio) o a quelli che danno la colpa dei mali dell’Italia all’euro, ai migranti e alla Boldrini (ri-citofonare Salvini), o ai ticinesi che hanno votato al referendum per cacciare i frontalieri della Padania che «rubano il lavoro a noi svizzeri» (peccato che la disoccupazione nel Cantone non superi il 3%). O a chi smercia teorie complottiste non suffragate dai fatti (dalle scie chimiche all’Undici Settembre come inside job).
«La post-truth», commenta il politologo Colin Crouch, autore di Postdemocrazia (Laterza), «fa parte di una retorica politica che mostra disprezzo per l’evidenza e gli appelli alla ragione. Sono gli esperti che hanno un ruolo privilegiato nell’uso dell’evidenza e della ragione, e questo disprezzo nei loro confronti contribuisce a un populismo più generale, secondo cui solo il popolo ha la capacità di prendere decisioni. Abbiamo visto quest’approccio in Inghilterra: chi tifava Brexit ha espresso disprezzo per gli argomenti degli esperti perché, dicevano, gli esperti si sbagliano sempre».  Ciò significa che «la politica è una questione di pancia e non di cervello.  Non a caso chi fa uso della post-truth, come Trump e i fautori della Brexit, finisce per essere protagonista della xenofobia e di una politica dell’odio contro gli stranieri e le minoranze. Questa è una politica delle emozioni». Non c’è spazio per gli approcci razionali.
In paesi dove i mezzi d’informazione sono molto sviluppati, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, il diffondersi delle post-verità dimostra soprattutto l’insofferenza dell’elettorato nei confronti delle élite.
Non si vota per la Brexit o per Trump perché dicono la verità, ma perché incarnano, a torto o a ragione, un rifiuto del “sistema”. E i social network, grazie all’ambivalenza della tecnologia che fa gli interessi di chi la sa usare meglio, sono il campo di battaglia preferito di chi si crede poco rappresentato dai mezzi d’informazione tradizionali.
Dobbiamo accettare «che gli esperti non siano sempre imparziali, e che possano sbagliare. Ma accettare la loro fallibilità non significa rifiutare il concetto della verità. La politica non è una zona totalmente scientifica. È il luogo dove mettiamo da una parte i nostri valori, le nostre emozioni, anche i nostri pregiudizi, e dall’altra la sapienza, cercando un compromesso. Il rifiuto della ricerca della sapienza è qualcosa di totalmente diverso».

Le cause del successo della post-verità? «Stanno in un mondo globalizzato sempre più fuori controllo: nel 2008 abbiamo assistito al tradimento della “gente normale” da parte dell’élite bancaria. In questa confusione, molti trovano rassicurante un messaggio semplice, emozionale, che indica bersagli facili tra gli stranieri, i migranti e i profughi». E’ Il trionfo del trumpismo?
Possibile. Ma quel che è certo è che la post-verità è incompatibile con la democrazia. Se lasceremo che si radichi e si diffonda in maniera duratura, ne pagheremo tutti il prezzo.

27-9-2016
e David Allegranti www.ilfoglio.it e www.vanityfair.it

approfondimenti:

Nel Paese delle bufale



Il terremoto, i complotti e le bufale nel Paese che rifiuta la ragione

Una senatrice 5 Stelle accusa il governo di truccare la magnitudo. Un consigliere regionale se la prende con i petrolieri. Un noto giornalista attacca il Papa. Così il disastro di Norcia, per fortuna senza vittime, fa riemergere troppi pregiudizi antiscientifici

di Mauro Munafò  - L’Espresso

"Guarda io sono ignorante di queste cose. Ma l'hai sentita questa storia che hanno abbassato (sic.) il terremoto per non pagare i danni?".
Nel bar di un quartiere della zona sud di Roma sono passate poche ore dalla scossa che ha devastato Norcia, Castelluccio, Preci e molti altri paesi tra Marche e Umbria e svegliato l'intera Capitale nella paura.
Il ragazzo alla cassa parla con i clienti della domenica con quella familiarità e confidenza che gli eventi come questo alimentano tra le persone. "Hanno abbassato il terremoto sì. Prima era sopra i 7 e ora è 6 e mezzo, così l'assicurazione non deve pagare".
Si riferisce alla magnitudo del sisma, in un primo momento indicata dal rilevamento di un istituto statunitense con un valore di 7.1 e poi ricalcolata dall'Ingv fino al valore definitivo di 6.5. Tanti avventori annuiscono sconsolati, commentano indignati contro politici e governo. Solo uno replica che si tratta di una storia falsa, che spunta fuori dopo ogni sisma. Nessuna delle persone che ascolta sembra convinta. Di più, si percepisce un certo fastidio per questa smentita.
La bufala del governo che modifica i dati sui terremoti per non affrontare le spese della ricostruzione parte da un decreto del 2012 mai diventato legge. Negli ultimi anni è stata confutata decine di volte in rete, in tv, sui giornali, in radio. Ma niente da fare: quando la terra trema, torna fuori. Questa volta a rimetterla in giro ha contribuito una testimonial d'eccezione: la senatrice del Movimento 5 Stelle Enza Blundo. Sul suo profilo Facebook l'onorevole ha scritto quanto segue: "Il Tg1 apre dichiarando una scossa di 7.1 e poi la declassa a 6.1! Ancora menzogne per interessi economici del governo. Anche il terremoto dell'Aquila fu "addomesticato" a 5.8. Il tutto per non risarcire i danneggiati al 100 per cento". Poi ha corretto il tiro, prendendosela con una misteriosa "finzione mediatica" e infine ha chiesto scusa.
Ci si sposta più a sud, in Puglia, per trovare le parole di Mario Conca, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, che attraverso Facebook chiede a chi lo segue cosa ne pensa della teoria che gli avrebbe esposto un conoscente ottantenne secondo cui il sisma sarebbe colpa "delle trivellazioni, del fracking e dell'airgun nel Mediterraneo che stanno indebolendo la massa che blocca la faglia accelerando l'avvicinamento dell'Italia all'ex Jugoslavia provocando forti terremoti", e conclude " le sacche vuote di gas e petrolio alimentano questo processo, i petrolieri vanno fermati!". Ancora una volta teorie smentite decine di volte, contrabbandate sui social network da persone che rivestono incarichi istituzionali e incapaci di trattenersi da esternazioni tanto discutibili.
Dalla pseudoscienza al misticismo il passo è breve. Si arriva così al giornalista tv Antonio Socci che se la prende con papa Francesco che mentre "il terremoto devasta la terra di San Benedetto cuore dell'Europa Cristiana rende omaggio a Lutero che ha distrutto la cristianità", mentre a giudizio del giornalista, "dovrebbe consacrare l'Italia mettendola sotto il patrocinio della Madonna".
Nella pagina Facebook di Socci, che per scelta della Rai è anche direttore della scuola di giornalismo RadioTelevisivo di Perugia, decine di utenti si lanciano così alla ricerca di segni divini che mettano in collegamento il sisma con le mosse di Bergoglio. Ragionamenti che ricordano le recenti affermazioni del viceministro israeliano Ayoub Kara secondo cui il sisma era una punizione per la posizione dell'Italia sulla votazione Unesco.
Il pensiero antiscientifico nelle sue diverse forme non è quindi confinato in una nicchia, ma è anzi legittimato da esponenti istituzionali, intellettuali e vip che contribuiscono a diffonderlo. E trova terreno fertile in una popolazione arrabbiata e sfiduciata da anni di crisi, con scarsi anticorpi culturali. Secondo l'ultimo rapporto Piaac dell'Ocse , gli italiani tra i 16 e i 65 anni si collocano all'ultimo posto su 24 paesi occidentali quando si parla di "competenze alfabetiche", la capacità cioè di "comprendere, valutare, usare ed essere impegnati nella lettura di testi scritti al fine di partecipare alla vita sociale e sviluppare conoscenza". E quanto possa essere dannoso lo si scopre ogni volta che la terra trema.