Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

martedì 24 maggio 2011

Milano, Italia /2

La mutazione del centrodestra
P.G. Battista, Corriere della sera - 23 maggio 2011

Chi si stupisce dei «toni» sconsideratamente aggressivi delle (perdenti) campagne elettorali del centrodestra non riesce ad ammettere che proprio questo è diventato il centrodestra al termine di una lunga e inarrestabile mutazione genetica. L`immagine del suo stato maggiore con il bavero traboccante di onorificenze di regime sta oramai allo «spirito del`94» come le parate dei papaveri della gerontocrazia castrista all`Avana stanno alla generosa e scalcagnata epopea dei barbudos combattenti nella Sierra Maestra. Ogni afflato liberista si è spento nei dogmi di un neo-statalismo invasivo, dirigista, sfrenatamente spartitorio. Le invettive surreali di Giovanardì contro i «femminielli» e la pubblicità pro-gay dell`lkea hanno seppellito ogni residuo libertario. L`estromissione del reprobo Fini decretata in una riunione estiva a porte chiuse da un`oligarchia frettolosamente convocata nella residenza del Capo, ha posto una pietra tombale su ogni traccia di spirito liberale.
La rivolta contro le tasse ha perso gli artigli: ora l`obìettivo non è la drastica e liberatoria diminuzione del carico fiscale, ma il decentramento (il «federalismo fiscale») degli esattori che esigono tributi altrettanto esosi. La guerra culturale contro l`egemonia della sinistra si è irrigidita nell`istitutuzione di kommissioni governative appositamente concepite per la censura preventiva dei libri scolastici o nella promozione di fiction televisive sul Barbarossa sanamente disertate al botteghino. «Liberalizzazione» è diventata una brutta parola, la «privatizzazione» addirittura un difetto attribuito alla sinistra. Il garantismo è solo per uno, o per i pochi che si stringono attorno all`uno. Per il resto, giustizialismo feroce, speranza nella demolizione giudiziaria del nemico, devastazione dell`altrui privatezza proprio quando si invoca, giustamente, il principio della riservatezza e si denuncia l`irruzione dello Stato nella privacy.
Si è inabissata una politica estera di marca atlantista, con la riduzione allarmistica dei sommovimenti nel mondo arabo alla questione di ventimila profughi approdati in Italia e con la rilassata frequentazione di dittatori indicati come modelli positivi e affidabili partner negli affari tra gli Stati: qualcosa di molto più impegnativo di un normale e universale tasso di ipocrisia da realismo politico. La casa della libertà è diventata la casa del divieto, dal divieto per le innocue coppie di fatto a quello per le trasmissioni televisive antipatiche.
Il «merito», perno e cardine di ogni rivoluzione liberale che sì rispetti, si è perduto per strada. I lacci e i lacciuoli che soffocano l`economia e la società restano inalterati.
L`elettrizzante follia del «milione di posti di lavoro» si è deformata nella promessa di campi da golf a Lampedusa e nell`acquisto di una casa in loco (a proposito: quel benedetto rogito è stato alla fine firmato?). Altro che toni sbagliati.


Alle radici del malessere
E. Galli della Loggia, Corriere della sera - 23 maggio 2011

Cascano le braccia davanti alla cecità politica che sta dimostrando in queste ore la destra nella campagna per Milano. Ma davvero si può pensare che dilagare sui telegiornali, promettere ministeri, togliere multe, elargire mance e favori possa rovesciare un risultato che ha cause politiche profonde? Per carità: magari il ballottaggio di domenica assegnerà la vittoria a Letizia Moratti, chi può dirlo?, ma se ciò accadrà sono sicuro che accadrà solo perché, pur di non consegnare la città agli avversari, l'elettorato di destra si ricompatterà e tornerà alle urne che aveva disertato una settimana fa. Non certo perché ammaliato dall'ennesima concione berlusconiana o dal miraggio di qualche improbabile ministero alla Bovisa elargito da Bossi.
La destra dovrebbe convincersi che ciò che soprattutto le sta togliendo il consenso del Paese (Milano inclusa) — oltre qualche intemperanza, chiamiamola così, della vita privata del suo leader: ma in misura che io credo assai poco rilevante — non dipende in realtà dall'economia. Dipende da qualcos'altro che va al di là delle pur non facili condizioni di vita di tanti cittadini. Sostanzialmente dipende dal fatto che molti elettori di destra hanno cominciato a perdere fiducia nella capacità di Berlusconi e dei suoi di capirli e di rappresentarli in generale. Al contrario di ciò che spesso pensa la sinistra, non è per nulla vero, infatti, che a destra ci siano solo interessi, e per giunta quasi sempre bassi e talora inconfessabili. C'è una visione organica dell'Italia, dello Stato e delle sue amministrazioni, dei valori e dei rapporti sociali (oltre che, va da sé, di quelli economici).
E per l'appunto con tutto ciò — proprio del loro elettorato, ma in molti casi non solo — che Berlusconi e i suoi stanno mostrando di non riuscire più a essere in sintonia. Da un'infinità di tempo essi hanno abbandonato le grandi questioni generali, spesso di alto valore simbolico. Si sono spesi solo su due di esse: quelle riguardanti il fine vita e la giustizia. Ma si tratta di due questioni circa le quali era troppo evidente da un lato l'interesse elettoralistico per il voto cattolico, e dall'altro l'interesse personale del leader (senza contare peraltro che in entrambi i casi hanno combinato poco o nulla). Il fatto è che Berlusconi e i suoi non riescono più a dare voce al proprio retroterra, a esprimerne il punto di vista, circa il modo in cui il Paese dovrebbe essere, circa i contenuti virtuosi che un'Italia di destra potrebbe/vorrebbe avere, e che sarebbe sciocca faziosità pensare che non possano esistere.
I governi delle democrazie — che siano di destra o di sinistra — non esercitano il potere solo per spendere o per distribuire risorse. Esistono anche per difendere chi si trova in posizioni di svantaggio, per tutelare gli interessi generali, per aiutare a vivere meglio. E su questo piano soprattutto che il governo della destra italiana non è stato capace di agire e di trasmettere un messaggio in grado di arrivare all'opinione pubblica. Innanzitutto alla «sua» opinione pubblica.
E minaccia di proseguire sulla medesima strada anche nel momento in cui, come adesso, progetta la riscossa per il dopo elezioni amministrative: avendo occhi cioè solo per l'economia, pensando che lì stia l'alfa o l'omega di tutto. Ripeto: non è così. Ci sono moltissime cose, e importantissime, che esso potrebbe fare senza spendere un quattrino. Qualche esempio? Che so, stabilire un efficace sistema di controllo (e di sanzioni!) sull'andamento dei prezzi della benzina e dell'assicurazione Rc auto attualmente sottoposti al totale arbitrio speculativo dei petrolieri e delle società assicurative; sottrarre ai Comuni e alle Province meridionali ad alta presenza criminale la gestione degli appalti pubblici superiori a un certa cifra e concentrarla nelle prefetture; contrattare con le Poste l'apertura fino alle 18 per tutti gli uffici postali (perché in Francia sì e in Italia no?); liberalizzare l'orario dei negozi, abolire il numero chiuso dei notai, delle licenze delle farmacie, e cancellare l'ordine dei giornalisti (chiedo scusa a tutte le redazioni d'Italia, ma non è decente fare i liberali sulla pelle degli altri); ridare piena attuazione al divieto contenuto nell'antico decreto Galasso di qualunque costruzione fino a trecento metri dalla linea di costa, magari estendendolo a cinquecento metri e, visto che ci siamo, stabilendo altresì il divieto di costruire dovunque le mostruose pale eoliche che stanno deturpando la Penisola. E così di seguito per decine e decine di altri possibili argomenti: semplicemente attingendo alla realtà italiana che è sotto gli occhi di tutti.
Ho il sospetto che leggendo i suggerimenti ora avanzati ci sarà certamente qualcuno che penserà che si tratta di un tentativo di correre in soccorso del berlusconismo. Non è così. Il fatto è che di fronte alla crisi evidente della coalizione di governo —ancora forte tuttavia di una maggioranza, e quindi tutt'altro che disposta ad abbandonare — c'è una parte del Paese che per i prossimi due anni giudica inevitabile, e alla fin fine si augura, il marasma, la rissa continua e la paralisi di tutto; e un'altra parte, invece, che pensa che il governo, se vuole, può ancora provare a fare qualcosa di utile prima di presentarsi al giudizio del corpo elettorale. Il che però, mi pare, non merita il nome di berlusconismo: si chiama semplicemente carità di patria.

lunedì 23 maggio 2011

Milano, Italia

Elezioni amministrative, per il Pdl è pareggio. Anche coi bilanci fanno così.

La cognata di Pisapia perde il controllo dell’auto e sfonda la vetrina di un negozio. È un sostanziale parcheggio.

A Milano Pisapia stacca la Moratti. Per le strade caroselli di auto rubate.

Grave errore dare del ladro a Pisapia: molti del Pdl lo hanno votato.

“Letizia Moratti è una donna fuori dal comune”. Speriamo.

Dimezzate le preferenze di Berlusconi. Dunque ora si accontenta di una seconda?

Casini: “Di dare indicazioni di voto non ce l’ha mica ordinato il dottore”. Ma il commercialista.

La Lega: “Non ci faremo trascinare a fondo”. Laggiù è pieno di negri.

Salvini: “La Lega non è di destra”. Ormai non puoi più essere razzista che vieni subito etichettato.

Il più potente economista mondiale avrebbe cercato di sodomizzare una cameriera. Non si vive di sole metafore.

«Tutti sapevano che Strauss-Kahn soffriva di una debolezza, per non dire di una patologia sessuale simile a quella di Berlusconi. Non capisco come Sarkozy lo abbia potuto candidare al Fmi, rovinando la reputazione della Francia». (Marine Le Pen)

Pisapia: “Abbiamo raggiunto la luna con un aereoplanino di carta”. Sì, ma ora passala.