Per quanto gli indizi siano preoccupanti, possiamo anche lasciarli
da parte. L’attuale presidente degli Stati Uniti è un uomo che fino all’anno della sua vittoria elettorale
ha negoziato con Mosca la costruzione di un grattacielo da cui avrebbe
tratto grandi benefici e soprattutto moltissima pubblicità.
Lo stesso uomo avrebbe trascorso – è solo una voce, ma ribadita più
volte – una notte più che agitata in un albergo della capitale russa,
registrata dai microfoni dell’Fsb, i servizi segreti, l’ex Kgb. E come
dimenticare, infine, che nella squadra che ha gestito la campagna
elettorale di Donald Trump c’era almeno una persona molto vicina al
Cremlino ansioso di veder vincere il magnate da accanirsi contro
Hillary Clinton, con i risultati che conosciamo?
A qualsiasi autore di romanzi di spionaggio basterebbe uno solo di
questi elementi, anche la voce di corridoio, per scrivere un best seller
sull’agente russo che occupa l’ufficio ovale. Ma dobbiamo andare oltre
questi fatti. Come ha sottolineato un articolo del sito Globalist,
non c’è alcun bisogno di cercare prove di una collaborazione tra il
presidente degli Stati Uniti e i servizi segreti russi. Anche se Trump
fosse davvero un agente dell’Fsb, infatti, non avrebbe potuto fare più
di quello che ha fatto.
L’ombrello chiuso della Nato
Sovietica o postcomunista, da settant’anni la Russia cerca di seminare
discordia tra gli Stati Uniti e l’Europa. Prima d’ora non si era mai
avvicinata all’obiettivo, perché la Francia era sempre rimasta al fianco
di Washington nei momenti più gravi e gli altri paesi europei avevano
deciso di affidarsi alla diplomazia americana per garantire la propria
sicurezza.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Atlantico non ha più
diviso le due sponde, con l’Europa e gli Stati Uniti a formare, dal
punto di vista strategico, un unico mondo compatto. La Nato aveva
eliminato l’oceano, fino all’avvento di Trump, che durante la campagna
elettorale ha messo in dubbio l’automaticità del soccorso di Washington
agli alleati europei (a cominciare dagli stati baltici) e in seguito ha
espresso a più riprese il suo disprezzo per l’Alleanza atlantica, che a
suo dire costerebbe troppo.
La pressione sugli stati baltici è diventata credibile, le
inquietudini dei polacchi sono rafforzate e la sorte dell’Ucraina è
ormai decisa
Perfino il presidente ungherese Viktor Orbán, uomo ideologicamente
molto vicino a Trump, chiede la creazione di una difesa europea dato che
l’ombrello americano sembra essersi chiuso. L’Alleanza si è infranta
perché non esiste più fiducia. Questo non significa che Vladimir Putin
si prepari a invadere l’Unione europea. Non ne avrebbe i mezzi
finanziari e militari, e comunque non ne ha bisogno. Ma la pressione
sugli stati baltici è diventata credibile, le inquietudini dei polacchi
sono rafforzate e la sorte dell’Ucraina è ormai decisa.
Kiev dovrà negoziare un modus vivendi con il Cremlino e accettare non
solo l’annessione della Crimea ma anche l’autonomia delle regioni
orientali e il loro passaggio sotto un protettorato russo. Ormai non ci
sono più contrappesi alle azioni di Putin sul continente europeo. In
attesa di dotarsi di una vera difesa, l’Unione dovrà convivere con
questa realtà, e comincia già a farlo.
L’avversario occidentale
Il secondo sogno russo realizzato da Putin è l’Unione europea
accerchiata da tutti i lati. La Casa Bianca ha applaudito apertamente la
Brexit, ha criticato la scarsa decisione con cui Theresa May sta
gestendo l’uscita dall’Unione e ha definito il desiderio di unità degli
europei come una minaccia per la preminenza economica degli Stati Uniti.
L’Unione, a questo punto, ha un avversario a ovest, proprio nel momento
in cui il caos del sud la colpisce sempre di più e la Russia accentua
le sue prove di forza alla frontiera baltica e il suo appoggio alle
nuove estreme destre che vorrebbero distruggere l’Europa unita.
Il ritiro dalla Siria
Contro l’Unione europea esiste un’alleanza de facto fra Trump e Putin.
Il presidente degli Stati Uniti, come se non bastasse, ha realizzato
anche un terzo sogno del Cremlino, lasciando che la Russia ritornasse in
Medio Oriente. È innegabile che Barack Obama avesse avviato questo
processo rifiutando di colpire l’aviazione di Bashar al Assad insieme
alla Francia, ma è altrettanto vero che Trump ha trasformato il più
grande errore del suo predecessore in una strategia politica,
annunciando il ritiro delle truppe dalla Siria.
Il processo ha subìto un rallentamento, ma di per sé l’annuncio di
Trump ha evidenziato come ormai gli Stati Uniti non vogliano più
impegnarsi in Medio Oriente né in Europa. Ora tocca alla Russia fare da
arbitro in Medio Oriente, alleandosi con l’Iran e contemporaneamente
permettendo a Israele di opporsi alla costruzione di basi iraniane alla
sua frontiera.
Lasciamo ai romanzieri la penna, l’immaginazione e le storie di
spionaggio. Trump non è pagato dall’Fsb. La realtà è ancora più
pericolosa: i suoi interessi e la sua politica convergono con quelli del
Cremlino, con la Russia revanscista di Vladimir Putin.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sulla rivista francese Challenges.
Gino Strada: "Siamo governati da una banda
per metà fascisti e per metà coglioni"
Il fondatore di Emergency: "La fortezza Europa è
un'idea hitleriana"
"Gli esseri umani non sono sacchi di patate, che vengono dirottati, tu
ne prendi 10, io 15. Ma dico siamo impazziti? Questo è un mondo di barbari. Qui
stiamo tornando con le stesse logiche di tempi che speravamo non dovessero più
ripresentarsi. Questa idea di un europa che si chiude con muri è un'idea che ha
un nome molto chiaro: l'idea della fortezza europa è un'idea hitleriana".
Lo dice Gino Strada, fondatore di Emergency 'Circo Massimo' su Radio Capital.
Strada continua: "Siamo di fronte a un governo razzista e fascista che
non ha nessun problema a lasciar morire persone. Non è una grande novità perché
questo terreno è stato preparato dal governo precedente e dal ministro degli
Interni precedente".
Il Movimento 5 stelle sulla linea di Salvini, spiega, "è un segnale
terribile. Quando alla fine si è governati da una banda dove una metà sono
fascisti e l'altra metà sono coglioni non c'è una grande prospettiva per il
paese".
Di Salvini, Strada dice: "Mi stupisce la completa disumanità di questo
signore. È un atteggiamento che non è soltanto non solidale o indifferente, ma
è gretto, ignorante. È un atteggiamento criminale, questi sono dei criminali,
dobbiamo svegliarci ci stanno ammazzando la gente sotto i nostri occhi e li sta
ammazzando un governo che, purtroppo, molti italiani hanno anche assecondato e
votato". Per il medico "il nuovo fascistello, che indossa tutte le
divise possibili eccetto quella dei carcerati, non ha preso il 90 per cento dei
voti".
Il fondatore di Emergency prosegue: "I cittadini devono organizzare
una resistenza di fronte a questa nuova barbarie, a questo nuovo fascismo misto
a incompetenza e a bullismo che sta dilagando. Credo che gli italiani non siano
questi mostri che vengono dipinti, ma siano sempre stato un popolo molto
solidale e aperto. Sarebbe ora di farsi sentire. Mi rifiuto di credere che in
Italia ci sia stato questo cambiamento antropologico in pochi anni".
Pronta la risposta di Matteo Salvini. Gino Strada, afferma, mi definisce
oggi "disumano, gretto, ignorante, fascistello, criminale". Solo???
Evidentemente la fine della mangiatoia dell'immigrazione clandestina li sta
facendo impazzire. L'Italia ha rialzato la testa, possono insultarmi mattina,
pomeriggio e sera: tutte medaglie, io non mollo!!! Grazie amici, vi voglio
bene, e a chi ci odia mandiamo baci"
Diciotti, il Tribunale su Matteo Salvini: “Era un obbligo salvarli, ma pose veto arbitrario per finalità politiche”
Per il Tribunale dei
ministri di Catania fu "illegittima la privazione della libertà dei
migranti" e il vicepremier era consapevole che a bordo c'erano minori
non accompagnati. Secondo i magistrati le dichiarazioni dei prefetti
sulla richiesta di un porto sicuro furono "rettificate". Il capo del
Dipartimento immigrazione: "Bloccata la catena di comando"
di Alberto Sofia e Giovanna Trinchella
Il Fatto Quotidiano, 24 Gennaio 2019
Era un obbligo salvarli. Questo significava non solo fornire un luogo
sicuro, ma garantirne la sicurezza, le necessità primarie – come il
cibo, un alloggio, le cure mediche – e anche il trasporto a una
destinazione vicina e finale. Ma i 177 migranti della Diciotti – tra cui 27 ragazzini tra i 14 e i 16 anni e due bambine – rimasero cinque giorni a bordo di una nave ormeggiata sotto il sole
in piena estate dopo aver affrontato un estenuante viaggio durato
numerosi giorni. A quella destinazione vicina o finale pose
“arbitrariamente il proprio veto” Matteo Salvini per “finalità politiche”.
È lunga 53 pagine la relazione con cui il Tribunale dei ministri di Catania, presidente Nicola La Mantia e giudici Sandra Levanti e Paolo Corda, chiede al Senato di procedere contro il ministro dell’Interno per sequestrato aggravato dall’abuso di potere e perché era consapevole
che sulla nave militare, di fatto territorio italiano, c’erano minori
non accompagnati. “Non c’erano ragioni tecniche ostative allo sbarco bensì la volontà politica del senatore Salvini
di portare all’attenzione dell’Ue il caso Diciotti per chiedere –
scrivono i giudici – ai partner europei una comune assunzione di
responsabilità del problema della gestione dei flussi migratori,
sollecitando una redistribuzione dei migranti sbarcati in Italia”. Dal
20 al 25 agosto quelle persone furono private della loro libertà. Sulla
nave “c’erano condizioni precarie” e il leader della
Lega, sostengono i giudici, lo sapeva. I giudici individuano una data
ben precisa in cui il reato ha inizio ovvero quando, dopo aver sbarcato a Lampedusa 13 migranti che necessitavano di cure mediche, la Diciotti attracca a Catania.
Il sequestro, per i magistrati, inizia il 20 agosto “allorquando,
previa indicazione formale del Pos (Place of saferty ovvero il porto
sicuro), veniva autorizzato lo sbarco dei migranti“. Ma
in realtà rimasero tutti in attesa di un via libera che sembrava non
arrivare mai. Salvini non ha depositato memorie, né ha depositato
memorie. Ma in quei giorni in cui il vicepremier non indietreggiava di
un millimetro contemporaneamente sosteneva che voleva essere processato.
“Illegittima privazione della libertà dei migranti” I magistrati citano la Costituzione e
ovviamente tutte le convenzioni internazionali che regolano il soccorso
in mare per sostenere l’individuazione di un reato che prevede come pena
massima 15 anni. “Occorre chiarire quali siano i doveri degli Stati,
le relative competenze e i limiti di discrezionalità esistenti nella
gestione del fenomeno del soccorso in mare, che coniuga aspetti di
assoluto rilievo costituzionale, quali quelli attinenti al diritto alla vita, alla libertà e al rispetto della dignità umana,
nonché alla gestione dei flussi migratori e alle correlate
problematiche inerenti alla sicurezza e all’ordine pubblico di uno Stato
sovrano…. Va osservato – ricordano i giudici -. come l’obbligo di
salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e
prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al
contrasto dell’immigrazione irregolare… Le convenzioni, cui l’Italia ha
aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dell stato…
assumendo rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna”.
E, in base agli art.10, 11 e 117 della Costituzione, “non possono
costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali
dell’autorità politica”.
Salvini, nella sua qualità di ministro, per i giudici ha violato quelle
convenzioni “non consentendo senza giustificato motivo al competente
Dipartimento per le Libertà Civili per l’Immigrazione – costituente articolazione del ministero dell’Interno – di esitare tempestivamente la richiesta di POS (place of safety) presentata formalmente da IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Center) alle ore 22.30 del 17 agosto 2018, bloccava la procedura di sbarco dei migranti, così determinando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale
di questi ultimi, costretti a rimanere in condizioni psico-fisiche
critiche a bordo della nave “U.Diciotti” ormeggiata nel porto di Catania
dalle ore 23.49 del 20 agosto e fino alla tarda serata del 25 agosto,
momento in cui veniva autorizzato lo sbarco. Fatto aggravato dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale
e con abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché per
essere stato commesso anche in danno di soggetti minori di età”.
“Attendismo per finalità politiche”, Tribunale non censura
I giudici chiamano “attendismo” il comportamento di Salvini e
individuano anche le “finalità politiche” di non dare esito sin dal 17
agosto alla richiesta di un porto sicuro. “Dopo l’insediamento del nuovo
governo, il senatore Matteo Salvini, nella sua qualità di ministero
dell’Interno, pur rimanendo inalterata la procedura amministrativa” per
assegnare il Pos (Palce of safety) “ha ritenuto di dare seguito a un
proprio convincimento politico, che aveva costituito uno dei cardini della campagna elettorale
quale leader del partito della Lega, secondo cui i migranti giunti nel
nostro territorio nazionale non sbarcherebbero in Italia bensì in Europa
con la conseguenza che il correlato problema dell’accoglienza dovrebbe
essere gestito a livello europeo, con una ripartizione degli Stati
membri dell’Ue… Dunque l’unica vera ragione che ha indotto il ministro a
non autorizzare tempestivamente lo sbarco è da rinvenire nella sua ‘decisione politica’
di attendere l’esito della riunione che si sarebbe tenuta” il 24 agosto
al livello europeo per il caso. I giudici si sono chiesti se al
responsabile del Viminale dovesse essere applicata la scriminante
(articolo 51 cp) che contempla l’esercizio di un diritto o adempimento
di un dovere. Ma la risposta è stata no, perché secondo i magistrati lo
sbarco dei 177 non poteva costituire “un problema cogente di ordine
pubblico per diverse ragioni”. “Strumentale e illegittimo utilizzo di una potestà amministrativa”
Secondo il Tribunale “le scelte politiche
o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale non possono
ridurre la portata degli obblighi degli Stati” e ricordano come la Corte
costituzionale abbia già evidenziato che la libertà personale è un che
“non può subire attenuazioni”. I giudici distinguono tra atto politico,
che è insindacabile, e atto amministrativo “adottato sulla scorta di
valutazioni politiche” ed è in questo ultimo campo che inseriscono
l’azione di Salvini. Per questo i giudici aggiungono che “va sgomberato
il campo da un possibile equivoco e ribadito come questo Tribunale
intenda censurare non già un “atto politico” dell’esecutivo “bensì lo strumentale ed illegittimo utilizzo di una potestà amministrativa
di cui era titolare il dipartimento delle libertà civili per
l’immigrazione che costituisce articolazione del ministero dell’Interno
presieduto dal senatore Salvini, essendo stata l’intera vicenda –
ragionano i giudici – caratterizzata da un’evidente presa di posizione
di quest’ultimo, che ha bloccato e influenzato l’iter della procedura
amministrativa. Dietro l’attendismo che ha portato il
ministro dell’Interno a non esitare tempestivamente la richiesta di Pos
formulata in data 17 agosto da Mrcc Roma, non c’erano ragioni tecniche
ostative allo sbarco bensì la volontà politica del senatore Salvini
di portare all’attenzione dell’Ue il caso Diciotti per chiedere ai
partner europei una comune assunzione di responsabilità del problema
della gestione dei flussi migratori, sollecitando una redistribuzione
dei migranti sbarcati in Italia”.
Capo immigrazione: “Fu bloccata catena di comando” Tra gli atti inviati a Palazzo Madama c’è anche il
verbale il capo del Dipartimento delle libertà civili e immigrazione del
Viminale, il prefetto Gerarda Pantalone, proprio in merito alla mancata
assegnazione del Pos alla Diciotti. “Il ministro dell’Interno non ha ancora formalmente comunicato il Pos
(il porto sicuro, ndr.) e quindi tutta la catena di comando, dal centro
verso la periferia, rimane bloccata in attesa delle determinazioni di
carattere politico del signor ministro dell’Interno”. Nelle 53 pagine di
provvedimento i giudici affermano che il centro di coordinamento dei
soccorsi di Roma (Imrcc) ha avanzato al Dipartimento tre diverse
richieste di Pos, il 15, il 17 e il 24 agosto. E ci sono state “rettifiche sospette” da parte dei prefetti del Viminale ascoltati dai magistrati.
Per accertare la “rilevanza penale” delle tre richieste, aggiungono,
va preliminarmente stabilito quale di queste debba essere considerata
“tipica”, vale a dire “idonea a fondare in capo al Dipartimento
l’obbligo normativo di provvedere tempestivamente”. Secondo i giudici la
prima, quella del 15, deve essere ritenuta “atipica”, dunque priva dei
presupposti normativi. Diverso il discorso su quella del 17 che gli stessi protagonisti hanno definito ‘formale’. La
definisce così, ad esempio, la stessa Pantalone quando fa riferimento
“all’ordine ricevuto dal prefetto Piantedosi, capo di gabinetto del
ministro dell’Interno e costantemente in contatto” con Salvini. “Il 17
agosto, intorno alle 22.30, Mrcc ha avanzato una formale richiesta di
Pos…è stata girata al prefetto Piantedosi il quale ribadì che non poteva
indicare un Pos e che occorreva attendere”. Parole confermate dal
vicario del Dipartimento, il prefetto Bruno Corda, che in quei giorni
era in servizio. “Il 17 agosto è pervenuta al mio ufficio una vera
richiesta di Pos”. Corda informa anche lui Piantedosi e anche a lui il
capo di Gabinetto dice “di attendere disposizioni…”.
Prefetti rettificarono dichiarazioni su richiesta del porto sicuro Entrambi i prefetti però, dicono i giudici, sentiti
nuovamente dal Tribunale dei ministri di Palermo il 25 settembre
“rettificano le precedenti dichiarazioni, qualificando la richiesta di
Pos del 17 agosto come ‘anomala’”. Una circostanza “alquanto peculiare”.
E aggiungono: “al di là della ‘sospetta’ rettifica delle precedenti dichiarazioni
da parte dei prefetti Pantalone e Corda, è convincimento di questo
tribunale…che la richiesta del Pos del 17 agosto presentasse tutti i
requisiti che giustificassero una pronta risposta da parte del
competente Dipartimento del ministero dell’Interno”. Dunque, concludono
i giudici, “l’omessa indicazione del Pos” dopo la richiesta delle 22.30
del 17 agosto “da parte del dipartimento per le libertà civili e
immigrazione, dietro precise direttive del ministro dell’Interno, ha
determinato…una situazione di costrizione a bordo delle persone soccorse
fino alle prime ore del 26 agosto (quando veniva avviata la procedura
di sbarco a seguito dell’indicazione del Ps rilasciata nella tarda
serata del 25) con conseguente apprezzabile limitazione della libertà di
movimento dei migranti, integrante l’elemento oggettivo del reato
ipotizzato”. I giudici ritengono anche che vada “censurata la dichiarazione”
del capo di gabinetto del ministro Matteo Salvini resa al Tribunale dei
ministri sulla vicenda della nave Diciotti. Secondo Piantedosi, che era
stato indagato dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio per
sequestro di persona, “nonostante la nave fosse ormeggiata al porto di
Catania per numerosi giorni non avrebbe determinato alcuna violazione
della convenzione SAR e dei susseguenti protocolli attuativi“.
Indossare
l'uniforme significa mandare messaggi pericolosi per la democrazia ed è come
dire: la polizia è cosa mia. Ma non è così
di ROBERTO SAVIANO
La Repubblica, 11 gennaio 2019
Nelle democrazie le forze dell'ordine vivono di quel
delicatissimo equilibrio che si fonda sull'equidistanza tra le forze politiche.
Al contrario, nelle dittature, i tiranni indossano sempre la divisa, che non è
banale teatralizzazione del potere, ma serve a mandare un messaggio preciso:
l'esercito risponde a me, a me soltanto e a nessun altro. Fidel Castro
ha indossato la divisa nelle apparizioni pubbliche per decenni, la logica era
la solita utilizzata nei paesi del socialismo reale: l'esercito è il popolo, io
sono il capo dell'esercito, io sono il conduttore del popolo.
Attaccare Fidel Castro significava avere l'esercito (e tutte le forze dell'ordine)
contro. Fidel Castro dismise la divisa militare in rare occasioni: quando
incontrò Giovanni Paolo II nel 1998 per esempio; in quel caso mise da parte il
suo ruolo di caudillo e si sottopose a un possibile confronto che infatti portò
alla liberazione di diversi detenuti politici.
Gheddafi indossava la divisa militare perché fosse chiaro che
il suo era principalmente un ruolo militare, un potere militare, preso con le
armi e mantenuto con le armi. La Libia era la caserma del Colonnello Gheddafi
che ebbe la civetteria populista di definirsi Colonnello, perché Generale era
il popolo (ossia nessuno, essendo il potere assoluto in Libia nelle mani del
solo Gheddafi e della sua famiglia). Mussolini dismette l'abito borghese e inizia a indossare fez e divisa
quando decide che lo Stato e il fascismo debbano coincidere e quindi chiunque
lo critichi è fuori dalla legalità. Da quel momento le critiche a Mussolini e
al fascismo diventano un problema di polizia.
In guerra, anche i leader democratici hanno indossato la divisa. Uno su tutti, Winston
Churchill. Con l'Inghilterra ufficialmente in guerra, indossare la divisa
significava essere a capo delle forze armate di uno Stato in guerra.
A Yalta, tra i big three (Roosevelt, Stalin e Churchill), Stalin decise di
indossare la divisa di Generalissimo dell'Armata Rossa (titolo che si era
autoattribuito) mentre Roosevelt partecipò in abiti borghesi: in quel
modo ribadiva il suo ruolo di presidente ben diverso da quello del generale
Eisenhower.
Applicare oggi queste interpretazioni a Salvini può sembrare ridicolo per la
mediocre caratura del personaggio, ma la sua mediocrità non deve fuorviarci.
Cosa significa per lui (e per chi lo osserva e subisce) indossare quella
divisa? Che se io critico o contrasto il ministro dell'Interno avrò la Polizia
contro? Significa che la Polizia condivide le azioni politiche del ministro
dell'Interno? In questo caso ci sarebbe da temere la trasformazione della
Polizia di Stato in un organismo politico.
E qui vale la pena fare una precisazione che non è affatto scontata: la Polizia
dipende dal ministero dell'Interno, non dal ministro, e non è questione di lana
caprina. È esattamente per questo motivo che la Polizia ha un capo della
Polizia che non è il ministro dell'Interno. Il ministro dell'Interno - come il
primo ministro - quando indossa la divisa lo fa come gesto solidale che è
accettabile esclusivamente in occasioni formali. Per esempio tutti i
presidenti, i presidenti del Consiglio e i ministri quando vanno a trovare i
soldati in missione all'estero, indossano la divisa perché quel giorno è un
giorno da soldato.
Non solo: in zone di guerra, che i vertici politici non siano individuabili è
una misura di sicurezza e non vuota formalità. Anche nei giorni commemorativi
indossare la divisa ha un significato istituzionale, ma indossare la divisa in
occasioni diverse da questa sa solo di propaganda politica che si tramuta in
gesto autoritario.
Il messaggio che chi indossa la divisa fuori contesto sta dando è un messaggio
pericolosissimo per la democrazia. Questo vale per tutti e vale ancora di più
per Matteo Salvini, leader di un partito che non ha una storia di
legalità da vantare.
La Lega non è stata in grado di arginare - e in parte forse non ha voluto - la
diffusione del potere 'ndranghetista nel nord Italia; la Lega deve ai cittadini
italiani 49 milioni di euro e, sempre la Lega, in Calabria si è legata
politicamente a figure poco specchiate: mostrandosi oggi con la divisa della
Polizia, Salvini spera di poter cancellare tutto questo e dire non
semplicemente "io sto dalla parte della legalità" (ci mancherebbe
pure che il ministro dell'Interno non lo fosse!), ma "io sono la
legalità".
Salvini usa la scorciatoia propagandistica per non rispondere delle
responsabilità politiche sue e del suo partito. Ma la cosa più grave è che
utilizza la Polizia, un organo dello Stato che in democrazia è autonomo
rispetto ai partiti politici, a tutti i partiti politici, per finalità
personali.
Indossare le divise, come fa Salvini, significa mandare messaggi a chi fa parte
delle forze dell'ordine. Significa avere un atteggiamento intimidatorio verso
chi non dovesse avere simpatia per le posizioni politiche del ministro.
Significa creare, per ogni divisa indossata, una frattura tra chi quella divisa
la indossa ogni giorno, per lavorare e non per fare propaganda politica.
Ciascuno ha le sue idee politiche, ma se servi il Paese, prima della tua parte
viene lo Stato. Indossare le divise durante i comizi significa dire: la polizia
è cosa mia. E lo Stato non è Matteo Salvini. E lo Stato non è la Lega. Questo,
a Salvini, ogni tanto vale ricordarlo.
Roberto Saviano all'HuffPost: "La camorra delle paranze punta di nuovo
sul racket"
"La bomba a Sorbillo è un atto gravissimo. Il messaggio è 'Dovete
entrare nella nostra economia'. La passerella di Salvini sarà il solito
teatro". E non è clemente né con M5s né con De Magistris...
Roberto
Saviano, è tornata a esplodere una bomba nel centro di Napoli. Di fronte alla
pizzeria Sorbillo, uno dei luoghi simbolo della Napoli famosa nel mondo. Che
significa?
È un atto
gravissimo l'attentato a Sorbillo. Il centro storico è un territorio che da
anni sconta la presenza asfissiante di una camorra nuova, la camorra delle
paranze. Che, seppur aggredita, non solo non è sconfitta ma fonda il suo
controllo militare sull'estorsione, una pratica che per esempio la
"storica" famiglia Giuliano aveva per anni dismesso. Le paranze
introducono di nuovo il controllo del territorio tramite l'estorsione, questo è
il punto.
Spiegati
meglio.
L'estorsione è
una pratica che spesso genera diffidenza nella popolazione verso il potere
criminale perché è come una tassa ulteriore da pagare. Ed è per questo che
spesso i casalesi rinunciano al racket: i proventi di coca, rifiuti e appalti
sono alti e imporre il pizzo crea una frattura insanabile tra i clan e il
territorio. Così come l'usura, attività che la camorra detesta perché finisce
col diventare una scelta antipopolare e che non porta consenso. E il consenso
serve, sempre, serve in tempo di pace e serve in tempo di guerra, serve per
schermare gli affari e per le latitanze. Quando è che l'estorsione torna ad
essere vantaggiosa da pagare? Quando l'organizzazione ti dà, in cambio, una
serie di servizi. Quindi se tu paghi l'estorsione non solo non subisci rapine,
ma, ad esempio, puoi usufruire dei servizi di imprese edili vicine ai clan a
prezzi più bassi, lo stesso vale per tir e trasporti. Insomma, paghi
l'estorsione e hai accesso a una economia criminale complessa che, assurdo
dirlo, riesce anche a portare vantaggi.
E
la bomba in centro a Napoli contiene questo messaggio.
Certo. Attaccare
Sorbillo significa dire "chiunque faccia affari qui, non importa chi sia e
quanto in alto sia arrivato, deve partecipare alla nostra economia". La
Coca-Cola la devi prendere dalla nostra società di distribuzione, per le
forniture devi parlare con chi diciamo noi, per il catering lo stesso. Le
estorsioni non hanno solo il significato di "paga e zitto", ma
"o accedi alla nostra economia o sei morto". Quindi è più grave di
quel che sembra.
Anche
ad Afragola ieri è scoppiata l'ottava bomba. Che sta succedendo?
Le otto bombe di
Afragola mostrano quello che in realtà su quel territorio non ha mai smesso di
esistere ovvero una competizione spietata tra clan. Il potere del clan Moccia
nel tempo è andato sfibrandosi perché ha tentato una ripulitura borghese. Le
famiglie mafiose ormai, questo succede in tutto il mondo, anche quando fanno il
salto di qualità legale non perdono mai il segmento criminale perché è la loro
forza. È un antico adagio: "Quanto più ti allontani dalla merda, tanto
meno avrai fertilizzante per i tuoi affari". Questo è il modello del
potere criminale, che poi diventa il modello anche per il potere legale e che
si traduce nel concepire l'esercizio del potere con certa disinvoltura. E
dunque, i Moccia hanno rinunciato al loro segmento criminale perdendo presenza
e potere sul territorio. Dagli elementi analitici che sto osservando e che sto
interpretando, queste bombe sembrano parlare più il linguaggio dei gruppi di
San Pietro a Patierno che oggi comandano ad Afragola e la sintassi dei Vanella
Grassi. E quindi l'obiettivo è, ancora una volta, l'estorsione: le bombe
piazzate per dire "dovete entrare nella nostra economia". Su questo
credo che valga la pena di insistere perché sia chiaro che il racket non è,
come le persone pensano, "pistola in bocca e dai i soldi". È certo
anche quello, e cioè arroganza: il "se vengo nel tuo locale non mi fai
pagare", il "se vengo nella tua boutique mi prendo quello che
voglio". Ma significa soprattutto aderire a una intera economia, è come
dire: "tu commerciante dall'estorsione ci puoi anche, in un secondo
momento, guadagnare". Questo è il controllo che vogliono imporre
militarmente, per ottenere il consenso quando le attività sotto estorsione
saranno entrate nel meccanismo nell'economia criminale. Quindi non mi stupisce
per nulla ciò che sta accadendo, anzi sarà sempre peggio.
Sempre
peggio, dici. Qui l'analisi si allarga al tema del radicamento sociale del
fenomeno, alla capacità di generare economia, come dicevamo, dunque opportunità
e sviluppare consenso. Un punto di vista che non esaurisce la risposta solo sul
terreno securitario.
Ma certo. La
disattenzione del governo nazionale è stata abnorme. La campagna elettorale è
stata superficialissima su questi temi. Negli anni si è delegato solo alla
repressione e alle manette la soluzione di questi problemi. Ma manette e
condanne portano a una soluzione relativa, a un contenimento del fenomeno, ma
sono assolutamente inutili per modificarne le origini e le cause. Ovviamente le
paranze che arruolano ragazzini sempre più piccoli e che sono comandate da
ragazzini sempre più piccoli, sono strutture invasive al massimo grado perché
hanno la capacità di poter parlare a tutto un mondo che mai prima di questo
momento era stato protagonista della vita criminale di un territorio: i
ragazzini. E non sono solo figli di camorristi o persone che vengono da un côté
di camorra, ma sono persone che vedono come unica soluzione alla propria vita
il guadagnare subito e tanto. In una realtà dove la disoccupazione è
considerata una piaga sociale ormai endemica, con un tasso di evasione
scolastica che, nei quartieri più poveri, è di un minore su tre, c'è un vero e
proprio esercito di giovanissimi disposti a morire per ottenere la possibilità
di guadagnare all'istante e di essere figo su Instagram. Se vedi, la
comunicazione Instagram dei ragazzi delle paranze di camorra è vincentissima.
Gli (ormai) uomini della paranza di Emanuele Sibillo tutt'oggi sui social
scrivono accanto al loro nome "ES17" fregandosene di poter dare
elementi alla polizia e alle forze dell'ordine. Per contrastare questo sistema
non bastano eserciti o manette, non basta aumentare le condanne: nella storia
umana non si è evitato un solo omicidio aumentando le condanne, nessun crimine
viene fermato dagli ergastoli, sono le riforme, il lavoro, le scuole aperte,
l'investimento nelle associazioni, questo è parte del percorso che non si farà
mai nel sud Italia.
Finora
il sindaco De Magistris si è vantato di aver ripulito almeno il centro di
Napoli e di aver fatto progressi sulla legalità. Questa bomba mette in crisi la
sua narrazione?
De Magistris ha
fatto una narrazione di ripulitura della città che ovviamente non esisteva. Va
detto che è stato lasciato solo, da questo governo e da quello precedente. La
narrazione del governo Renzi è stata drammatica perché ha iniziato a parlare di
cambiamento istantaneo. Dicevano "nella Terra dei fuochi abbiamo
risolto", come dimenticare quel grafico in cui solo il 2% del territorio
risultava contaminato. Dicevano "il Sud sta ripartendo" e a sostegno
c'era la bufala sulla Apple che investe a Napoli. Chiariamoci, ogni iniziativa
economica e di formazione è la benvenuta, ma sembrava che la Silicon Valley si
fosse trasferita a Napoli. Per non parlare dell'attacco a Gomorra e a quello
che ho narrato, che serviva solo a dire "quello è il passato",
"quella Napoli non esiste più", "è un'esagerazione". È
stato tutto sbagliato e in questo errore madornale si inserisce Salvini, che ha
fiuto e intuito da sciacallo, la sua unica qualità in un uomo senza qualità,
quella di sentire quale è la mossa da fare, una mossa che, intendiamoci, è solo
teatrale.
Proprio
Salvini ha già annunciato che sarà a Napoli e poi ad Afragola. Ti indigna
perché è la solita passerella oppure voi dargli un consiglio?
Non succederà
nulla. Andrà a Rigopiano a promettere soldi che non può dare, distrugge le case
abusive e si intesta gli esiti di una inchiesta partita anni e anni prima sotto
altri governi, da parte di procure che non hanno agito su input dati da lui, il
tutto mentre in Calabria si è affidato a persone con una storia compromessa di
'ndrangheta. La Lega è stato il partito con maggiori responsabilità politiche,
politiche ancor prima che giudiziarie, sull'infiltrazione del potere criminale
nel Nord, quindi se c'è una persona con meno vocazione e capacità antimafia
quella è proprio Salvini, ma lui sfrutta da sciacallo qualsiasi occasione
possibile per poter, senza risolvere nulla, intestarsi un intervento. La
passerella ad Afragola e Napoli sarà il solito teatro, che non ha iniziato lui,
ma che lui rende ancora più macchiettistico e volgare, con questo suo vestire
pericolosamente la maglia della polizia in ogni circostanza, ad uso di
propaganda.
Soffermiamoci
su questo uso delle uniformi di Stato. È un modo per ventilare l'uso della
forza come propellente ideologico destinato al consenso?
È un messaggio
pericolosissimo. Quella divisa la puoi indossare in occasioni istituzionali,
non create da Salvini ad hoc, non in una dimensione di parte. È vergognoso,
violento, autoritario come la frase che ama ripetere, il "me ne
frego" dei commenti. Quella divisa, se non la toglie, la democrazia gliela
deve strappare di dosso. Che significa quella divisa? Che se critico Salvini
poi avrò un problema con la polizia? Significa che la polizia assomiglia a
Salvini, al suo modo di agire, di pensare e di comunicare? Ci sarebbe da aver
paura. E cosa sta facendo Salvini? Sta costruendo una istituzione politica? Sta
facendo diventare la polizia una squadra politica? Questo significa quel suo
indossare sempre e non in legittime occasioni istituzionali la divisa?
Afragola
è la città del sottosegretario leghista, Pina Castiello, portabandiera leghista
in Campania e vicina a Vincenzo Nespoli. Parliamo del volto della Lega al sud.
Afragola è un
caso di scuola di una politica ambigua che ha sempre interloquito con la
criminalità organizzata. La storia di Pina Castiello, vicina a Nespoli, mostra
che cosa è davvero quel territorio e come sia quasi completamente affidato alle
organizzazioni criminali, ai meccanismi di riciclaggio, ai sistemi di controllo
militare dove la disoccupazione è un'arma di conquista politica, e dove le
mafie neanche stanno investendo più perché saccheggiano il territorio e portano
via risorse. In questo Sud, Salvini - ricordi l'inchiesta dell'Espresso? -
sapendo di non poter contare su una storia di coerenza, dato che ha solo infangato
e sputato sul Mezzogiorno, si è rivolto alle peggiori clientele del territorio.
Come Nespoli, la cui storia ben conosciamo: la lunga indagine della Procura di
Napoli che parlava di voto di scambio, di concorso in bancarotta fraudolenta e
concorso in riciclaggio e il Senato che, a scrutinio segreto, negò l'arresto.
Tutto questo gli ha portato un potere enorme nel suo feudo di Afragola; un
potere che ha regalato al mondo salviniano. E ora Salvini ad Afragola andrà a
nascondere queste sue responsabilità con la solita messa in scena di lui che
sta dalla parte di chi ha subito le bombe.
Beh,
su questo però non c'è una novità. Non vorrei cadere in un luogo comune, ma è
accaduto per decenni in alcune zone del Sud. Questa complicità con la politica
si è sempre basata su una ipocrisia nella rappresentazione.
Senza dubbio.
Anche Antonio Gava faceva questo: proclamava che Cutolo lo teneva in galera e
la Nuova camorra organizzata era felicissima di queste dichiarazioni perché
tanto, operativamente, si agiva in tutt'altro contesto: continuava a investire,
a fare affari con le banche e qualche arresto era messo in conto. Da sempre la
politica che gioca a fare l'antimafia placa i giornalisti e allontana l'occhio
indiscreto dell'opinione pubblica.
Salvini,
tra le tante cose, ti direbbe che nel tuo ragionamento sulle mafie manca il
tema dell'immigrazione che alimenta, ad esempio, la mafia nigeriana.
Questa è una
fesseria che mi viene sempre detta. Io studio le mafie nigeriane dagli anni
Novanta. E le organizzazione nigeriane presenti a Castel Volturno esistono da
decenni precedenti gli sbarchi. È una cazzata dire che sono frutto
dell'immigrazione. La verità è che la mafia nigeriana è un capitolo della mafia
italiana, al netto della retorica sovranista: gli spacciatori magrebini
rispondono alle mafie italiane, la mafia nigeriana vende a quella italiana. È
un problema drammatico serio, importantissimo, ma può essere affrontato solo
partendo dalle organizzazioni italiane. Tra l'altro mica ci sono solo le
organizzazioni nigeriane. Se vogliamo dire le cose come stanno, ci sono
organizzazioni bulgare, rumene, albanesi, macedoni, turche, moltissime
organizzazioni criminali che si alimentano di migranti senza diritti. Il
problema è l'opposto rispetto a come viene presentato: ogni qual volta si
lasciano migranti senza diritti, si stanno dando eserciti alle organizzazioni
criminali. Più ci sono diritti, per gli italiani e per gli stranieri, più le
organizzazioni perdono manodopera.
Questi
provvedimenti del governo sulla corruzione ti lasciano perplesso proprio sul
terreno della lotto alla mafia?
Sì, sanciscono
il fallimento politico del Movimento Cinque Stelle e dell' imbarazzante
ministro Bonafede. Hanno riempito social e giornali della presunta fine della
corruzione, dopo la presunta fine della povertà e la presunta fine della
criminalità organizzata. Ma la realtà dei fatti è che sono state aumentate le
occasioni propizie per le dinamiche corruttive. L'innalzamento per la soglia
degli affidamenti diretti, senza gara, da 40mila a 150mila euro è l'atto più
grave fatto a favore di crimine organizzato. Chiunque conosca il funzionamento
degli enti locali, soprattutto nel Sud, capisce bene che il governo ha deciso,
invece di semplificare le gare, di mettere in conto un aumento della
corruzione.
Ultima
domanda. Quale è un solo atto di questo ministro dell'Interno che non critichi?
L'avermi
querelato, perché sarà un modo per portare Salvini in tribunale, costringendolo
a dire la verità. E dato che mi ha querelato come segretario della Lega sarà
anche un'occasione per chiarire alcune vicende ancora oscure del suo rapporto
con i 49 milioni di euro che la Lega ha rubato agli italiani. Salvini è un
esponente di punta della Lega da almeno 20 anni, nonostante voglia far credere
di essere arrivato da Marte la settimana scorsa.
I barracelli sardi e la strategia di comunicazione di Salvini
Dopo
le felpe delle città e le varie divise delle forze dell’ordine, il
leader leghista indossa quella del corpo di polizia più antico d’Europa
Qualche giorno fa, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha tirato fuori un nuovo abito dall’armadio. Dopo la pluri-indossata divisa dellapolizia, quella dei vigili del fuoco, quella della guardia forestale e quella dei carabinieri, è stata la volta della tenuta dei barracelli sardi – un capo sicuramente più di nicchia rispetto agli altri. Trattasi della forza di polizia più antica d’Europa, un’istituzione nata nel 1560 e tuttora operativa in Sardegna
a livello locale. Il Ministro dell’Interno l’ha indossata ad Alghero,
dove si trovava per fare campagna elettorale per le suppletive e per le
imminenti elezioni regionali.
“Matteo, questa è la divisa del più longevo corpo di
polizia d’Italia, e la tua personalizzata non poteva che avere i gradi
da comandante“, ha dichiarato Michele Pais,
rappresentante del sindacato autonomo dei barracelli e candidato
leghista al Consiglio regionale, quando ha consegnato la divisa al
Ministro. Il problema è che quello di Pais era un regalo personale, così come personale è il suo posizionamento politico.
Non esistono infatti legami tra i barracelli e la Lega, tanto che i
primi non hanno preso bene il fatto di ritrovare la propria simbologia
sul corpo del leader leghista. “Mi preme fin da subito chiarire,
giusto per evitare equivoci di qualsiasi tipo, che nessun capo di
vestiario è stato consegnato dalla compagnia barracellare di Alghero“, ha sottolineato Riccardo Paddeu, comandante cittadino del corpo di polizia sardo.
Insomma, ne è uscito fuori un polverone, che non è nemmeno il primo:
nelle settimane scorse, il corpo dei Vigili del Fuoco aveva chiesto di
bloccare l’uso improprio della loro divisa da parte del Ministro.
Salvini sembra però non aver imparato la lezione, e il motivo è
semplice. Non vuole impararla, perché significherebbe rinunciare a una precisa strategia di comunicazione. Indossare i capi delle forze dell’ordine, per il Ministro dell’Interno, significa caricare la sua figura di quegli ideali di sicurezza e pulizia
di cui vuole farsi portatore. Come il premier Giuseppe Conte è stato
definito l’avvocato del popolo, Salvini vuole identificarsi come lo
sceriffo degli italiani. In un paese dove la paranoia securitaria è agli
estremi, il fittizio allarme invasione non fa chiudere occhio a molti
italiani e alluvioni e terremoti sventrano il territorio, avere un
Ministro dell’Interno che è anche poliziotto, vigile del fuoco e guardia
forestale può essere un buon moltiplicatore di successo.
Nel caso dei barracelli sardi, il suo andarsene in giro per le vie di
Alghero con la loro divisa lega questa strategia di comunicazione
dell’ordine con un’altra, di stampo più locale. Un messaggio di vicinanza alla popolazione, di empatia, un po’ come quando in prima liceo ci si veste come i più cool della classe per far colpo su di loro. “Guarda, è uno di noi”, diranno i cittadini, sentendosi più vicini al Ministro. Questa sottile strategia comunicativa è da sempre un must
del Salvini-pensiero, le sue felpe con i nomi delle città cambiati in
base al comizio di turno ne sono una dimostrazione. L’episodio di
Alghero, però, segna una fusione tra il Salvini cosplayer delle
forze dell’ordine e il Salvini amico delle diverse realtà micro-locali:
dimensione territoriale e tematiche di sicurezza vanno a sovrapporsi in
questo caso, in quello che diventa il perfetto riassunto della sua
strategia comunicativa.
Se quando mangia cannoli, pizze e tortellini indossando le felpe
delle rispettive città per mostrare la sua vicinanza alla popolazione
locale, l’essere uno di loro, non gli si può dir nulla, quando veste le
divise delle forze dell’ordine si viene però a creare un problema. E
cioè la politicizzazione di queste ultime. Salvini in piazza del Popolo a
Roma che veste il giubbotto della polizia durante la manifestazione
della Lega, o Salvini vestito allo stesso modo durante un recente
comizio, fa passare il messaggio che da autorità nazionale e di pubblica
sicurezza il corpo di Polizia si sia trasformato in forza di partito.
Se con la loro presa di distanza i barracelli sardi e i vigili del fuoco hanno già affossato le aspirazioni da cosplayer
del Ministro dell’Interno nei rispettivi ranghi, sarebbe ora che anche
le altre forze dell’ordine facessero lo stesso, così da preservare la
propria credibilità.
Quel baciamano a Salvini svela il volto della Lega a Sud
Ha impressionato
vedere ad Afragola il gesto di sottomissione verso un uomo simbolo di un
partito che ha sempre odiato il Meridione
di ROBERTO SAVIANO - La Repubblica, 21 gennaio 2018
Sono
cresciuto in una terra dove vedere baciare le mani di un uomo era cosa comune,
nessuno si stupiva, è antica sintassi mafiosa. Vedevo i boss soprattutto
durante le festività — prima che cadessero in latitanza o avessero, in clima di
faida, paura di uscire in strada — salutare e girare per negozi ricevendo
spesso come omaggio il bacio sulle nocche. Il baciamano mi creava disagio
quando a farlo era un anziano che si piegava verso la mano di un giovane capo.
Al contrario faceva parte del mio orizzonte estetico vedere giovani baciare la
mano del potente più maturo. Non solo boss ma anche sindaci o l’infinito stuolo
di sottosegretari e assessori. Il bacio che è stato dato alla mano del ministro
Matteo Salvini è pregno di tutta la terribile tradizione meridionale di
sottomissione.
È il bacio
che qualsiasi sovrano o qualsiasi esercito sia passato nel Sud ha ricevuto, un
bacio che descrive bene il senso che si ha del rapporto con la politica: la
concessione, il favore, la benevolenza. Non c’è diritto, non c’è giustizia, non
c’è sicurezza economica, non lavoro ma elargizione, protezione, carità, arbitrio.
Quel bacio sta a significare: trattaci bene, facci il favore. Ha impressionato
vedere proprio ad Afragola, al Sud baciare la mano di un uomo simbolo di un
partito che ha sempre odiato il Meridione, di un movimento nato e fondato sulla
convinzione che i meridionali fossero il male e il Sud una zavorra per la
crescita del Nord. Il bacio alla mano di Salvini, l’osannarlo come l’uomo della
provvidenza, non è cosa nuova, ma il peggiore volto delle genti del Sud che la
miseria e l’ignoranza spingono a manifestare il desiderio di vedere migliorata
la propria vita con un atto di sudditanza e di sottomissione. Non c’è colpa ma
solo la stessa e perenne miseria secolare.
Quel bacio e
quelle preghiere sono state rivolte a un ministro che è entrato nella città
delle otto bombe di camorra da alleato della vecchia e più compromessa politica
locale, ereditandone le clientele. Salvini non ha dato alcuna risposta ai
drammi del territorio, ha solo promesso sgomberi e polizia. Scelte che non
possono, isolate, risolvere nulla. Non ha provato alcuna vergogna — ma ne ha
tratto solo vantaggio — a essere complice della parte peggiore dei poteri
locali, scegliendo Pina Castiello come sottosegretaria del ministero per
il Sud. Grazie a lei la Lega ha fatto il pieno di voti al rione Salicelle di
Afragola, che è la vera anima camorrista di Afragola. Pina Castiello che, per
formazione politica viene dalla “scuola” di Luigi Cesaro e di Nicola
Cosentino, è alleata dell’ex senatore Vincenzo Nespoli, condannato
per bancarotta fraudolenta, accusato della procura di Napoli di voto di
scambio, su cui è intervenuta la prescrizione. La Lega è, in linea diretta,
erede dei potentati democristiani, poi berlusconiani, poi (cercati e in parte
ottenuti) del centrosinistra. E in questo modo la Lega è divenuto il partito
rappresentativo delle clientele camorriste.
Eppure si
bacia la mano, si lanciano preghiere e suppliche a chi è complice di questa
situazione. Gli si chiede di eliminare i nemici e lui, in divisa, augura «Lunga
vita» e manda bacioni. Quel bacio è dato a chiunque arrivi lì dispensando
promesse di cambiamento; domani andrà ad altre nocche, ieri ha suggellato altre
mani: l’eterna immutabilità del Mezzogiorno d’Italia, dalla cui disperazione
Lega e M5S alimentano il loro consenso. E sia chiaro, il baciamano non è
soltanto un’usanza mafiosa, tutt’altro. Il baciamano ha un’origine antica, ha
una tradizione lunghissima e complessa. La diffusione al Sud di questa
abitudine deriva dalla tradizione di baciare la mano del prete, le cui mani
sono sacre perché celebrano il miracolo dell’ostia. Il nobile, ricevendo da Dio
il compito del comando, inizia a farsi baciare la mano come il sacerdote. Ma
perché la mano? Il bacio ha un’origine evangelica. Veniva dato alle mani di
Cristo, perché Cristo, imponendole sulle persone, compiva miracoli. Anche le mani
degli apostoli vengono baciate, come quelle dei santi, perché dalle loro mani
discende il miracolo, la grazia.
Nei paesi
arabi, si bacia la mano dell’anziano, indipendentemente dalla sua gerarchia
sociale. È il bacio alla mano che ti ha dato il pane. Nel tempo il baciamano al
feudatario è diventato quello che chiede protezione in cambio di asservimento:
esisto perché tu mi concedi di esistere, di stare in vita. È vecchia logica che
sopravvive e resiste tutt’oggi con le mafie: se sei in vita significa che loro
te lo permettono, perché se loro volessero, saresti polvere. È tutto una
concessione. Una loro concessione.
E il baciamano a Salvini è il sigillo di quell’eterno voto di scambio e
dell’eterno vassallaggio latifondista in cui oggi la Lega e il M5S diventano i
nuovi feudatari. Ricorderete anche quando Berlusconi baciò la mano a Gheddafi.
Quel gesto letto come una goliardata del solito Berlusconi fu sigillo di
terribile vassallaggio al colonnello Gheddafi che aveva ordinato il massacro
dei suoi oppositori. Eppure sembra gesto innocuo nella parte maggiore dei casi.
Il bacio alla mano cui siamo più abituati è quello alla mano femminile.
Approfondendo nei galatei, questo non è un gesto di sottomissione alla donna né
di riconoscimento del suo potere. La differenza tra baciare la mano a una donna
e a una Regina, è tutta in un dettaglio: con una bisogna tenere la fronte e gli
occhi a terra; con una donna, invece, gli occhi non si abbassano ma fissano
quelli di lei. La regola più antica vorrebbe che si guardassero sempre gli
occhi della donna e che, anche una volta finito il bacio, si continuassero a
fissare, perché il messaggio deve essere: non sono sottomesso, ma sto
omaggiando la tua bellezza.
Salvini e il
M5S hanno tirato fuori il peggio del peggio dall’antro più oscuro del nostro
Paese. Non sono stati i primi né i soli, ma l’hanno fatto nel modo più radicale
possibile. Sono a Sud in continuità con i poteri più compromessi e agiscono
come se nulla fosse. Sono cresciuto in una terra dove si votava sempre il
politico peggiore perché sapevi che, mentre dal politico che faceva una
campagna elettorale promettendo maggiore giustizia sociale ottenevi un percorso
lungo di lavoro o magari non ottenevi nulla, dal politico compromesso ottenevi
la possibilità, in cambio di un voto di un favore, di avere una concessione,
fosse pure solo un pacco di pasta. Perché la giustizia sociale non la puoi
quantificare, non la puoi pesare qui e ora, e quindi laggiù finisci col pensare
che non serva a nulla. Senza girarci troppo intorno: il voto di scambio è ciò
sui cui questo governo ha molto presto imparato a fondarsi.
Di una cosa
però siamo certi. Tutti i partiti cadono a Sud, tutte le grandi coalizioni
cadono a Sud. Il Sud che è completamente scomparso da ogni agenda elettorale in
termini di progetti reali e strategie, il Sud che ancora una volta — come
sempre — è solo il luogo dal quale dragare preferenze e clientele, sarà lo
stesso Sud che farà rovinosamente cadere il governo del cambiamento. Quel
baciamano disperato, che da sempre si fa al potente di turno, è già pronto a
strappare a morsi le carni della persona prima baciata.
Salvini ha scavato nel fango, ha estratto un mostro dal sottosuolo e lo ha
messo su un tavolaccio per risvegliarlo. Ora deve fare i conti con questa creatura
che se ne va in giro sulle sue gambe, e di questa creatura lui dovrà sempre
rispondere. Questo ha fatto Salvini e questo fa il populismo.