Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

sabato 26 gennaio 2019

Trumputin... Trumputin...


Trump avvera i sogni di Vladimir Putin


giovedì 24 gennaio 2019

Senza scrupoli, senza vergogna, senza umanità -segue


Gino Strada: "Siamo governati da una banda per metà fascisti e per metà coglioni"

Il fondatore di Emergency: "La fortezza Europa è un'idea hitleriana"



"Gli esseri umani non sono sacchi di patate, che vengono dirottati, tu ne prendi 10, io 15. Ma dico siamo impazziti? Questo è un mondo di barbari. Qui stiamo tornando con le stesse logiche di tempi che speravamo non dovessero più ripresentarsi. Questa idea di un europa che si chiude con muri è un'idea che ha un nome molto chiaro: l'idea della fortezza europa è un'idea hitleriana". Lo dice Gino Strada, fondatore di Emergency 'Circo Massimo' su Radio Capital.
Strada continua: "Siamo di fronte a un governo razzista e fascista che non ha nessun problema a lasciar morire persone. Non è una grande novità perché questo terreno è stato preparato dal governo precedente e dal ministro degli Interni precedente".
Il Movimento 5 stelle sulla linea di Salvini, spiega, "è un segnale terribile. Quando alla fine si è governati da una banda dove una metà sono fascisti e l'altra metà sono coglioni non c'è una grande prospettiva per il paese".
Di Salvini, Strada dice: "Mi stupisce la completa disumanità di questo signore. È un atteggiamento che non è soltanto non solidale o indifferente, ma è gretto, ignorante. È un atteggiamento criminale, questi sono dei criminali, dobbiamo svegliarci ci stanno ammazzando la gente sotto i nostri occhi e li sta ammazzando un governo che, purtroppo, molti italiani hanno anche assecondato e votato". Per il medico "il nuovo fascistello, che indossa tutte le divise possibili eccetto quella dei carcerati, non ha preso il 90 per cento dei voti".
Il fondatore di Emergency prosegue: "I cittadini devono organizzare una resistenza di fronte a questa nuova barbarie, a questo nuovo fascismo misto a incompetenza e a bullismo che sta dilagando. Credo che gli italiani non siano questi mostri che vengono dipinti, ma siano sempre stato un popolo molto solidale e aperto. Sarebbe ora di farsi sentire. Mi rifiuto di credere che in Italia ci sia stato questo cambiamento antropologico in pochi anni".
Pronta la risposta di Matteo Salvini. Gino Strada, afferma, mi definisce oggi "disumano, gretto, ignorante, fascistello, criminale". Solo??? Evidentemente la fine della mangiatoia dell'immigrazione clandestina li sta facendo impazzire. L'Italia ha rialzato la testa, possono insultarmi mattina, pomeriggio e sera: tutte medaglie, io non mollo!!! Grazie amici, vi voglio bene, e a chi ci odia mandiamo baci"


Diciotti, il Tribunale su Matteo Salvini: “Era un obbligo salvarli, ma pose veto arbitrario per finalità politiche”



Per il Tribunale dei ministri di Catania fu "illegittima la privazione della libertà dei migranti" e il vicepremier era consapevole che a bordo c'erano minori non accompagnati. Secondo i magistrati le dichiarazioni dei prefetti sulla richiesta di un porto sicuro furono "rettificate". Il capo del Dipartimento immigrazione: "Bloccata la catena di comando"

di  
Il Fatto Quotidiano, 24 Gennaio 2019


Era un obbligo salvarli. Questo significava non solo fornire un luogo sicuro, ma garantirne la sicurezza, le necessità primarie – come il cibo, un alloggio, le cure mediche – e anche il trasporto a una destinazione vicina e finale. Ma i 177 migranti della Diciotti – tra cui 27 ragazzini tra i 14 e i 16 anni e due bambine – rimasero cinque giorni a bordo di una nave ormeggiata sotto il sole in piena estate dopo aver affrontato un estenuante viaggio durato numerosi giorni. A quella destinazione vicina o finale pose “arbitrariamente il proprio veto” Matteo Salvini per “finalità politiche”.
È lunga 53 pagine la relazione con cui il Tribunale dei ministri di Catania, presidente Nicola La Mantia e giudici Sandra Levanti e Paolo Corda, chiede al Senato di procedere contro il ministro dell’Interno per sequestrato aggravato dall’abuso di potere e perché era consapevole che sulla nave militare, di fatto territorio italiano, c’erano minori non accompagnati. “Non c’erano ragioni tecniche ostative allo sbarco bensì la volontà politica del senatore Salvini di portare all’attenzione dell’Ue il caso Diciotti per chiedere – scrivono i giudici – ai partner europei una comune assunzione di responsabilità del problema della gestione dei flussi migratori, sollecitando una redistribuzione dei migranti sbarcati in Italia”. Dal 20 al 25 agosto quelle persone furono private della loro libertà. Sulla nave “c’erano condizioni precarie” e il leader della Lega, sostengono i giudici, lo sapeva. I giudici individuano una data ben precisa in cui il reato ha inizio ovvero quando, dopo aver sbarcato a Lampedusa 13 migranti che necessitavano di cure mediche, la Diciotti attracca a Catania.
Il sequestro, per i magistrati, inizia il 20 agosto “allorquando, previa indicazione formale del Pos (Place of saferty ovvero il porto sicuro), veniva autorizzato lo sbarco dei migranti“. Ma in realtà rimasero tutti in attesa di un via libera che sembrava non arrivare mai. Salvini non ha depositato memorie, né ha depositato memorie. Ma in quei giorni in cui il vicepremier non indietreggiava di un millimetro contemporaneamente sosteneva che voleva essere processato.
“Illegittima privazione della libertà dei migranti”
I magistrati citano la Costituzione e ovviamente tutte le convenzioni internazionali che regolano il soccorso in mare per sostenere l’individuazione di un reato che prevede come pena massima 15 anni. “Occorre chiarire quali siano i doveri degli Stati, le relative competenze e i limiti di discrezionalità esistenti nella gestione del fenomeno del soccorso in mare, che coniuga aspetti di assoluto rilievo costituzionale, quali quelli attinenti al diritto alla vita, alla libertà e al rispetto della dignità umana, nonché alla gestione dei flussi migratori e alle correlate problematiche inerenti alla sicurezza e all’ordine pubblico di uno Stato sovrano…. Va osservato – ricordano i giudici -. come l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare… Le convenzioni, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dell stato… assumendo rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna”. E, in base agli art.10, 11 e 117 della Costituzione, “non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica”.
Salvini, nella sua qualità di ministro, per i giudici ha violato quelle convenzioni “non consentendo senza giustificato motivo al competente Dipartimento per le Libertà Civili per l’Immigrazione – costituente articolazione del ministero dell’Interno – di esitare tempestivamente la richiesta di POS (place of safety) presentata formalmente da IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Center) alle ore 22.30 del 17 agosto 2018, bloccava la procedura di sbarco dei migranti, così determinando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale di questi ultimi, costretti a rimanere in condizioni psico-fisiche critiche a bordo della nave “U.Diciotti” ormeggiata nel porto di Catania dalle ore 23.49 del 20 agosto e fino alla tarda serata del 25 agosto, momento in cui veniva autorizzato lo sbarco. Fatto aggravato dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale e con abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché per essere stato commesso anche in danno di soggetti minori di età”.
“Attendismo per finalità politiche”, Tribunale non censura
I giudici chiamano “attendismo” il comportamento di Salvini e individuano anche le “finalità politiche” di non dare esito sin dal 17 agosto alla richiesta di un porto sicuro. “Dopo l’insediamento del nuovo governo, il senatore Matteo Salvini, nella sua qualità di ministero dell’Interno, pur rimanendo inalterata la procedura amministrativa” per assegnare il Pos (Palce of safety) “ha ritenuto di dare seguito a un proprio convincimento politico, che aveva costituito uno dei cardini della campagna elettorale quale leader del partito della Lega, secondo cui i migranti giunti nel nostro territorio nazionale non sbarcherebbero in Italia bensì in Europa con la conseguenza che il correlato problema dell’accoglienza dovrebbe essere gestito a livello europeo, con una ripartizione degli Stati membri dell’Ue… Dunque l’unica vera ragione che ha indotto il ministro a non autorizzare tempestivamente lo sbarco è da rinvenire nella sua ‘decisione politica’ di attendere l’esito della riunione che si sarebbe tenuta” il 24 agosto al livello europeo per il caso. I giudici si sono chiesti se al responsabile del Viminale dovesse essere applicata la scriminante (articolo 51 cp) che contempla l’esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. Ma la risposta è stata no, perché secondo i magistrati lo sbarco dei 177 non poteva costituire “un problema cogente di ordine pubblico per diverse ragioni”. 
“Strumentale e illegittimo utilizzo di una potestà amministrativa”
Secondo il Tribunale “le scelte politiche o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati” e ricordano come la Corte costituzionale abbia già evidenziato che la libertà personale è un che “non può subire attenuazioni”. I giudici distinguono tra atto politico, che è insindacabile, e atto amministrativo “adottato sulla scorta di valutazioni politiche” ed è in questo ultimo campo che inseriscono l’azione di Salvini. Per questo i giudici aggiungono che “va sgomberato il campo da un possibile equivoco e ribadito come questo Tribunale intenda censurare non già un “atto politico” dell’esecutivo “bensì lo strumentale ed illegittimo utilizzo di una potestà amministrativa di cui era titolare il dipartimento delle libertà civili per l’immigrazione che costituisce articolazione del ministero dell’Interno presieduto dal senatore Salvini, essendo stata l’intera vicenda – ragionano i giudici –  caratterizzata da un’evidente presa di posizione di quest’ultimo, che ha bloccato e influenzato l’iter della procedura amministrativa. Dietro l’attendismo che ha portato il ministro dell’Interno a non esitare tempestivamente la richiesta di Pos formulata in data 17 agosto da Mrcc Roma, non c’erano ragioni tecniche ostative allo sbarco bensì la volontà politica del senatore Salvini di portare all’attenzione dell’Ue il caso Diciotti per chiedere ai partner europei una comune assunzione di responsabilità del problema della gestione dei flussi migratori, sollecitando una redistribuzione dei migranti sbarcati in Italia”.
Capo immigrazione: “Fu bloccata catena di comando”
Tra gli atti inviati a Palazzo Madama c’è anche il verbale il capo del Dipartimento delle libertà civili e immigrazione del Viminale, il prefetto Gerarda Pantalone, proprio in merito alla mancata assegnazione del Pos alla Diciotti. “Il ministro dell’Interno non ha ancora formalmente comunicato il Pos (il porto sicuro, ndr.) e quindi tutta la catena di comando, dal centro verso la periferia, rimane bloccata in attesa delle determinazioni di carattere politico del signor ministro dell’Interno”. Nelle 53 pagine di provvedimento i giudici affermano che il centro di coordinamento dei soccorsi di Roma (Imrcc) ha avanzato al Dipartimento tre diverse richieste di Pos, il 15, il 17 e il 24 agosto. E ci sono state “rettifiche sospette” da parte dei prefetti del Viminale ascoltati dai magistrati.
Per accertare la “rilevanza penale” delle tre richieste, aggiungono, va preliminarmente stabilito quale di queste debba essere considerata “tipica”, vale a dire “idonea a fondare in capo al Dipartimento l’obbligo normativo di provvedere tempestivamente”. Secondo i giudici la prima, quella del 15, deve essere ritenuta “atipica”, dunque priva dei presupposti normativi. Diverso il discorso su quella del 17 che gli stessi protagonisti hanno definito ‘formale’. La definisce così, ad esempio, la stessa Pantalone quando fa riferimento “all’ordine ricevuto dal prefetto Piantedosi, capo di gabinetto del ministro dell’Interno e costantemente in contatto” con Salvini. “Il 17 agosto, intorno alle 22.30, Mrcc ha avanzato una formale richiesta di Pos…è stata girata al prefetto Piantedosi il quale ribadì che non poteva indicare un Pos e che occorreva attendere”. Parole confermate dal vicario del Dipartimento, il prefetto Bruno Corda, che in quei giorni era in servizio. “Il 17 agosto è pervenuta al mio ufficio una vera richiesta di Pos”. Corda informa anche lui Piantedosi e anche a lui il capo di Gabinetto dice “di attendere disposizioni…”.
Prefetti rettificarono dichiarazioni su richiesta del porto sicuro
Entrambi i prefetti però, dicono i giudici, sentiti nuovamente dal Tribunale dei ministri di Palermo il 25 settembre “rettificano le precedenti dichiarazioni, qualificando la richiesta di Pos del 17 agosto come ‘anomala’”. Una circostanza “alquanto peculiare”. E aggiungono: “al di là della ‘sospetta’ rettifica delle precedenti dichiarazioni da parte dei prefetti Pantalone e Corda, è convincimento di questo tribunale…che la richiesta del Pos del 17 agosto presentasse tutti i requisiti che giustificassero una pronta risposta da parte del competente Dipartimento del ministero dell’Interno”.  Dunque, concludono i giudici, “l’omessa indicazione del Pos” dopo la richiesta delle 22.30 del 17 agosto “da parte del dipartimento per le libertà civili e immigrazione, dietro precise direttive del ministro dell’Interno, ha determinato…una situazione di costrizione a bordo delle persone soccorse fino alle prime ore del 26 agosto (quando veniva avviata la procedura di sbarco a seguito dell’indicazione del Ps rilasciata nella tarda serata del 25) con conseguente apprezzabile limitazione della libertà di movimento dei migranti, integrante l’elemento oggettivo del reato ipotizzato”. I giudici ritengono anche che vada “censurata la dichiarazione” del capo di gabinetto del ministro Matteo Salvini resa al Tribunale dei ministri sulla vicenda della nave Diciotti. Secondo Piantedosi, che era stato indagato dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio per sequestro di persona, “nonostante la nave fosse ormeggiata al porto di Catania per numerosi giorni non avrebbe determinato alcuna violazione della convenzione SAR e dei susseguenti protocolli attuativi“.

mercoledì 23 gennaio 2019

L'analisi


Quella divisa non è di Salvini ma dello Stato
Indossare l'uniforme significa mandare messaggi pericolosi per la democrazia ed è come dire: la polizia è cosa mia. Ma non è così
di ROBERTO SAVIANO
La Repubblica, 11 gennaio 2019
Nelle democrazie le forze dell'ordine vivono di quel delicatissimo equilibrio che si fonda sull'equidistanza tra le forze politiche. Al contrario, nelle dittature, i tiranni indossano sempre la divisa, che non è banale teatralizzazione del potere, ma serve a mandare un messaggio preciso: l'esercito risponde a me, a me soltanto e a nessun altro. Fidel Castro ha indossato la divisa nelle apparizioni pubbliche per decenni, la logica era la solita utilizzata nei paesi del socialismo reale: l'esercito è il popolo, io sono il capo dell'esercito, io sono il conduttore del popolo.
Attaccare Fidel Castro significava avere l'esercito (e tutte le forze dell'ordine) contro. Fidel Castro dismise la divisa militare in rare occasioni: quando incontrò Giovanni Paolo II nel 1998 per esempio; in quel caso mise da parte il suo ruolo di caudillo e si sottopose a un possibile confronto che infatti portò alla liberazione di diversi detenuti politici. 
Gheddafi indossava la divisa militare perché fosse chiaro che il suo era principalmente un ruolo militare, un potere militare, preso con le armi e mantenuto con le armi. La Libia era la caserma del Colonnello Gheddafi che ebbe la civetteria populista di definirsi Colonnello, perché Generale era il popolo (ossia nessuno, essendo il potere assoluto in Libia nelle mani del solo Gheddafi e della sua famiglia).
Mussolini dismette l'abito borghese e inizia a indossare fez e divisa quando decide che lo Stato e il fascismo debbano coincidere e quindi chiunque lo critichi è fuori dalla legalità. Da quel momento le critiche a Mussolini e al fascismo diventano un problema di polizia.
In guerra, anche i leader democratici hanno indossato la divisa. Uno su tutti, Winston Churchill. Con l'Inghilterra ufficialmente in guerra, indossare la divisa significava essere a capo delle forze armate di uno Stato in guerra.
A Yalta, tra i big three (Roosevelt, Stalin e Churchill), Stalin decise di indossare la divisa di Generalissimo dell'Armata Rossa (titolo che si era autoattribuito) mentre Roosevelt partecipò in abiti borghesi: in quel modo ribadiva il suo ruolo di presidente ben diverso da quello del generale Eisenhower.
Applicare oggi queste interpretazioni a Salvini può sembrare ridicolo per la mediocre caratura del personaggio, ma la sua mediocrità non deve fuorviarci.
Cosa significa per lui (e per chi lo osserva e subisce) indossare quella divisa? Che se io critico o contrasto il ministro dell'Interno avrò la Polizia contro? Significa che la Polizia condivide le azioni politiche del ministro dell'Interno? In questo caso ci sarebbe da temere la trasformazione della Polizia di Stato in un organismo politico.
E qui vale la pena fare una precisazione che non è affatto scontata: la Polizia dipende dal ministero dell'Interno, non dal ministro, e non è questione di lana caprina. È esattamente per questo motivo che la Polizia ha un capo della Polizia che non è il ministro dell'Interno. Il ministro dell'Interno - come il primo ministro - quando indossa la divisa lo fa come gesto solidale che è accettabile esclusivamente in occasioni formali. Per esempio tutti i presidenti, i presidenti del Consiglio e i ministri quando vanno a trovare i soldati in missione all'estero, indossano la divisa perché quel giorno è un giorno da soldato.
Non solo: in zone di guerra, che i vertici politici non siano individuabili è una misura di sicurezza e non vuota formalità. Anche nei giorni commemorativi indossare la divisa ha un significato istituzionale, ma indossare la divisa in occasioni diverse da questa sa solo di propaganda politica che si tramuta in gesto autoritario.
Il messaggio che chi indossa la divisa fuori contesto sta dando è un messaggio pericolosissimo per la democrazia. Questo vale per tutti e vale ancora di più per Matteo Salvini, leader di un partito che non ha una storia di legalità da vantare.
La Lega non è stata in grado di arginare - e in parte forse non ha voluto - la diffusione del potere 'ndranghetista nel nord Italia; la Lega deve ai cittadini italiani 49 milioni di euro e, sempre la Lega, in Calabria si è legata politicamente a figure poco specchiate: mostrandosi oggi con la divisa della Polizia, Salvini spera di poter cancellare tutto questo e dire non semplicemente "io sto dalla parte della legalità" (ci mancherebbe pure che il ministro dell'Interno non lo fosse!), ma "io sono la legalità".
Salvini usa la scorciatoia propagandistica per non rispondere delle responsabilità politiche sue e del suo partito. Ma la cosa più grave è che utilizza la Polizia, un organo dello Stato che in democrazia è autonomo rispetto ai partiti politici, a tutti i partiti politici, per finalità personali.
Indossare le divise, come fa Salvini, significa mandare messaggi a chi fa parte delle forze dell'ordine. Significa avere un atteggiamento intimidatorio verso chi non dovesse avere simpatia per le posizioni politiche del ministro. Significa creare, per ogni divisa indossata, una frattura tra chi quella divisa la indossa ogni giorno, per lavorare e non per fare propaganda politica.
Ciascuno ha le sue idee politiche, ma se servi il Paese, prima della tua parte viene lo Stato. Indossare le divise durante i comizi significa dire: la polizia è cosa mia. E lo Stato non è Matteo Salvini. E lo Stato non è la Lega. Questo, a Salvini, ogni tanto vale ricordarlo.



Roberto Saviano all'HuffPost: "La camorra delle paranze punta di nuovo sul racket"

"La bomba a Sorbillo è un atto gravissimo. Il messaggio è 'Dovete entrare nella nostra economia'. La passerella di Salvini sarà il solito teatro". E non è clemente né con M5s né con De Magistris...


di Alessandro De Angelis


Roberto Saviano, è tornata a esplodere una bomba nel centro di Napoli. Di fronte alla pizzeria Sorbillo, uno dei luoghi simbolo della Napoli famosa nel mondo. Che significa?
È un atto gravissimo l'attentato a Sorbillo. Il centro storico è un territorio che da anni sconta la presenza asfissiante di una camorra nuova, la camorra delle paranze. Che, seppur aggredita, non solo non è sconfitta ma fonda il suo controllo militare sull'estorsione, una pratica che per esempio la "storica" famiglia Giuliano aveva per anni dismesso. Le paranze introducono di nuovo il controllo del territorio tramite l'estorsione, questo è il punto.
Spiegati meglio.
L'estorsione è una pratica che spesso genera diffidenza nella popolazione verso il potere criminale perché è come una tassa ulteriore da pagare. Ed è per questo che spesso i casalesi rinunciano al racket: i proventi di coca, rifiuti e appalti sono alti e imporre il pizzo crea una frattura insanabile tra i clan e il territorio. Così come l'usura, attività che la camorra detesta perché finisce col diventare una scelta antipopolare e che non porta consenso. E il consenso serve, sempre, serve in tempo di pace e serve in tempo di guerra, serve per schermare gli affari e per le latitanze. Quando è che l'estorsione torna ad essere vantaggiosa da pagare? Quando l'organizzazione ti dà, in cambio, una serie di servizi. Quindi se tu paghi l'estorsione non solo non subisci rapine, ma, ad esempio, puoi usufruire dei servizi di imprese edili vicine ai clan a prezzi più bassi, lo stesso vale per tir e trasporti. Insomma, paghi l'estorsione e hai accesso a una economia criminale complessa che, assurdo dirlo, riesce anche a portare vantaggi.
E la bomba in centro a Napoli contiene questo messaggio.
Certo. Attaccare Sorbillo significa dire "chiunque faccia affari qui, non importa chi sia e quanto in alto sia arrivato, deve partecipare alla nostra economia". La Coca-Cola la devi prendere dalla nostra società di distribuzione, per le forniture devi parlare con chi diciamo noi, per il catering lo stesso. Le estorsioni non hanno solo il significato di "paga e zitto", ma "o accedi alla nostra economia o sei morto". Quindi è più grave di quel che sembra.
Anche ad Afragola ieri è scoppiata l'ottava bomba. Che sta succedendo?
Le otto bombe di Afragola mostrano quello che in realtà su quel territorio non ha mai smesso di esistere ovvero una competizione spietata tra clan. Il potere del clan Moccia nel tempo è andato sfibrandosi perché ha tentato una ripulitura borghese. Le famiglie mafiose ormai, questo succede in tutto il mondo, anche quando fanno il salto di qualità legale non perdono mai il segmento criminale perché è la loro forza. È un antico adagio: "Quanto più ti allontani dalla merda, tanto meno avrai fertilizzante per i tuoi affari". Questo è il modello del potere criminale, che poi diventa il modello anche per il potere legale e che si traduce nel concepire l'esercizio del potere con certa disinvoltura. E dunque, i Moccia hanno rinunciato al loro segmento criminale perdendo presenza e potere sul territorio. Dagli elementi analitici che sto osservando e che sto interpretando, queste bombe sembrano parlare più il linguaggio dei gruppi di San Pietro a Patierno che oggi comandano ad Afragola e la sintassi dei Vanella Grassi. E quindi l'obiettivo è, ancora una volta, l'estorsione: le bombe piazzate per dire "dovete entrare nella nostra economia". Su questo credo che valga la pena di insistere perché sia chiaro che il racket non è, come le persone pensano, "pistola in bocca e dai i soldi". È certo anche quello, e cioè arroganza: il "se vengo nel tuo locale non mi fai pagare", il "se vengo nella tua boutique mi prendo quello che voglio". Ma significa soprattutto aderire a una intera economia, è come dire: "tu commerciante dall'estorsione ci puoi anche, in un secondo momento, guadagnare". Questo è il controllo che vogliono imporre militarmente, per ottenere il consenso quando le attività sotto estorsione saranno entrate nel meccanismo nell'economia criminale. Quindi non mi stupisce per nulla ciò che sta accadendo, anzi sarà sempre peggio.
Sempre peggio, dici. Qui l'analisi si allarga al tema del radicamento sociale del fenomeno, alla capacità di generare economia, come dicevamo, dunque opportunità e sviluppare consenso. Un punto di vista che non esaurisce la risposta solo sul terreno securitario.
Ma certo. La disattenzione del governo nazionale è stata abnorme. La campagna elettorale è stata superficialissima su questi temi. Negli anni si è delegato solo alla repressione e alle manette la soluzione di questi problemi. Ma manette e condanne portano a una soluzione relativa, a un contenimento del fenomeno, ma sono assolutamente inutili per modificarne le origini e le cause. Ovviamente le paranze che arruolano ragazzini sempre più piccoli e che sono comandate da ragazzini sempre più piccoli, sono strutture invasive al massimo grado perché hanno la capacità di poter parlare a tutto un mondo che mai prima di questo momento era stato protagonista della vita criminale di un territorio: i ragazzini. E non sono solo figli di camorristi o persone che vengono da un côté di camorra, ma sono persone che vedono come unica soluzione alla propria vita il guadagnare subito e tanto. In una realtà dove la disoccupazione è considerata una piaga sociale ormai endemica, con un tasso di evasione scolastica che, nei quartieri più poveri, è di un minore su tre, c'è un vero e proprio esercito di giovanissimi disposti a morire per ottenere la possibilità di guadagnare all'istante e di essere figo su Instagram. Se vedi, la comunicazione Instagram dei ragazzi delle paranze di camorra è vincentissima. Gli (ormai) uomini della paranza di Emanuele Sibillo tutt'oggi sui social scrivono accanto al loro nome "ES17" fregandosene di poter dare elementi alla polizia e alle forze dell'ordine. Per contrastare questo sistema non bastano eserciti o manette, non basta aumentare le condanne: nella storia umana non si è evitato un solo omicidio aumentando le condanne, nessun crimine viene fermato dagli ergastoli, sono le riforme, il lavoro, le scuole aperte, l'investimento nelle associazioni, questo è parte del percorso che non si farà mai nel sud Italia.
Finora il sindaco De Magistris si è vantato di aver ripulito almeno il centro di Napoli e di aver fatto progressi sulla legalità. Questa bomba mette in crisi la sua narrazione?
De Magistris ha fatto una narrazione di ripulitura della città che ovviamente non esisteva. Va detto che è stato lasciato solo, da questo governo e da quello precedente. La narrazione del governo Renzi è stata drammatica perché ha iniziato a parlare di cambiamento istantaneo. Dicevano "nella Terra dei fuochi abbiamo risolto", come dimenticare quel grafico in cui solo il 2% del territorio risultava contaminato. Dicevano "il Sud sta ripartendo" e a sostegno c'era la bufala sulla Apple che investe a Napoli. Chiariamoci, ogni iniziativa economica e di formazione è la benvenuta, ma sembrava che la Silicon Valley si fosse trasferita a Napoli. Per non parlare dell'attacco a Gomorra e a quello che ho narrato, che serviva solo a dire "quello è il passato", "quella Napoli non esiste più", "è un'esagerazione". È stato tutto sbagliato e in questo errore madornale si inserisce Salvini, che ha fiuto e intuito da sciacallo, la sua unica qualità in un uomo senza qualità, quella di sentire quale è la mossa da fare, una mossa che, intendiamoci, è solo teatrale.
Proprio Salvini ha già annunciato che sarà a Napoli e poi ad Afragola. Ti indigna perché è la solita passerella oppure voi dargli un consiglio?
Non succederà nulla. Andrà a Rigopiano a promettere soldi che non può dare, distrugge le case abusive e si intesta gli esiti di una inchiesta partita anni e anni prima sotto altri governi, da parte di procure che non hanno agito su input dati da lui, il tutto mentre in Calabria si è affidato a persone con una storia compromessa di 'ndrangheta. La Lega è stato il partito con maggiori responsabilità politiche, politiche ancor prima che giudiziarie, sull'infiltrazione del potere criminale nel Nord, quindi se c'è una persona con meno vocazione e capacità antimafia quella è proprio Salvini, ma lui sfrutta da sciacallo qualsiasi occasione possibile per poter, senza risolvere nulla, intestarsi un intervento. La passerella ad Afragola e Napoli sarà il solito teatro, che non ha iniziato lui, ma che lui rende ancora più macchiettistico e volgare, con questo suo vestire pericolosamente la maglia della polizia in ogni circostanza, ad uso di propaganda.
Soffermiamoci su questo uso delle uniformi di Stato. È un modo per ventilare l'uso della forza come propellente ideologico destinato al consenso?
È un messaggio pericolosissimo. Quella divisa la puoi indossare in occasioni istituzionali, non create da Salvini ad hoc, non in una dimensione di parte. È vergognoso, violento, autoritario come la frase che ama ripetere, il "me ne frego" dei commenti. Quella divisa, se non la toglie, la democrazia gliela deve strappare di dosso. Che significa quella divisa? Che se critico Salvini poi avrò un problema con la polizia? Significa che la polizia assomiglia a Salvini, al suo modo di agire, di pensare e di comunicare? Ci sarebbe da aver paura. E cosa sta facendo Salvini? Sta costruendo una istituzione politica? Sta facendo diventare la polizia una squadra politica? Questo significa quel suo indossare sempre e non in legittime occasioni istituzionali la divisa?
Afragola è la città del sottosegretario leghista, Pina Castiello, portabandiera leghista in Campania e vicina a Vincenzo Nespoli. Parliamo del volto della Lega al sud.
Afragola è un caso di scuola di una politica ambigua che ha sempre interloquito con la criminalità organizzata. La storia di Pina Castiello, vicina a Nespoli, mostra che cosa è davvero quel territorio e come sia quasi completamente affidato alle organizzazioni criminali, ai meccanismi di riciclaggio, ai sistemi di controllo militare dove la disoccupazione è un'arma di conquista politica, e dove le mafie neanche stanno investendo più perché saccheggiano il territorio e portano via risorse. In questo Sud, Salvini - ricordi l'inchiesta dell'Espresso? - sapendo di non poter contare su una storia di coerenza, dato che ha solo infangato e sputato sul Mezzogiorno, si è rivolto alle peggiori clientele del territorio. Come Nespoli, la cui storia ben conosciamo: la lunga indagine della Procura di Napoli che parlava di voto di scambio, di concorso in bancarotta fraudolenta e concorso in riciclaggio e il Senato che, a scrutinio segreto, negò l'arresto. Tutto questo gli ha portato un potere enorme nel suo feudo di Afragola; un potere che ha regalato al mondo salviniano. E ora Salvini ad Afragola andrà a nascondere queste sue responsabilità con la solita messa in scena di lui che sta dalla parte di chi ha subito le bombe.
Beh, su questo però non c'è una novità. Non vorrei cadere in un luogo comune, ma è accaduto per decenni in alcune zone del Sud. Questa complicità con la politica si è sempre basata su una ipocrisia nella rappresentazione.
Senza dubbio. Anche Antonio Gava faceva questo: proclamava che Cutolo lo teneva in galera e la Nuova camorra organizzata era felicissima di queste dichiarazioni perché tanto, operativamente, si agiva in tutt'altro contesto: continuava a investire, a fare affari con le banche e qualche arresto era messo in conto. Da sempre la politica che gioca a fare l'antimafia placa i giornalisti e allontana l'occhio indiscreto dell'opinione pubblica.
Salvini, tra le tante cose, ti direbbe che nel tuo ragionamento sulle mafie manca il tema dell'immigrazione che alimenta, ad esempio, la mafia nigeriana.
Questa è una fesseria che mi viene sempre detta. Io studio le mafie nigeriane dagli anni Novanta. E le organizzazione nigeriane presenti a Castel Volturno esistono da decenni precedenti gli sbarchi. È una cazzata dire che sono frutto dell'immigrazione. La verità è che la mafia nigeriana è un capitolo della mafia italiana, al netto della retorica sovranista: gli spacciatori magrebini rispondono alle mafie italiane, la mafia nigeriana vende a quella italiana. È un problema drammatico serio, importantissimo, ma può essere affrontato solo partendo dalle organizzazioni italiane. Tra l'altro mica ci sono solo le organizzazioni nigeriane. Se vogliamo dire le cose come stanno, ci sono organizzazioni bulgare, rumene, albanesi, macedoni, turche, moltissime organizzazioni criminali che si alimentano di migranti senza diritti. Il problema è l'opposto rispetto a come viene presentato: ogni qual volta si lasciano migranti senza diritti, si stanno dando eserciti alle organizzazioni criminali. Più ci sono diritti, per gli italiani e per gli stranieri, più le organizzazioni perdono manodopera.
Questi provvedimenti del governo sulla corruzione ti lasciano perplesso proprio sul terreno della lotto alla mafia?
Sì, sanciscono il fallimento politico del Movimento Cinque Stelle e dell' imbarazzante ministro Bonafede. Hanno riempito social e giornali della presunta fine della corruzione, dopo la presunta fine della povertà e la presunta fine della criminalità organizzata. Ma la realtà dei fatti è che sono state aumentate le occasioni propizie per le dinamiche corruttive. L'innalzamento per la soglia degli affidamenti diretti, senza gara, da 40mila a 150mila euro è l'atto più grave fatto a favore di crimine organizzato. Chiunque conosca il funzionamento degli enti locali, soprattutto nel Sud, capisce bene che il governo ha deciso, invece di semplificare le gare, di mettere in conto un aumento della corruzione.
Ultima domanda. Quale è un solo atto di questo ministro dell'Interno che non critichi?
L'avermi querelato, perché sarà un modo per portare Salvini in tribunale, costringendolo a dire la verità. E dato che mi ha querelato come segretario della Lega sarà anche un'occasione per chiarire alcune vicende ancora oscure del suo rapporto con i 49 milioni di euro che la Lega ha rubato agli italiani. Salvini è un esponente di punta della Lega da almeno 20 anni, nonostante voglia far credere di essere arrivato da Marte la settimana scorsa.
 


I barracelli sardi e la strategia di comunicazione di Salvini

Dopo le felpe delle città e le varie divise delle forze dell’ordine, il leader leghista indossa quella del corpo di polizia più antico d’Europa




Qualche giorno fa, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha tirato fuori un nuovo abito dall’armadio. Dopo la pluri-indossata divisa della polizia, quella dei vigili del fuoco, quella della guardia forestale e quella dei carabinieri, è stata la volta della tenuta dei barracelli sardi – un capo sicuramente più di nicchia rispetto agli altri. Trattasi della forza di polizia più antica d’Europa, un’istituzione nata nel 1560 e tuttora operativa in Sardegna a livello locale. Il Ministro dell’Interno l’ha indossata ad Alghero, dove si trovava per fare campagna elettorale per le suppletive e per le imminenti elezioni regionali.
Matteo, questa è la divisa del più longevo corpo di polizia d’Italia, e la tua personalizzata non poteva che avere i gradi da comandante“, ha dichiarato Michele Pais, rappresentante del sindacato autonomo dei barracelli e candidato leghista al Consiglio regionale, quando ha consegnato la divisa al Ministro. Il problema è che quello di Pais era un regalo personale, così come personale è il suo posizionamento politico.
Non esistono infatti legami tra i barracelli e la Lega, tanto che i primi non hanno preso bene il fatto di ritrovare la propria simbologia sul corpo del leader leghista. “Mi preme fin da subito chiarire, giusto per evitare equivoci di qualsiasi tipo, che nessun capo di vestiario è stato consegnato dalla compagnia barracellare di Alghero“, ha sottolineato Riccardo Paddeu, comandante cittadino del corpo di polizia sardo.
Insomma, ne è uscito fuori un polverone, che non è nemmeno il primo: nelle settimane scorse, il corpo dei Vigili del Fuoco aveva chiesto di bloccare l’uso improprio della loro divisa da parte del Ministro.
Salvini sembra però non aver imparato la lezione, e il motivo è semplice. Non vuole impararla, perché significherebbe rinunciare a una precisa strategia di comunicazione. Indossare i capi delle forze dell’ordine, per il Ministro dell’Interno, significa caricare la sua figura di quegli ideali di sicurezza e pulizia di cui vuole farsi portatore. Come il premier Giuseppe Conte è stato definito l’avvocato del popolo, Salvini vuole identificarsi come lo sceriffo degli italiani. In un paese dove la paranoia securitaria è agli estremi, il fittizio allarme invasione non fa chiudere occhio a molti italiani e alluvioni e terremoti sventrano il territorio, avere un Ministro dell’Interno che è anche poliziotto, vigile del fuoco e guardia forestale può essere un buon moltiplicatore di successo.
Nel caso dei barracelli sardi, il suo andarsene in giro per le vie di Alghero con la loro divisa lega questa strategia di comunicazione dell’ordine con un’altra, di stampo più locale. Un messaggio di vicinanza alla popolazione, di empatia, un po’ come quando in prima liceo ci si veste come i più cool della classe per far colpo su di loro. “Guarda, è uno di noi”, diranno i cittadini, sentendosi più vicini al Ministro. Questa sottile strategia comunicativa è da sempre un must del Salvini-pensiero, le sue felpe con i nomi delle città cambiati in base al comizio di turno ne sono una dimostrazione. L’episodio di Alghero, però, segna una fusione tra il Salvini cosplayer delle forze dell’ordine e il Salvini amico delle diverse realtà micro-locali: dimensione territoriale e tematiche di sicurezza vanno a sovrapporsi in questo caso, in quello che diventa il perfetto riassunto della sua strategia comunicativa.
Se quando mangia cannoli, pizze e tortellini indossando le felpe delle rispettive città per mostrare la sua vicinanza alla popolazione locale, l’essere uno di loro, non gli si può dir nulla, quando veste le divise delle forze dell’ordine si viene però a creare un problema. E cioè la politicizzazione di queste ultime. Salvini in piazza del Popolo a Roma che veste il giubbotto della polizia durante la manifestazione della Lega, o Salvini vestito allo stesso modo durante un recente comizio, fa passare il messaggio che da autorità nazionale e di pubblica sicurezza il corpo di Polizia si sia trasformato in forza di partito.
Se con la loro presa di distanza i barracelli sardi e i vigili del fuoco hanno già affossato le aspirazioni da cosplayer del Ministro dell’Interno nei rispettivi ranghi, sarebbe ora che anche le altre forze dell’ordine facessero lo stesso, così da preservare la propria credibilità.
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Quel baciamano a Salvini svela il volto della Lega a Sud

Ha impressionato vedere ad Afragola il gesto di sottomissione verso un uomo simbolo di un partito che ha sempre odiato il Meridione


Sono cresciuto in una terra dove vedere baciare le mani di un uomo era cosa comune, nessuno si stupiva, è antica sintassi mafiosa. Vedevo i boss soprattutto durante le festività — prima che cadessero in latitanza o avessero, in clima di faida, paura di uscire in strada — salutare e girare per negozi ricevendo spesso come omaggio il bacio sulle nocche. Il baciamano mi creava disagio quando a farlo era un anziano che si piegava verso la mano di un giovane capo. Al contrario faceva parte del mio orizzonte estetico vedere giovani baciare la mano del potente più maturo. Non solo boss ma anche sindaci o l’infinito stuolo di sottosegretari e assessori. Il bacio che è stato dato alla mano del ministro Matteo Salvini è pregno di tutta la terribile tradizione meridionale di sottomissione.
È il bacio che qualsiasi sovrano o qualsiasi esercito sia passato nel Sud ha ricevuto, un bacio che descrive bene il senso che si ha del rapporto con la politica: la concessione, il favore, la benevolenza. Non c’è diritto, non c’è giustizia, non c’è sicurezza economica, non lavoro ma elargizione, protezione, carità, arbitrio. Quel bacio sta a significare: trattaci bene, facci il favore. Ha impressionato vedere proprio ad Afragola, al Sud baciare la mano di un uomo simbolo di un partito che ha sempre odiato il Meridione, di un movimento nato e fondato sulla convinzione che i meridionali fossero il male e il Sud una zavorra per la crescita del Nord. Il bacio alla mano di Salvini, l’osannarlo come l’uomo della provvidenza, non è cosa nuova, ma il peggiore volto delle genti del Sud che la miseria e l’ignoranza spingono a manifestare il desiderio di vedere migliorata la propria vita con un atto di sudditanza e di sottomissione. Non c’è colpa ma solo la stessa e perenne miseria secolare.
Quel bacio e quelle preghiere sono state rivolte a un ministro che è entrato nella città delle otto bombe di camorra da alleato della vecchia e più compromessa politica locale, ereditandone le clientele. Salvini non ha dato alcuna risposta ai drammi del territorio, ha solo promesso sgomberi e polizia. Scelte che non possono, isolate, risolvere nulla. Non ha provato alcuna vergogna — ma ne ha tratto solo vantaggio — a essere complice della parte peggiore dei poteri locali, scegliendo Pina Castiello come sottosegretaria del ministero per il Sud. Grazie a lei la Lega ha fatto il pieno di voti al rione Salicelle di Afragola, che è la vera anima camorrista di Afragola. Pina Castiello che, per formazione politica viene dalla “scuola” di Luigi Cesaro e di Nicola Cosentino, è alleata dell’ex senatore Vincenzo Nespoli, condannato per bancarotta fraudolenta, accusato della procura di Napoli di voto di scambio, su cui è intervenuta la prescrizione. La Lega è, in linea diretta, erede dei potentati democristiani, poi berlusconiani, poi (cercati e in parte ottenuti) del centrosinistra. E in questo modo la Lega è divenuto il partito rappresentativo delle clientele camorriste.
Eppure si bacia la mano, si lanciano preghiere e suppliche a chi è complice di questa situazione. Gli si chiede di eliminare i nemici e lui, in divisa, augura «Lunga vita» e manda bacioni. Quel bacio è dato a chiunque arrivi lì dispensando promesse di cambiamento; domani andrà ad altre nocche, ieri ha suggellato altre mani: l’eterna immutabilità del Mezzogiorno d’Italia, dalla cui disperazione Lega e M5S alimentano il loro consenso. E sia chiaro, il baciamano non è soltanto un’usanza mafiosa, tutt’altro. Il baciamano ha un’origine antica, ha una tradizione lunghissima e complessa. La diffusione al Sud di questa abitudine deriva dalla tradizione di baciare la mano del prete, le cui mani sono sacre perché celebrano il miracolo dell’ostia. Il nobile, ricevendo da Dio il compito del comando, inizia a farsi baciare la mano come il sacerdote. Ma perché la mano? Il bacio ha un’origine evangelica. Veniva dato alle mani di Cristo, perché Cristo, imponendole sulle persone, compiva miracoli. Anche le mani degli apostoli vengono baciate, come quelle dei santi, perché dalle loro mani discende il miracolo, la grazia.
Nei paesi arabi, si bacia la mano dell’anziano, indipendentemente dalla sua gerarchia sociale. È il bacio alla mano che ti ha dato il pane. Nel tempo il baciamano al feudatario è diventato quello che chiede protezione in cambio di asservimento: esisto perché tu mi concedi di esistere, di stare in vita. È vecchia logica che sopravvive e resiste tutt’oggi con le mafie: se sei in vita significa che loro te lo permettono, perché se loro volessero, saresti polvere. È tutto una concessione. Una loro concessione.
E il baciamano a Salvini è il sigillo di quell’eterno voto di scambio e dell’eterno vassallaggio latifondista in cui oggi la Lega e il M5S diventano i nuovi feudatari. Ricorderete anche quando Berlusconi baciò la mano a Gheddafi. Quel gesto letto come una goliardata del solito Berlusconi fu sigillo di terribile vassallaggio al colonnello Gheddafi che aveva ordinato il massacro dei suoi oppositori. Eppure sembra gesto innocuo nella parte maggiore dei casi. Il bacio alla mano cui siamo più abituati è quello alla mano femminile. Approfondendo nei galatei, questo non è un gesto di sottomissione alla donna né di riconoscimento del suo potere. La differenza tra baciare la mano a una donna e a una Regina, è tutta in un dettaglio: con una bisogna tenere la fronte e gli occhi a terra; con una donna, invece, gli occhi non si abbassano ma fissano quelli di lei. La regola più antica vorrebbe che si guardassero sempre gli occhi della donna e che, anche una volta finito il bacio, si continuassero a fissare, perché il messaggio deve essere: non sono sottomesso, ma sto omaggiando la tua bellezza.
Salvini e il M5S hanno tirato fuori il peggio del peggio dall’antro più oscuro del nostro Paese. Non sono stati i primi né i soli, ma l’hanno fatto nel modo più radicale possibile. Sono a Sud in continuità con i poteri più compromessi e agiscono come se nulla fosse. Sono cresciuto in una terra dove si votava sempre il politico peggiore perché sapevi che, mentre dal politico che faceva una campagna elettorale promettendo maggiore giustizia sociale ottenevi un percorso lungo di lavoro o magari non ottenevi nulla, dal politico compromesso ottenevi la possibilità, in cambio di un voto di un favore, di avere una concessione, fosse pure solo un pacco di pasta. Perché la giustizia sociale non la puoi quantificare, non la puoi pesare qui e ora, e quindi laggiù finisci col pensare che non serva a nulla. Senza girarci troppo intorno: il voto di scambio è ciò sui cui questo governo ha molto presto imparato a fondarsi.
Di una cosa però siamo certi. Tutti i partiti cadono a Sud, tutte le grandi coalizioni cadono a Sud. Il Sud che è completamente scomparso da ogni agenda elettorale in termini di progetti reali e strategie, il Sud che ancora una volta — come sempre — è solo il luogo dal quale dragare preferenze e clientele, sarà lo stesso Sud che farà rovinosamente cadere il governo del cambiamento. Quel baciamano disperato, che da sempre si fa al potente di turno, è già pronto a strappare a morsi le carni della persona prima baciata.
Salvini ha scavato nel fango, ha estratto un mostro dal sottosuolo e lo ha messo su un tavolaccio per risvegliarlo. Ora deve fare i conti con questa creatura che se ne va in giro sulle sue gambe, e di questa creatura lui dovrà sempre rispondere. Questo ha fatto Salvini e questo fa il populismo.
Approfondimento




di DARIO DEL PORTO e CONCHITA SANNINO