Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

mercoledì 25 luglio 2018

Dalla parte giusta


L'appello di Roberto Saviano: "Rompiamo il silenzio contro la menzogna"

"Perché vi nascondete? Scrittori e medici, attori e youtuber: tutte le persone pubbliche, chiunque abbia la possibilità di parlare a una comunità deve sentire il dovere di prendere posizione. Non abbiamo scelta. Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo in questo paese mi sta bene"
di ROBERTO SAVIANO
24 luglio 2018

L'appello di Roberto Saviano: "Rompiamo il silenzio contro la menzogna" -  

Dove siete? Perché vi nascondete? Amici cari, scrittori, giornalisti, cantanti, blogger, intellettuali, filosofi, drammaturghi, attori, sceneggiatori, produttori, ballerini, medici, cuochi, stilisti, youtuber, oggi non possiamo permetterci più di essere solo questo. Oggi le persone pubbliche, tutte le persone pubbliche, chiunque abbia la possibilità di parlare a una comunità deve sentire il dovere di prendere posizione. Non abbiamo scelta. Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo mi sta bene. Ogni parola ha una conseguenza, certo, ma anche il silenzio ha conseguenze, diceva Sartre. E il silenzio, oggi, è un lusso che non possiamo permetterci. Il silenzio, oggi, è insopportabile.

Chi in questi mesi non si è ancora espresso - a fronte di chi invece lo sta facendo con coraggio - tace perché sa, come lo so io, che a chi fa il nostro lavoro parlare non conviene. Spesso sento dire o leggo: "Chi esprime il proprio pensiero lo fa per avere visibilità", ma è una visibilità che ti fa guadagnare migliaia di insulti sui social e la diffidenza di chi dovrebbe sostenere il tuo lavoro perché si sente chiamato a dar conto delle tue affermazioni. Quello che nessuno ha il coraggio di dire è che spesso si tace per non essere divisivi, perché si teme che arrivino meno proposte, meno progetti. Ma se la pensiamo così, abbiamo già perso, perché ci siamo rassegnati a non stimolare riflessioni e ad assecondare chi crede che la realtà sia riducibile a parole d'ordine come "buonista", "radical chic", "taxi del mare", "chiudiamo i porti", "un bacione", "una carezza" ed emoticon da adolescente.
Spesso si tace perché si sa che prendere posizione comporta dividere non solo il pubblico che ti segue sui social, ma anche e soprattutto chi dovrebbe comprare i tuoi libri, comprare i biglietti dei tuoi spettacoli, venirti a vedere al cinema o non cambiare canale quando ti vede in televisione. Ma davvero credete che quello che sta succedendo sia accettabile? Per quanto tempo credete di poter sopportare ancora senza esprimere il vostro dissenso?

Con Berlusconi, in fondo, era tutto più chiaro: c'era lui e c'eravamo noi. Criticarlo portava conseguenze, reazioni forti, artiglieria di fango, ma c'era una comunità attiva, che si stringeva attorno a chi lo faceva. Prendere posizione contro Berlusconi non significava perdere share, copie, consenso. Con Berlusconi era agevole farsi capire anche Oltralpe perché il Cavaliere era in fondo la macchietta italica, un carattere riconoscibile della commedia dell'arte. Oggi non è più così e in questo governo si stenta a scorgere i germi di qualcosa di estremamente pericoloso. "Fai il tuo lavoro e basta" è il richiamo all'ordine che subisce il calciatore che esprime la sua opinione sui migranti, l'attore che indossa la maglietta rossa. E il richiamo all'ordine è già un ricatto: guadagni con il tuo lavoro, non accettiamo commenti politici da chi ha il culo al caldo.

Oggi c'è fastidio verso chi travalica i confini del proprio lavoro e del proprio ruolo per fare quello che sarebbe invece normale: controllare chi ci governa perché, anche se legittimato alle urne, non tradisca non solo il proprio mandato, ma soprattutto la nostra storia e i valori che ci hanno consentito di vivere decenni di pace. La nostra Democrazia è una Democrazia giovane e fragile, ma è prima di tutto antifascista e antirazzista.

Vi sembra che oggi questo governo si stia muovendo nel rispetto dei valori che sono alla base della nostra Costituzione? Che si stia muovendo e che stia comunicando all'interno di un perimetro di sicurezza? Non vi sembra piuttosto che i 70 anni di prosperità e pace appena trascorsi ci abbiamo resi permeabili a partiti politici xenofobi? Che ci abbiano resi disattenti se non disinteressati a vigilare su diritti che una volta acquisiti, se non li difendiamo, possono essere spazzati via da qualche post su Facebook e da una manciata di tweet?

Questo governo, in maniera maldestra ma evidentemente efficace, speculando sulle difficoltà di molti, utilizza come arma di distrazione di massa l'attacco ai migranti e alle Ong. Sta accadendo un orrore davanti al quale non si può tacere: mentre il M5S e la Lega litigano sui punti fondamentali del loro accordo, ci fanno credere che il nostro problema siano i migranti. E se mi rispondete che i governi precedenti hanno fatto altrettanto vi rispondo: non si erano spinti fino a questo punto, ma di certo hanno asfaltato la strada perché tutto questo accadesse. E se mi dite che avete votato per Lega e M5S per ribaltare il tavolo, perché era l'unico modo per mandare via una classe dirigente che aveva fallito sotto ogni profilo, vi dico: vigilate, non delegate, aprite gli occhi perché le cose si stanno mettendo male, male per tutti. Male non solo per i migranti o per le voci che dissentono, ma anche per voi.

Sant'Agostino scrive: "Se togliete la giustizia, che cos'altro sono i grandi Stati se non delle associazioni di ladri? [...] Se una di queste bande funeste si accresce con altri briganti fino al punto di occupare tutta una regione, [...] di dominare delle città, ecco che si arroga il nome di Stato". Quando la politica perde il sentiero della giustizia, si spoglia della sua carne lasciando scoperta l'ossatura banditesca. Sapete perché cito Sant'Agostino? Perché questo passaggio spiega bene come sia possibile che il potere, anche quando iniquo, anche quando ingiusto, anche quando incapace e anche quando criminale, viva indisturbato. Sapete di cosa si sostanzia l'omertà di fronte alle mafie? Se credete solo di paura vi sbagliate. Il pensiero che la protegge è questo: giudico un boss per quello che fa a me. Mi ha maltrattato? No. Ha intimidito qualcuno della mia famiglia? No. E allora per me va bene.

Allo stesso modo oggi pensare che, solo perché questo governo, per ora, non ha toccato noi personalmente - la querela a me è solo un granello se paragonata ai colpi mortali che questo governo sta infliggendo allo Stato di Diritto - e i nostri interessi, possiamo esimerci dal prendere posizione, è atteggiamento ingenuo e irresponsabile che sta legittimando scelte e comportamenti scellerati.

Questo non è uno scontro tra me e Matteo Salvini. Per me non c'è nulla di personale, sento fortissimi il dovere e la necessità di parlare per chi non ha voce. Per i seicentomila immigrati presenti in Italia che devono essere regolarizzati ora, subito, perché siano sottratti allo stato di schiavitù in cui versano. Per le Ong che hanno iniziato a fare salvataggi in mare, aiutando gli Stati europei e l'Italia a gestire un fenomeno che non può essere bloccato, ma solo ben amministrato perché è palesemente una risorsa. Quei politici che oggi si ostinano ancora a sostenere il contrario, di politica e di economia non capiscono niente e sono un pericolo per la tenuta sociale del nostro Paese che è un Paese multietnico. Fieramente multietnico.

Oggi chiedo a voi, miei concittadini, di mobilitarvi per i diritti di tutti, perché anche se a voi oggi sembra di non far parte di questi "tutti", siete già coinvolti. In nome di un presunto benessere, in nome di una maggiore sicurezza ci diranno che in fondo la libertà di espressione è una cosa da ricchi privilegiati, che parlare di diritti di chi fugge e trova inferno in terra e morte nel Mediterraneo è fare il gioco dei negrieri. Addirittura mi sento dire che con le mie critiche aiuto Salvini nei sondaggi: come sempre la colpa non è di chi appicca il fuoco, ma di chi tenta di spegnerlo. Salvini non sale nei sondaggi per colpa di chi lo critica, ma per responsabilità di chi tace e di chi mostra timidezza e timori.

La mobilitazione che vi chiedo è una mobilitazione che riguarda ciascuno di noi, parlate al vostro pubblico e non per me, che in tribunale e fuori so difendere da me le mie ragioni. Vi chiedo di mobilitarvi per difendere i diritti che a breve non ricorderete nemmeno più di aver avuto. Ci stanno facendo credere che non ne abbiamo bisogno, ma presto capiremo che più della tracotanza di questo governo, più dell'arroganza di Salvini, quello che ci sta condannando è il silenzio. La libertà d'espressione e la lotta per i diritti raccontati come "vizi" da élite contro il popolo, che invece invoca sicurezza. Ma la lotta per i diritti è sempre lotta per chi non può permetterseli e per chi spesso non può permettersi nemmeno di chiederli.

E ora voi mi direte: ma le nostre battaglie le facciamo con i nostri libri, con le nostre canzoni, con i nostri spettacoli, con la nostra ironia. È vero, è sempre stato così: ma ci sono dei momenti in cui diventa cruciale capire da che parte si sta e quindi non basta più delegare la resistenza alla propria arte. Dinanzi a menzogne che crescono incontrastate, a truppe cammellate di bugiardi di professione (al loro cospetto gli scherani di Berlusconi erano dilettanti), davanti al dolore che queste menzogne e questi bugiardi di professione provocano, abbiamo tutti il dovere di rispondere: NON È VERO!

Il solito antico scontro: l'arte che prende parte e quella che orgogliosamente disdegna l'ingaggio. La prima che si crede superiore alla seconda in nome dell'impegno e la seconda che si crede superiore alla prima perché rivendica il diritto alla purezza del disimpegno. Steccati che collassano dinanzi ai morti in mare e alle continue menzogne. Dovete parlare ai vostri lettori, ai vostri ascoltatori, a tutti coloro a cui con la vostra arte e il vostro lavoro avete curato l'anima. Abbiate fiducia in voi stessi, avete gettato le basi per essere ascoltati, non abbiate paura di dire a chi vi vuole bene che voi non state con tutto questo.

Ci sarà disorientamento all'inizio, riceverete critiche per aver rotto l'equilibrio dell'equidistanza, che però è fragile e già incrinato. Ma gli effetti virtuosi che domani avranno le vostre parole, vi ripagheranno delle reazioni scomposte degli hater oggi. Il trucco per delegittimarvi lo conoscete, quindi partite (partiamo) in vantaggio. Vi diranno: guadagni? Non puoi parlare. Era così che Mussolini trattava Matteotti prima che venisse ammazzato: sei figlio di benestanti? Non ti puoi occupare di istanze sociali. Pensateci: ma davvero siamo tornati a questo? E soprattutto, davvero stiamo accettando tutto questo? Accettiamo di essere intimiditi da questa comunicazione criminale? Dovremmo vergognarci del frutto del nostro lavoro? Accettare, come vogliono, che autentico sia solo chi tiene la testa bassa?

Scrittori, l'attacco al libro, alla conoscenza, al sapere è quotidiano. "Vai a lavorare" viene detto a chi scrive. Il primo passo di qualsiasi deriva autoritaria parte da disconoscere la fatica intellettuale, togliere alle parole la dignità di lavoro. In questo modo resta solo la propaganda. Editori, non sentite franare la terra sotto i vostri piedi? Prendete parte, non c'è salvezza nel prudente procedere. Bisogna investire casa per casa, strada per strada e conquistare lettori, ossia persone in grado di poter capire il mondo e non subirlo con le maree del rancore: la conoscenza è uno strumento preziosissimo di emancipazione dalla miseria personale, difendiamo questo strumento. Difendiamolo con tutte le nostre energie.

Tra i soccorritori di Josephine, l'unica superstite del naufragio che ha mostrato ancora una volta l'inadeguatezza della Guardia costiera libica a compiere missioni umanitarie, c'era Marc Gasol, uno dei giocatori di basket più forti del mondo, una roccia di due metri e dieci. Dite un po', cosa rispondereste a chi dice: Marc Gasol è ricco, non può occuparsi di chi soffre? Vi sembra un'obiezione plausibile, vi sembra che abbia senso o che siano i deliri di chi oggi ha paura? E allora uscite allo scoperto, oggi l'Italia ha bisogno delle vostre voci libere. Non abbiate paura di chi, più di ogni altra cosa, teme il dissenso perché non ha gli strumenti per poterlo gestire, se non in maniera autoritaria.

E un ministro della Repubblica che querela uno scrittore su carta intestata del ministero sta mettendo in atto un gesto autoritario: sta utilizzando la sua posizione per intimidire non solo me, ma anche voi. Da una parte c'è chi critica, dall'altra tutto il governo, che a oggi non ha manifestato alcun fastidio a essere strumentalizzato. Non mi fa paura la querela e non mi fa paura la solitudine. Ma voi dove siete finiti? Ricordate quando dicemmo "strozzateci tutti" a Berlusconi che avrebbe voluto strozzare chi scriveva di mafie? E ora, dove siete?

Quando ho criticato le politiche dei governi di centrosinistra mi veniva detto che diffamavo il Paese, che diffondevo disfattismo, che esponevo il fianco ai nemici della democrazia. In realtà attivare analisi e critica è il compito (direi il dovere) di chi racconta la realtà; e le sue parole vanno in soccorso della libertà, non la boicottano. Ci siamo ridotti a subire l'offesa che prendere posizione critica su questo governo sia un favore a qualche potente? A qualche interesse? Coraggio!

Ho a lungo riflettuto prima di scrivere queste righe, non vorrei pensiate che vi stia chiamando a raccolta per difendere me, ma vorrei capiste che il tempo per restare nelle retrovie è finito. Se non prenderete parte vorrà dire che quello che sta accadendo sta bene anche a voi. In tal caso a me non resterà il rimpianto di non averci provato, ma voi dovrete assumervi la responsabilità di ciò che accadrà: o complici o ribelli.

"La storia degli uomini - scrisse Vasilij Grossman in Vita e destino - non è dunque la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell'uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell'umanità. Ma se in momenti come questo l'uomo serba qualcosa di umano, il male è destinato a soccombere". Voi siete il piccolo seme dell'umanità, senza di voi l'Italia è perduta. Allora, da che parte state?

domenica 22 luglio 2018

Trumputin /5

Trump succube preferisce Putin all’America

Se Trump era così remissivo in pubblico, figurarsi come cedeva nel faccia a faccia con il russo

Il Foglio - 17 Luglio 2018



Roma. Si pensava che l’incontro tra il presidente americano Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin a Helsinki potesse andare male, ma non si pensava che potesse andare così male e in modo così aperto e così evidente a tutti. Finita la conferenza stampa congiunta con i giornalisti americani e russi, la grande questione nell’aria era: se Trump si comporta in modo così debole davanti a Putin quando è alla presenza dei media di tutto il mondo, allora come si è comportato nel segreto della stanza dove ha parlato con Putin per novanta minuti, più del previsto, unici testimoni i due traduttori? La seconda questione era: cosa resta della credibilità di Trump? Molti alleati si chiedono: e adesso dovremmo credere che il presidente verrebbe in nostro aiuto se la Russia minacciasse i nostri paesi? La questione investe a catena tutta l’architettura di accordi tra America e resto del mondo.
Il peccato originale del presidente americano è che su di lui incombe il sospetto di essere stato aiutato dalla Russia a vincere le elezioni presidenziali nel 2016 e anche il sospetto che sia in qualche modo in debito con il Cremlino, al punto che si ipotizza che i servizi segreti russi abbiano materiale compromettente su di lui raccolto quando era un semplice businessman americano in visita a Mosca – kompromat, in russo, una tattica molto comune che però quella volta centrò un bersaglio grosso: il businessman è poi diventato presidente. Ecco, Trump si è rifiutato di dire qualsiasi cosa che potesse essere anche lontanamente fastidiosa per Putin, si è comportato in modo remissivo e non ha annunciato alcun progresso chiaro a proposito delle questioni internazionali che potevano essere discusse, dall’Ucraina alla Siria. Da una parte lui, che evitava di entrare in collisione a qualsiasi costo, e dall’altra il russo con l’aria del gatto che ha il sorcio in bocca. Di più: Trump ha messo in questione i servizi segreti americani. Lo aveva già fatto, ma dal podio accanto a Putin questo voltare le spalle ai suoi è stato di una potenza mai vista prima. 
Quando gli hanno chiesto se si fida di più delle agenzie di intelligence americane oppure più di Putin, si è sottratto alla domanda secca producendosi in una lunga risposta senza senso, in cui ha detto di avere fiducia in entrambe le parti, e che “però non vedo la ragione per cui dovrebbe essere stata la Russia”, e che prima vuole vedere le mail di Hillary Clinton (era un grande classico dei comizi 2016, ma a Helsinki non aveva senso tirarle di nuovo in ballo) e che si fida della sua intelligence ma “Putin è stato molto convincente e incredibilmente forte a negare”, e che ha pure fatto “un’offerta incredibile: ha offerto ai nostri che stanno investigando sulle spie russe di venire e di lavorare in collaborazione con gli investigatori russi. E’ un’offerta incredibile”. Il russo ha precisato: “In cambio, per reciprocità, manderemo i nostri investigatori in America” per chiarire alcune faccende che premono al Cremlino.
A metà conferenza stampa ha ricevuto un pallone dei Mondiali da Putin come regalo – “ora la palla è nel vostro campo”, ma lui non ha capito la metafora e ha accarezzato il pallone tutto contento. Se questo era il piano dell’intelligence di Mosca fin dall’inizio, sta andando benissimo. Putin è atterrato a Helsinki con una serie di crisi in corso, dall’annessione illegale della Crimea alle sanzioni internazionali all’abbattimento di un aereo passeggeri con 298 persone a bordo sopra il confine ucraino – oggi è il quarto anniversario – fino al dossier Siria, dove Iran e Israele si fronteggiano. Riparte senza che l’America lo abbia messo in difficoltà per un solo minuto.


Se POTUS conferma le bufale russe
Trump cerca di rimangiarsi quello che detto alla conferenza di Helsinki. La propaganda putiniana adesso ha un alleato "better than super" 

Il Foglio - 18 Luglio 2018

Roma. La conferenza stampa di Trump e Putin a Helsinki è stata molto importante per molte ragioni, una in particolare è che il presidente americano ha legittimato il modo russo di raccontare quello che succede nel mondo. Non importa se poi succede, come è accaduto ieri, che Trump cerca di rimangiarsi quello che ha detto al cospetto del presidente russo e di cambiare il senso delle parole che ha pronunciato, come se qualcuno gli avesse spiegato le conseguenze delle sue dichiarazioni. Per esempio, ora accetta le conclusioni dell’intelligence americana sulle interferenze russe (che ci sono state) e tenta di dire che intendeva “non c’è ragione perché non sia stata la Russia a interferire con le elezioni americane”. 
A Helsinki, in realtà ha detto che “non c’è ragione per dire che sia stata la Russia”, come ha capito tutto il mondo collegato in diretta. Dicevamo: la conferenza stampa insieme con il capo del Cremlino è stata importante perché Trump ha legittimato il modo russo di raccontare quello che succede nel mondo. Come si sa, da anni ormai Mosca investe molte risorse e molto tempo nella propaganda di stato per dare una versione dei fatti sempre molto conveniente, anche se fraudolenta: la Russia non ha mai colpe e la responsabilità per le brutture che accadono è sempre dei suoi nemici. Il governo di Putin ha detto di non sapere nulla degli uomini in divisa verde che hanno occupato la Crimea nel marzo 2014 prima dell’annessione (salvo poi ammettere che erano forze speciali russe, in seguito furono premiate con medaglie), di non sapere nulla di un intervento militare russo in Siria (nell’agosto 2015, i bombardamenti russi in Siria cominciarono due settimane dopo), di non essere responsabile dell’abbattimento di un aereo passeggeri in Ucraina nel luglio 2014 (la commissione d’inchiesta creata dal governo olandese ha incolpato ufficialmente la Russia lo scorso maggio), di non sapere nulla del tentato omicidio di un dirigente dell’intelligence russa scappato in Gran Bretagna dopo la diserzione (il New York Times ha tre fonti dei servizi inglesi e americani che accusano l’intelligence militare russa), di non sapere nulla delle operazioni per entrare nei computer del Partito democratico (il procuratore speciale Robert Mueller cinque giorni fa ha incriminato dodici agenti dell’intelligence militare russa) e si può continuare.
Questo ombrello della propaganda difende spesso anche gli alleati: la Russia sostiene che gli attacchi con armi chimiche in Siria o non sono veri (la commissione d’inchiesta dell’Opcw però ha confermato gli attacchi chimici e ha detto che le sostanze usate erano uguali a quelle dell’arsenale chimico siriano, sta ancora lavorando sull’ultimo attacco con il cloro a Douma), oppure che sono stati inscenati da governi occidentali. Di fatto la Russia per schermare il lato oscuro della propria politica estera produce una cortina permanente di fake news, che spesso sono accolte in occidente da una folla adorante. A furia di fake news, è nato un fake world: un mondo alternativo – in cui Hillary Clinton ha creato lo Stato islamico e Angela Merkel si è fatta un selfie con uno stragista di Bruxelles (sono entrambe notizie false, nel caso foste abitanti del fake world) – in cui molti sguazzano felici senza più ricordare cosa c’è fuori.
Dopo le proteste per le sue affermazioni sulle interferenze del Cremlino, The Donald sostiene di essersi espresso male a Helsinki
Se questo è il contesto, da anni ormai, allora il presidente americano dovrebbe guidare le operazioni a ciclo continuo per smontare la propaganda che viene da est, nell’interesse dell’America e dei suoi alleati in Europa. Dovrebbe guidare le incursioni nel fake world. Dovrebbe mettere in luce le contraddizioni e fare da fonte autorevole, considerato che il budget che il governo americano fornisce alle sue agenzie per farsi i fatti degli altri e raccogliere informazioni genuine è il più alto della storia dell’umanità. E invece a un certo punto della conferenza stampa di Helsinki assieme a Putin un giornalista ha chiesto al presidente americano: “Do you hold Russia at all accountable for anything in particular?”. C’è una cosa in particolare di cui ritiene la Russia responsabile, almeno una? Lui ha risposto: “We are all to blame”, possiamo essere tutti accusati di qualcosa. In pratica ha risposto: no. Siamo tutti sullo stesso piano, non c’è vero o falso. Si capisce perché molti media americani il giorno dopo hanno descritto l’incontro come una “capitolazione” davanti a Putin e anche perché c’era molta soddisfazione da parte della Russia, tanto che il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto che l’incontro è stato “magnifico”: “Better than super”  
E invece con un meccanismo classico di rovesciamento ieri Trump, dopo essersi rifiutato di contestare le fake news russe, ha attaccato i media americani perché hanno raccontato male l’incontro con Putin, che è andato persino meglio di quello già ottimo – secondo lui – con la Nato. “The Fake News is going Crazy!”.

Il piano Trump-Putin contro l’Europa

Mueller rovina a Trump la photo opportunity con la Regina e l’incontro con Putin: dodici funzionari dell’intelligence russa incriminati per aver rubato le mail del Partito democratico. Lo sgretolamento delle fondamenta dell’occidente
Il Foglio - 15 Luglio 2018
Metti un russo e un americano a Helsinki
Foto LaPresse
Roma. La presenza di Vladimir Putin si è fatta sentire anche mentre Donald Trump era in visita dalla regina Elisabetta, nella seconda tappa del suo viaggio europeo. Dodici funzionari dell’intelligence russa sono stati incriminati per aver violato e sottratto dati dai sistemi informatici del Partito democratico e dal team di Hillary Clinton durante la campagna elettorale del 2016, provvedimento preso nell’ambito dell’inchiesta sulla collusione con il Cremlino guidata dallo special counsel, Robert Mueller. Ad annunciarlo è stato il viceprocuratore generale, Rod Rosenstein – che però è il titolare dell’inchiesta, dato che Jeff Sessions si è ricusato – in una conferenza stampa che ha rimesso al centro la questione russa dopo i giorni dominati dai litigi e dalle smentite fra gli alleati della Nato. In un comunicato, la Casa Bianca ha ribadito che l’incriminazione non prova alcun tipo di collusione, e non ha condannato l’azione dei funzionari d’intelligence russi.
Dallo scorso anno diversi media scrivono che il procuratore speciale aveva in mano elementi per incriminare alcune spie del Gru, ma il provvedimento ufficiale è arrivato tre giorni prima dell’incontro fra Trump e Putin a Helsinki, l’appuntamento attorno a cui ruota tutta la missione transatlantica del presidente. La notizia complica una spedizione che Trump aveva concepito come una manovra di avvicinamento in tre tappe per presentarsi da Putin con la postura giusta.
Prima di partire aveva detto che le tappe di Bruxelles e Londra sarebbero state probabilmente le più difficili. Al confronto con i dialoghi tra i membri dell’alleanza militare e i titolari della “special relationship”, il colloquio con il competitor delle affinità elettive sarebbe stata una passeggiata di salute. A Bruxelles si è adirato e smentito, ha minacciato e si è intestato vittorie inesistenti, picconando il più rumorosamente possibile un’alleanza che poi, alla prova dei fatti, ha lasciato tale e quale; in Gran Bretagna ha violato protocollo e buonsenso politico mettendo il dito – al solito indelicatamente – negli affari interni dell’alleato più importante.
I primi segmenti del viaggio si stanno mostrando per ciò che sono: preparativi per presentarsi da Putin con l’abito e il trucco giusti. Guardata con la lente d’ingrandimento la spedizione trumpiana è un coacervo di elementi contraddittori e non rivoluzionari, ma se si osserva con un grandangolo, dall’alto, l’immagine che ne esce non potrebbe essere più gradita al presidente russo. Lo spettacolo indecifrabile a cui il mondo ha assistito in questi giorni è funzionale all’avvicinamento alla corte di Putin, è un rito preparatorio per rinsaldare la relazione speciale che Trump non ha mai fatto mistero di coltivare. A Bruxelles e a Londra ha in qualche modo dimostrato di saper battere i pugni sui tavoli degli alleati, destabilizzando certezze consolidate, e questo agitarsi furioso all’interno del blocco occidentale è la gioia di Putin. Si tratterà di vedere se e come i provvedimenti contro gli agenti russi cambieranno la posizione di Trump che ha già ampiamente dimostrato di essere impermeabile ai fatti, quando vuole. La performance del presidente che abbaia agli alleati “è deludente ma alla fine prevedibile” ha detto il senatore John McCain, sottolineando che Putin “è un nemico dell’America perché ha scelto di esserlo”. Trump, ha scritto McCain, deve chiedere conto a Putin delle sue azioni in Crimea, in Siria e altrove, e “se non lo farà pregiudicherà la leadership americana nel mondo”.
In questi giorni Trump ha occasionalmente attaccato Putin, ha accusato la Germania di essere “prigioniera” di Mosca e ha firmato, assieme agli altri membri, una dichiarazione fortemente antirussa, ma il generale indebolimento della Nato è l’obiettivo primario di Putin, il quale è ben disposto a subire qualche formale presa di posizione antagonista in cambio di un generale indebolimento o di un rinnovato clima di confusione nei ranghi dell’Alleanza atlantica. Nell’improvvisata conferenza stampa di Bruxelles Trump si è lasciato sfuggire un commento positivo sul fatto che in Crimea i russi costruiscono ponti, cosa che ha eclissato altre frasi critiche sulla situazione della penisola, e ha detto che parleranno della possibilità di cancellare le esercitazioni militari sul confine russo. 
In cambio Trump potrebbe chiedere l’allentamento dei rapporti con l’Iran, cosa caldeggiata da Israele e Arabia Saudita, ma la recente storia dei negoziati diplomatici racconta che il presidente duro con gli alleati ha una certa inclinazione a concedere qualcosa in cambio di nulla. E’ il caso delle esercitazioni cancellate nella penisola coreana a fronte di nebulose promesse di denuclearizzazione.
Una tesi è che tutto questo sia parte di una grande tattica negoziale. In fondo, Trump ha firmato a Bruxelles una dichiarazione solida e tradizionale, ha aumentato le truppe americane sul confine est della Nato, ha allargato il budget per la difesa degli alleati europei e ha fatto diverse manovre per consolidare le alleanza. Tutte “cose vere, ma che non contano” ha scritto lo storico Bob Kagan sul Washington Post, sottolineando che aumenti incrementali di truppe o finanziamenti “non significano molto quando le fondamenta dell’alleanza si sgretolano”. Secondo Kagan, lo show di Trump in preparazione all’incontro di Helsinki non è una normale lite in famiglia, ma il segno che “l’alleanza democratica che è stata la roccia su cui l’ordine liberale a trazione americana è stato fondato, oggi è consumata”. Nessuno meglio di Putin conosce questa lezione.

domenica 15 luglio 2018

appunto


"Prima sono i governi precedenti, poi l'Europa, ora sono i migranti, i rom, poi vengono attaccati gli scrittori e i giornalisti che non sono d'accordo e che provano a scardinare uno storytelling che vorrebbe la politica italiana mai colpevole di niente: si riesce a spacciare per nuovo un partito come la Lega che ha all'attivo decenni di malgoverno, una truffa allo stato milionaria, rapporti con la 'ndrangheta e conti correnti sequestrati" (R. Saviano)

sabato 14 luglio 2018

Differenze?

Dove sta la differenza tra Trump e Salvini

Tra uno sbrasone globale e un piccolo bullo c'è la stessa distanza che esiste tra il fare e il chiacchierare

Il Foglio - 11 Luglio 2018

Trump è un impostore, un uomo infido, un petulante narcisista, uno che ha come progetto permanente la divisione dell’America su linee di guerra civile, la divisione dell’occidente e della Nato a favore di Putin perché costa meno e rende qualcosa (“e vissero infelici perché costava meno” è una classica battuta sul micragnoso modo di vivere di certuni tra i piccolissimi borghesi, anche billionaire), cerca la rottura del libero commercio internazionale per agitare il segnacolo dell’America First a quegli ossessionati dei suoi sostenitori in un paese da sempre ineguale, opulento e senza disoccupazione; è un gigantesco Toninelli, dice che la Germania dipende dal gas russo per il 60 per cento, invece è il 9 per cento, forse potrebbe scambiare un rimorchiatore per un incrociatore, e tratta i messicani come Salvini vorrebbe trattare i neri, non un giusto processo agli ammutinati della Guardia Costiera, gente in fuga che ha minacciato sfracelli perché non voleva essere riconsegnata ai libici (chi non avrebbe fatto lo stesso?), ma divieto di sbarco e “manette” garantite dal ministro dell’Interno in cerca di uno scalpo da offrire a una base frustrata e rancorosa.
Detto questo, Trump è uno che può ridurre le tasse, deregolamentare il sistema, rimettere in discussione il pre-nucleare iraniano, nominare gente preparata di orientamento conservatore alla Corte Suprema. Tutte cose interdette ai Salvini trumpeggianti, che ci prendono in giro con la loro battaglia navale in modo grottesco, prevedibile, da parecchie settimane, fino al divieto d’attracco alle imbarcazioni della Guardia Costiera, una scemenza ovviamente contraddetta perfino da un ministro dei Trasporti ignorante come un rimorchiatore, quando è troppo è troppo. La differenza tra i due, uno sbrasone globale che mette il mondo in pericolo e un piccolo bullo che si mette di traverso a Pontida, sta nella congruità. Eletto presidente degli Stati Uniti, Trump è a conoscenza dei suoi immensi poteri, e li usa nella maniera ribalda che si sa finché glielo consenta la maggioranza del Congresso. Divenuto ministro dell’Interno in una coalizione di opposti convergenti alla ricerca di un potere immaginifico, popolo contro élite, il nostro Truce o Duce o Buce fa del priapismo la sua bandiera esclusiva, copre con l’eccitazione e pesanti pennellate di mascara una quantità di promesse che sa di non poter mantenere, e tutto perché ha intuito ma senza capirlo nel profondo che non c’è congruità fra la sua autorità e gli strumenti a disposizione.
Un presidenzialista velleitario in uno stato fatto di frammenti, di pulviscolari ostacoli all’azione, fondato sulle tecniche del rinvio e le intermediazioni, inserito in una logica sovranazionale e intergovernativa ferrea, legato a una moneta che il popolo ardentemente desidera e di cui ardentemente desidera parlare male come capro espiatorio della bassa produttività generale e dell’arte di arrangiarsi, il Truce dovrebbe trovare la misura del suo Ego applicato al suo status, e invece siamo già alle smentite della ministra Trenta, alle gite di contrizione al Quirinale, a quella situazione in cui a forza di fare il bullo si è destinati a trovare qualcuno più bullo che bulleggia a tue spese. Senza opposizione, ciò che non si può dire di Trump, nonostante tutto, Salvini fa l’opposizione a sé stesso con i suoi farisaici estremismi, con le sue parole d’ordine da cortile, con i suoi comportamenti ostili al senso minimo delle istituzioni, con i suoi banali “lo dico da papà”, con i suoi selfie a sfavore dei miserabili di San Ferdinando, con le sue alleanze speciali con i nemici d’Italia, con la sua stessa sicurezza di sé così tenera e penosa, con le sue fissazioni che sono peggio della malattia. Ci fosse un’opposizione seria, questo trumpetto che a confronto l’originale sembra il Principe di Machiavelli, sarebbe già a casa.