Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

domenica 23 dicembre 2007

SUV...VIA |

condivido integralmente questo bell'articolo di http://www.nonluoghi.info/2007/07/460/

Suv, urgono divieti e limitazioni delle auto giganti (e non solo…)
 [articolo del 20 marzo 2006, aggiornato il 6 luglio 2007]
Siamo veramente un Paese sui generis. Da un lato abbiamo a che fare quotidianamente con il problema irrisolto dell’aria irrespirabile nelle nostre città (e delle conseguenti malattie e morti), dall’altro celebriamo nei mass media il primato delle vendite di automobili che caratterizza l’Italia in Europa senza che si levi almeno una voce critica (vedi le ultime liturgie sui dati di giugno 2007 che collocano l’Italia al top del mercato e rinvigoriscono il ruolo della Fiat). Come se le due cose non fossero facce della stessa medaglia mortale che ci sta schiacciando in questo lungo e rischioso declino della tecnologia ottocentesca chiamata motore a scoppio (i padroni del petrolio e i loro alleati sono riusciti sia a paralizzare l’evoluzione tecnologica sia a indurre le persone all’uso totale dell’auto individuale marginalizzando i mezzi collettivi e l’andare a piedi o in bicicletta).
D’altra parte, che dire se mentre ci si interroga a vuoto sul miglioramento della qualità dell’aria, i centri storici e le stradine di montagna e di campagna sono letteralmente invasi da quelle vie di mezzo fra una vettura e un Tir chiamate Suv (Sport Utility Vehicles)?
Si tratta di veicoli che consumano enormemente più di una utilitaria, che rappresentano un grave pericolo in caso di incidente (data la stazza, le dimensioni e la forma), che secondo alcuni studi presentano anche altri rischi aggiuntivi nel traffico, che necessitano di molto spazio per circolare e sostare, che inglobano anche costi di produzione significativi in termini ambientali così come hanno maggiori effetti dannosi sull’ambiente.
Insomma, come denunciano molte organizzazioni ecologiste, sono uno dei simboli della società dei consumi e dello sviluppo insostenibile. Inoltre, sono un chiaro simbolo di diseguaglianza sociale e di distribuzione iniqua del reddito: mentre i più devono stringere la cinghia e stentano ad arrivare alla fine del mese, ecco che una minoranza fa proliferare le vendite di Suv e di enormi fuoristrada che invadono il territorio e diventano oggetto di culto negli spot pubblicitari (e nelle rubriche di disinformazione) in tv o nelle riviste patinate.
Il fenomeno è aggressivo e rilevante sia nelle aree metropolitane sia nelle zone montane o collinari, dove un numero significativo di persone, evidentemente ben disposte a spendere soldi per automobili in cui sentirsi più privilegiati e sicuri, scambia le stradine strette e tortuose dei nostri monti per le praterie del Texas e si muove con fuoristrada, pickup o Suv di dimensioni impressionanti, mettendo così in pericolo l’incolumità altrui e contribuendo al tasso di polveri sottili spesso oltre le soglie d’allarme anche in piccole località di villeggiatura d’alta quota.
Le richieste di vietare o almeno limitare l’uso di queste auto “geneticamente modificate” si rincorrono e in qualche caso diventano legge, come a Firenze con l’ordinanza che mette al bando le Suv in centro storico o a Parigi con la decisione di varare un simile provvedimento. In Germania il noto ecologista Wolfgang Sachs, già direttore di Greenpeace, propone saggiamente una misura netta: vietare la vendita di Suv, veicoli che definisce “altamente inefficienti” accusandoli di “aggravare la già pesante dipendenza dal petrolio”, perciò “nessun governo di buon senso può autorizzare auto ad alto spreco”.
In Italia, il govero di centrosinistra non è riuscito sostanzialmente a correggere la deriva incoraggiata dal centrodestra: nella Finanziaria 2007 doveva esserci, ma poi si è sgonfiato, un provvedimento fiscale che aveva lo scopo di scoraggiare l’acquisto di Suv (immaginiamo che la lobby dell’auto abbia fatto il diavolo a quattro).
Per parte sua, Bob Ecker, scrittore americano, propone un esperimento per ricondure a più miti consigli i cittadini: proibire la pubblicità delle auto così come si fece con quella delle sigarette. In entrambi i casi siamo di fronte a prodotti che hanno effetti dannosi sulla salute di chi li utilizza e degli altri: in Italia fra inquinamento e incidenti si parla di oltre diecimila morti l’anno (ma secondo alcune stime sono molti di più) e di centinaia di migliaia di spedalizzazioni, che oltre a rappresentare un dramma per le vittime sono anche un pesante costo sociale ed economico (a proposito di spesa pubblica…). L’autore, che è il presidente dell’associazione degli scrittori di viaggi della Baia di San Francisco propone di smitizzare l’auto, di metterene in primo piano anche le controindicazioni, di favorirne un uso limitato e consapevole (l’articolo nel San Francisco Chronicle: www.sfgate.com/cgi-bin/article.cgi?file=/chronicle/archive/2006/02/06/EDGU9GJCDM1.DTL ).
Nel caso delle auto poi, se ci facciamo caso, la pubblicità generalmente è ingannevole: ce le mostra immacolate e silenziose (come se funzionassero ad acqua con sottofondo musicale…), suadenti e solitarie (tutto lo spazio solo per noi), dentro territori naturali e incontaminati (dall’Artico alla Savana) così ammiccanti al nostro immaginario di libertà eppure così lontani dalla realtà delle nostre città coperte da una mortale cappa grigia dentro la quale finiremo per guidare il desiderato feticcio a quattro ruote, nelle code sulle tangenziali della nostra malattia metropolitana.
Nella riforma del Codice della strada si è inserito un divieto sull’uso della potenza e della velocità come richiamo pubblicitario. Solo un piccolo passo, la cui applicazione sarà tutta da verificare, in un contesto che incentiva in continuazione l’uso e l’acquisto dell’automobile celebrandone i gran premi di formula uno o i rally di montagna. E per chi sceglie eroicamente di abbandonare ugualmente il mezzo privato, l’incentivo pubblico si sgonfia fino al ridicolo, riducendosi a un abbonamento annuale all’autobus
Purtroppo, nel discorso pubblico italiano si continua largamente a ragionare e a mettere in atto operazioni propagandistiche – probabilmente non proprio disinteressate – come se il tempo si fosse fermato a quarant’anni fa, come se oggi, con l’umanità sul baratro di un collasso ecologico irreversibile, avesse senso riproporre le medesime ricette di “sviluppo” che hanno mostrato gravissimi effetti collaterali e che, al contrario, vanno rimesse profondamente in discussione per costruire un futuro di “benessere”.
E invece, imprenditori, politici, opinionisti, accademici e giornalisti (categorie ampiamente ancorate a questa visione sviluppista preistorica, siamo il Paese della diretta tv per la nuova Fiat 500) non fanno che bombardare quotidianamente i cittadini con le vecchie suggestioni da zombi sulla necessità di “grandi infrastrutture”, siano esse nuove autostrade, per completare l’intasamento del territorio con Tir carichi di merci e semilavorati che si sposatano inutilmente creando pesanti costi sociali, oppure treni ad alta velocità che portano benefici solo nelle tasche dei costruttori che si arricchiscono grazie al buco nero della spesa pubblica per le grandi opere.
Così, può capitare che nel giorno in cui il governo di centrosinistra ci spiega che la ferrovia ad alta velocità da Lisbona a Kiev è uno snodo fondamentale del benessere degli italiani (!), in Sardegna due treni si scontrano frontalmente su una vecchia strada ferrata ancora a binario unico (come molte in Italia) e muoiono alcune persone. Non serve un’aquila per comprendere che cosa porterebbe davvero giovamento alla popolazione italiana: migliorare profondamente la rete ferroviaria e i trasporti pubblici metropolitani o buttare centinaia e centinaia di miliardi di euro in opere tanto grandiose quanto inutili e addirittura a rischio di non finire mai o di essere pronte quando gli scolari di oggi saranno pensionati (se esisteranno ancora le pensioni, altrimenti, diciamo, azionisti che amano la vecchiaia a rischio, come desiderano i vari rètori della previdenza privatizzata).
Nel frattempo, ovviamente, i costi monetari – a carico di noi tutti – saranno aumentati notevolmente, mentre si sarà cercato di occultare quelli sanitari e ambientali, come si fa quotidianamente celebrando un modello trasportistico e produttivo incompatibile con la sopravvivenza umana sul pianeta Terra.
Dettaglio, quest’ultimo, che sembra veramente lasciare indifferenti i piazzisti dei “corridoi” (Lisbona-Kiev, Palermo-Berlino… basta che la Ue si inventi due paroline e questi zombi di una politica decotta ci bombardano con le loro costose stupidaggini a carico del destinatario), i sacerdoti del libero mercato sovvenzionato con i soldi pubblici delle grandi opere inutili e dannose: Tav, autostrade, inceneritori nelle loro varie declinazioni edulcorate (termovalorizzatori, rigassificatori, termodistruttori e avanti con la fantasia per gabbare i cittadini e gettare soldi nel mare degli appalti).
A proposito di rifiuti, la Campania dell’emergenza permanente rappresenta l’apoteosi della non politica in questa materia ed è non poco irritante sentire tutti i giorni personaggi pubblici (e non) ripetere all’infinito che servono impianti (leggi inceneritori, dai quali, come noto non escono diossine e altri veleni ma vapori di aromi tonificanti), senza spendere una parola sulla necessità di interventi drastici per ridurre la produzione di spazzatura (e quanto a raccolta differenziata, riciclo e riuso, se ne fa qualche pallida menzione, giusto per dire qualcosa di politicamente corretto). L’emergenza permanente a quacuno può anche fare comodo.
Idem per il traffico su gomma: come si può pensare di affrontare inquinamento e crisi energetica senza mettere in atto strumenti che scoraggino l’uso di auto e Tir, e più in generale orientino il corpo sociale al risparmio e alla sobrietà?
È forse scoraggiare l’uso delle vetture private distribuire incentivi per rinnovarne rapidamente il parco nazionale? E lo è mantenere i pedaggi autostradali per gli autotreni a livelli enormemente più bassi di altri Paesi europei? Far costare il trasporto impazzito di merci avrebbe sicuri effetti dissuasivi, ma ci vuole il coraggio di affrontare l’agguerrita lobby delle aziende di autotrasporto, architrave di un disegno che vorrebbe fare dell’Italia la piattaforma logistica d’Europa, con buona pace di chi la abita.
Una delle patologie degli zombi della politica italiana è questa schizofrenia che fa solo confusione e non corregge minimamente i fenomeni dannosi di cui essa stesa è la principale responsabile – a livello centrale e territoriale – avendo assecondato per decenni i processi devastanti con cui ora stiamo facendo i conti.
Buon senso vorrebbe che chi ha contribuito a portarci in mezzo al guado, nella melma, adesso almeno si faccia da parte e non pretenda di farsi pagare da noi tutti anche come “guaritore”: abbiamo sperimentato la sua incapacità, forse facciamo meglio da soli. Grazie lo stesso.
È arrivato il momento delle scelte profonde, sia per intervenire direttamente su dinamiche devastanti (come l’inquinamento industriale e da traffico) sia per mettere in atto correttivi su fenomeni collaterali dall’elevato peso simbolico (come i Suv in città o le moto che usano i passi di montagna come la pista di un Gp rendendo insopportabili, sul piano acustico, visivo e olfattivo, anche i più incantevoli luoghi d’alta quota). Il percorso di inversione di questa tendenza è inevitabile, ma la ragnatela di interessi e di connivenze fra pubblico e privato lo rallenta al punto da mettere in secondo piano la priorità della tutela della salute umana e della sopravvivenza dell’ambiente naturale.
Perciò, oggi più che mai, urgono mobilitazioni istituzionali e popolari per portare all’ordine del giorno, nell’asfittico dibattito pubblico nazionale, iniziative radicali, come l’espulsione delle auto dalle città (a cominciare dai Suv), ma con lo sviluppo parallelo di un’offerta certa ed efficiente di mobilità alternativa anche verso le periferie e le aree extraurbane a elevato pendolarismo (mezzi pubblici ma anche nuovi percorsi ciclopedonali sicuri); lo scoraggiamento del trasporto di merci su gomma (pedaggi autostradali più seri per i Tir in modo da tener conto dei costi sociali prodotti; politiche e attività promozionali che favoriscano le produzioni locali per contenere i viaggi dell’acqua in bottiglia dal Piemonte alla Calabria, del latte da Amburgo a Napoli o delle patatine fritte dalla Baviera a Roma; eccetera); interventi, nei piani comemrciali e urbanistici, per invertire la tendenza alla desertificazione sociale di centri storici e frazioni, i primi spesso svuotati di tutto, le seconde vittime della violenza edilizia, trasformate in dormitori privi di servizi (a cominciare dal pane e latte per finire con i trasporti pubblici) e costrette a rivolgersi al più vicino centro commerciale); l’incentivazione fiscale dei comportamenti virtuosi (anche mediante accordi con le categorie produttive, sulla scia di simili esperienze straniere per premiare che non usa l’automobile per andare al lavoro, ma anche per favorire il telelavoro da casa e in generale l’utilizzo della telematica per ridurre il fabbisogno di spostamenti quotidiani nella popolazione); l’orientamento degli investimenti verso infrastrutture che favoriscono lo smantellamento della dittatura dell’auto sia nei percorsi quotidiani sia nel tempo libero (ferrovie leggere, metrò di superficie, bus navetta elettrici, modelli di interscambio fra bicicletta e mezzi pubblici, al limite parcheggi di attestamento in corrispondenza delle stazioni extraurbane eccetera); l’introduzione di norme radicali sul traffico in montagna, con la limitazione o il divieto di transito – ai non residenti – sopra una certa quota (affiancata dall’avvio di servizi di bus navetta e dall’utilizzo, ove presenti, degli impianti di risalita in genere usati invece solo d’inverno per gli sciatori): si potrebbe cominciare con la messa al bando delle motociclette dai passi in cui sfrecciano rombanti deturpando la quiete montana e spesso provocando incidenti stradali anche gravi. .
Ma probabilmente è da folli immaginare che questi e altri correttivi urgenti e necessari vengano davvero messi in atto da una classe dirigente come quella italiana, largamente incline a promuovere o assecondare impunemente grandi opere inutili o dannose, dall’alta velocità ferroviaria a qualche nuova autostrada sulle Alpi, mentre la vita quotidiana del paese langue dentro una nube tossica petrolifera.
Infine, per tornare ai Suv, riportiamo qui sotto alcune informazioni di Legambiente e il testo dell’ordinanza anti-Suv del Comune di Firenze.

[zenone sovilla]
[articolo del 20 marzo 2006, aggiornato il 9 luglio 2007]<(b>
Un comunicato di Legambiente datato giugno 2005
“BANDIAMO LE FUORISTRADA DALLE NOSTRE CITTÀ”
Con una lettera aperta ai sindaci della grandi città e una interrogazione parlamentare di Ermete Realacci, Legambiente propone un pacchetto di provvedimenti a costo zero per dare al trasporto urbano più sicurezza, più efficienza energetica, più fluidità, meno inquinamento e meno problemi di parcheggio. Parola d’ordine: fermare gli Sport UtilityVehicles (SUV), sull’esempio di quanto si sta facendo in Francia.
Parte da Milano, capitale italiana degli Sport Utility Vehicles, l’iniziativa nazionale di Legambiente per arginare il pericoloso fenomeno delle fuoristrada da città, che nel febbraio 2004 sono arrivate al 5,47% delle nuove immatricolazioni in Italia. Un fenomeno che viene dagli USA, dove i SUV rappresentano già il 20% del parco auto circolante, con la differenza che l’Italia con le sue croniche carenze di spazio rappresenta un terreno ancora più inadatto ad ospitare queste gigantesche creature.
Come ampiamente dimostrato dal dossier di Legambiente presentato nella conferenza stampa di questa mattina, i SUV sono i porta-bandiera di un processo di regresso tecnologico che sta portando ad una perdita di efficienza energetica nel trasporto privato su gomma. L’aumento della stazza media delle auto minaccia infatti di vanificare tutte le conquiste fatte dalla ricerca per ottenere motori più efficienti. I 10 SUV più venduti in Italia hanno consumi urbani del 60-70% superiori rispetto a quelli delle 10 auto più vendute tout court. Gravi inefficienze anche per quanto riguarda gli ingombri: 4.50 – 4.80 metri di lunghezza in media con picchi di 5 metri, per larghezze che in media si aggirano intorno ai 1.9 metri, rappresentano stazze pachidermiche che non solo recano disturbo agli altri ma che procurano grave impaccio agli stessi conducenti. Tanto più se consideriamo che i possessori di SUV sono per lo più abitanti di città che mai useranno l’auto per andare su percorsi accidentati. Prova ne è che solo una minoranza dei SUV in vendita sono dotati di ridotte, le marce adatte alla guida fuoristrada, in dotazione su soli 4 dei 10 modelli di SUV più venduti in Italia.
Spesso chi acquista un SUV lo fa perché crede che siano auto molto sicure. Ma non sempre è così. Il baricentro è molto alto e dà una forte instabilità alla vettura. Dalle prove su strada effettuate da Quattroruote emerge che “in certe manovre d’emergenza le fuoristrada risultano più impacciate, meno agili e disinvolte e quindi per costituzione più inclini all’incidente”.
Questa grande instabilità si traduce anche in un forte pericolo ribaltamento: per un SUV le probabilità di ribaltarsi in caso di incidente che coinvolge un solo veicolo sono quasi tre volte più alte che per una normale autovettura. Gli spazi di frenata in media sono notevolmente più lunghi che nelle normali automobili a causa della possente massa inerziale. Altri problemi derivano dalla rigidità: se è vero che essa offre protezione negli impatti con i veicoli più piccoli (“effetto schiacciasassi”) è anche vero che la rigidità può diventare molto pericolosa nel caso di scontri con veicoli di massa superiore (es. autocarri) o peggio con barriere fisse indeformabili. In questi casi i corpi degli occupanti sono sottoposti a sbalzi di accelerazione spesso letali. Infine c’è la trazione integrale, che in teoria dovrebbe dare più stabilità alla vettura nei percorsi fuoristrada, ma che in mano ad una persona poco esperta può dare seri problemi in particolari condizioni come nelle frenate e in curva.
L’effetto schiacciasassi.
Ben lungi dall’essere auto sicure per gli occupanti, i SUV sono auto molto pericolose anche per chi si trova nelle vicinanze. Il peso, la rigidità del telaio e l’altezza di queste auto ne fanno dei mezzi estremamente pericolosi per berline e utilitarie, per i pedoni e per i ciclisti. Troppo spesso chi compra un SUV dimentica che la (presunta) sicurezza aggiuntiva di chi vi sta a bordo va a discapito di quella altrui, ossia dei pedoni, dei ciclisti e di tutti quegli automobilisti che non sono disposti (o in grado) di spendere migliaia di euro per queste specie di carri armati. Ricerche condotte dalla IIHS (Insurance Institute for Highway Safety), istituto finanziato dalle società di assicurazione USA, hanno dimostrato che nel caso di scontri laterali tra un SUV e un’auto normale le possibilità di avere un morto sono 5,6 volte superiori che non negli scontri tra due auto normali. Alto il pericolo anche nel caso di scontri frontali: l’altezza e la massa del SUV innescano l’effetto schiacciasassi, il SUV monta sul cofano dell’auto normale, schiacciandolo ed entrando con il muso nel parabrezza. Nel 56.3% degli incidenti mortali che coinvolgono un auto normale e un SUV, il morto era a bordo dell’auto normale, mentre solo nel 17,6% dei casi era a bordo del SUV.
Il problema della scarsa sicurezza verso terzi è aggravato dalla presenza delle cosiddette bull bars, i paraurti sporgenti e rafforzati che rendono ancora più disastrosi gli impatti. Già nel 2001 una direttiva del Consiglio Europeo (26/11/2001) imponeva di vietare questi paraurti, ma per il momento solo la Danimarca l’ha recepita. Un altro problema è quello della scarsa visibilità rispetto quello che succede in basso: passanti e soprattutto bambini rischiano di rimanere fuori dal campo visivo del guidatore di SUV.
Legambiente contro i SUV.
Negli USA e soprattutto in California i SUV sono diventati oggetto di una forte campagna di opposizione. Kerry ha inserito nel suo programma una legge che prevede entro il 2015 un limite massimo di consumi di 13 km/lt per gli autoveicoli privati, segando via di fatto il mercato dei SUV.
I siti internet di associazioni di consumatori e ambientalisti dedicati alla critica dei SUV sono centinaia. Il dibattito si sta spostando anche in Europa. In Francia il Ministro dell’Ambiente del governo di centro-destra ha annunciato una tassa fissa di 3.500 euro sull’acquisto dei SUV e un simultaneo bonus di 800 euro per chi acquista auto diesel a basse emissioni dotate di filtro anti-particolato. Come criterio discriminante il governo francese ha scelto le emissioni di CO2 per chilometro. Sopra i 180 grammi di CO2 si pagano dai 3500 ai 400 euro, sotto i 140 grammi si riceve il bonus. Si tratta di un provvedimento a costo zero. Da parte sua il consiglio comunale di Parigi ha approvato il 5 giugno scorso una delibera anti-SUV. Il divieto vero e proprio entrerà in vigore tra diciotto mesi, quando il sindaco Bertrand Delanoe varerà il nuovo piano sul traffico.
Legambiente intende fare la sua parte, con una serie di richieste ai sindaci delle grandi città e al governo italiano, cui è stata mossa una interrogazione parlamentare da parte di Ermete Realacci, Presidente onorario di Legambiente:
1. Patente speciale per i SUV, con una prova supplementare per accertare che il conducente sappia controllare i rischi derivanti dal baricentro alto, dalla trazione integrale e dai pneumatici dal fianco alto.
2. Divieto di circolazione nei centri storici, come proposto dal sindaco di Parigi e sosta a pagamento maggiorata per i SUV.
3. Disincentivi fiscali per i SUV, tassa di proprietà maggiorata, sull’esempio francese.
4. Obbligo da parte dei costruttori e dei venditori di informare gli acquirenti circa i danni ambientali della loro auto, così come previsto dalla normativa europea1. Chiediamo inoltre che sui SUV vengano affissi degli avvisi che mettano costantemente in guardia il guidatore sui pericoli di ribaltamento, come avviene negli USA (adesivi “vehicle may roll over” all’interno dell’abitacolo). Chiediamo che venga fatto obbligo di indicare sugli annunci pubblicitari dei SUV tutti i rischi legati alla guida di questo tipo di veicolo.
5. Agli editori chiediamo che rigettino la pubblicità dei SUV.
6. Chiediamo che l’Italia recepisca al più presto la direttiva 26/11/2201 del Consiglio Europeo che prescrive il divieto delle bull bars.
Il grande vantaggio di questi provvedimenti è che essi sono per lo più a costo zero per il governo o addirittura a credito per l’erario. Inoltre essi produrrebbero un benefico effetto perequativo tra la popolazione, ridistribuendo il carico dei costi sociali dell’inefficienza energetica, della pericolosità, dell’ingombro e dell’inquinamento a vantaggio dei cittadini più virtuosi.
Legambiente lancia inoltre un CONCORSO DI IDEE per una campagna anti-SUV. Gli interessati sono invitati a sottoporre materiale di satira anti-SUV che poi verrà fatto circolare via web e non solo. Sono ben accette elaborazioni grafiche e verbali, pittogrammi, fotomontaggi, slogan, adesivi, finti annunci pubblicitari, foto, delazioni, vignette, ecc. Inviate le vostre idee a lombardia@legambiente.org..
Il dossier completo e il materiale della campagna anti-SUV è consultabile su http://www.legambiente.org/documenti/antisuv/index.html
***
Riportiamo, con la speranza che siano utili ai politici che sul territorio intendano seguire questa medesima strada, il testo dell’ordinanza fiorentina, contro la quale tra l’altro un pool di grandi aziende prodruttrici di automobili ha già perso un ricorso al Tar Toscana (sentenza della sezione III – 24 ottobre 2005, n. 5219).
***
Ordinanza numero: 2004/M/09189 del Comune di Firenze.
OGGETTO: DIVIETO SUV
I L S I N D A C O
Vista la propria ordinanza 2004/M702701 con la quale viene definita la disciplina e normativa della Zona a Traffico Limitato;
Rilevato come si vada intensificando l’utilizzo anche sulle strade del centro cittadino di veicoli comunemente denominati “fuoristrada da città”, caratterizzati dall’immatricolazione come “autovettura” ma con una massa ed un diametro ruote notevolmente superiore alle comuni vetture da città;
Considerato come le strade ed i marciapiedi del centro cittadino, abbiano per la loro origine storicamente antica, dimensioni particolarmente ridotte e quindi siano assolutamente inidonei a sopportare il transito e la sosta dei veicoli di cui sopra;
Rilevato anche che le grosse dimensioni dei pneumatici di questi veicoli, studiati per superare i dislivelli delle dissestate strade di campagna, facilitino manovre vietate e scorrette, quali la salita e discesa dal marciapiede, provocando oltre al pericolo ed intralcio alla circolazione dei pedoni, anche danneggiamenti alla pavimentazione;
Ritenuto opportuno per le considerazioni di cui sopra, al fine di dare un primo segnale per scoraggiare l’utilizzo di questi veicoli nell’inidoneo contesto urbano del centro storico, di vietare a partire dalla data stabilita nella parte dispositiva della presente ordinanza, il rinnovo ed il rilascio di nuovi permessi per la circolazione nella ZTL di Firenze a veicoli immatricolati come “autovetture” con diametro delle ruote, pneumatici compresi, superiore a 730 mm, esentando comunque da questo provvedimento i veicoli intestati a persone fisiche anagraficamente residenti in ZTL, gli autocarri e quelli che vengono ricoverati in autorimesse o aree private;
Visti gli artt. 6 e 7 del Codice della Strada approvato con D.L. n.285 in data 30/04/92 con i quali si dà facoltà ai Comuni di stabilire obblighi, divieti e limitazioni a carattere permanente o temporaneo per quanto riguarda la circolazione veicolare sulle strade comunali;
Visto l’art. 81 del vigente Statuto Comunale:
O R D I N A
Che con decorrenza dal 1° Gennaio 2005 e fino a nuova disposizione , NON siano rinnovati o rilasciati nuovi permessi di transito per la Zona a Traffico Limitato alle categorie previste dall’ordinanza 2004/M/02701 e di seguito riepilogate, per i veicoli immatricolati come “autovettura” caratterizzati da ruote con diametro, compreso lo pneumatico, superiori a 730 mm.
Punti dell’ordinanza 2004/M/02701 a cui si applica il provvedimento di cui sopra:
* Cap.III punto 7 esclusi i punti 7.4, 7.11, 7.12, 7.15
* Cap.IV punto 8 escluso il punto 8/e
* Cap.VI punto 16
* Cap.VII punti 17,18,19,20,21,24,26,29,30,31 e 31/bis
* Cap.IX punto 35 escluso i veicoli immatricolati come “Autocarri”, e punto 35/bis
* Cap.X esclusi i veicoli immatricolati come “Autocarri”
I permessi rilasciati in data antecedente al 1° Gennaio 2005, restano comunque validi fino alla scadenza, ma non saranno rinnovati.
La Direzione Mobilità, è incaricato della esecuzione della presente ordinanza. La soc. concessionaria Firenze Parcheggi, gli Agenti di Polizia Giudiziaria ed a chi altro spetti sono incaricati dell’osservanza della presente ordinanza.
I contravventori alla medesima saranno puniti ai termini di legge.
Firenze, lì 27/12/2004
Sottoscritta digitalmente da
Sindaco
Leonardo Domenici

mercoledì 19 dicembre 2007

Parola d'ordine: convocare la cappella estesa (e guai a farla aspettare)

Qual è il primo atto (non solo formale) di ogni degno (...) dirigente che si sia (o sia stato) appena insediato in un nuovo ufficio? Preoccuparsi di organizzare al meglio il lavoro? Cercare di comprendere e affrontare al più presto gli eventuali problemi irrisolti inerenti a quella realtà lavorativa? Ragionare su come meglio dar corso a pendenze lavorative arretrate e/o prevenirne di future?
No. Convocare la locale cappella sindacale. Meglio se in versione allargata (cappella + cupola locale, o anche - in un caso più specifico - sot-tocappella e sot-tocupola locali), così da sottrarre eventualmente un maggior numero di soggetti da ipotetiche incombenze lavorative da cui, seppur tradizionalmente esentati, potrebbero rischiare di essere - magari per errore o per l'impudenza di qualcuno - sfiorati.
Si badi, non convocare l'insieme dei dipendenti o dei lavoratori, ma il loro opposto, ovvero i loro indegni e più o meno abusivi in termini democratici (la proporzionale con voto di lista per organi pletorici è altro rispetto alla scelta democratica) sedicenti "rappresentanti", cioè coloro che meno di tutti hanno interesse, necessità e titolo di occuparsi di questioni lavorative (le quali evidentemente sono tutt'altro che prioritarie anche per il convocatore oltre che per i convocati... ammesso che ci sia differenza).
Questo evidentemente per un semplice scopo: omaggiare (con estrema sollecitudine) i veri padroni e mettere simbolicamente in chiaro che essi sono riconosciuti tali.
Questo è quanto puntualmente avviene. Degno spaccato di un settore di merda (tra i tanti) di un Paese di merda. Auguri.

sabato 8 dicembre 2007

Il costo della casta vaticana

Proprio nella giornata in cui si celebra il dogma inventato da Pio IX e la ricorrenza istituita come festività civile dal fascismo per meglio leccare le chiappe (oltre a tutto il resto) al Vaticano - e ovviamente mantenuta dai servitori successivi fino agli attuali -, pare utile e doveroso pubblicare il testo di una coraggiosa inchiesta de La Repubblica sui costi di quella che si può senz'altro definire "la casta vaticana" per lo stato italiano e le sue finanze, e quindi le tasche dei cittadini italiani: costi probabilmente incalcolabili nella loro interezza (tantissime sono le voci non documentate e non documentabili) e che pertanto possono far considerare assolutamente minimale e al ribasso la stima, riferibile alle sole voci dcumentate, di 4 miliardi di euro l'anno, che pure gia' da sola puo' considerarsi cifra da manovra finanziaria...

qui è disponibile il testo integrale (.pdf) delle sei puntate dell'inchiesta di Repubblica (pubblicate nel corso di ottobre e novembre 2007);

qui anche alcuni commenti;

qui il testo di una precedente inchiesta (2004) pubblicata dal settimanale Economy (.pdf) sul patrimonio dello Stato vaticano.

Pare opportuno e in argomento riportare qui quanto scriveva in un'occasione E. Rossi denunciando ancora una volta le compromissioni della Chiesa con quella che chiamava "la roba" ("La chiesa e la roba", ora in E. Rossi, "Pagine anticlericali", Kaos edizioni):

(…) Un sacerdote che conosceva molto bene l’organizzazione della Chiesa, l’abate Antonio Rosmini, in un libretto scritto nel 1832 e pubblicato subito dopo l’elevazione di Pio IX al soglio pontificio (delle cinque piaghe della Santa Chiesa, una delle quali era appunto «la servitù dei beni ecclesiastici», che è quanto dire «la roba») osservò che sarebbe stato di incredibile giovamento alla Chiesa una precisa, razionale, ripartizione di tutte le sue entrate, e delle entrate degli ordini religiosi, tra i diversi impieghi, e la pubblicazione di un rendiconto annuale, «sicchè apparisse a tutto il mondo il ricevuto e lo speso in quegli usi con una estrema chiarezza, sicchè l’opinione dei fedeli di Dio potesse apporre una sanzione di pubblica stima o di biasimo all’impiego di tali rendite (…). No, per fermo, non conviene, non è espediente che la giustizia e la carità, secondo la quale opera la Chiesa nell’amministrazione economica de’suoi beni temporali di qualunque specie, si resti sotto il moggio nascosta, anzi è più che mai desiderabile che risplenda siccome ardente face sul candeliere. Oh quanto ciò non concilierebbe a lei gli animi dei fedeli! Che istruzione, che esempio non potrebbe dar ella all’universo intero! E solamente allora la debolezza de’suoi ministri, sostenuta dal giudizio pubblico, si terrebbe lontana dal cedere all’umana tentazione».

Come nel caso della casta sindacale, delle varie corporazioni e delle altre "caste" in genere che infestano e saccheggiano questo nostro Paese, iniziative di questo genere sono rarissime e provocano dapprima un immediato fuoco di sbarramento a tutela dei privilegi denunciati, che ben presto lascia il posto al silenzio e all'oblio (imposti), ritenuti evidentemente più efficaci allo scopo della conservazione dello status quo dopo gli iniziali accenni di sfuriata. Con la conseguenza che tutti questi argomenti hanno sicuramente una cosa in comune (oltre a tante altre): il fatto che se ne parli pochissimo e quasi mai.

sabato 1 dicembre 2007

E' ufficiale: sarà s.o.t.tocappella

Per chi pensava che definirla "cappella" (nonostante le molteplici motivazioni... linguistiche) fosse eccessivo: la cappella sindacale di malpensa sarà in effetti una "sottocappella" (con relativa doverosa integrazione del glossario esposto qui).

giovedì 22 novembre 2007

“Comunque vada sarà su un cesso”

Premetto: il titolo questa volta non è mio, ma suggerimento di un collega, G.N., ironico fiancheggiatore delle cupole.

Elezioni concluse, dunque, per il momento. Al gioco delle trenta carte sindacali il banco, come sempre, ha vinto (con qualche rischio). Tutto è più o meno come prima, la torta è stata spartita nelle solite fette proporzionali, il conto del pasticciere ci sarà recapitato alla prima occasione utile. Il gioco delle tre carte, in fondo, è molto più abbordabile, almeno sono solo tre…
Ci abbiamo provato, senza riuscirci, ma ci abbiamo comunque provato. E abbiamo fatto bene.
Del resto, la differenza da colmare era enorme: considerando la grande quantità di persone mobilitata da una parte, a vario titolo, e l’esiguità delle forze in campo dall’altra, può già considerarsi un bel risultato essere riusciti a incardinare la campagna e aver lanciato la sfida, giocandocela fino quasi all’ultimo momento. Poi, come previsto, sono state mobilitate le truppe cammellate, compreso qualche fantasma evocato per l’occasione (del resto, ogni castello gotico che si rispetti deve essere visitato dai suoi fantasmi, e pare che la cappella sia una delle… zone che prediligono).
Una cosa vi assicuro, ad ogni modo: questa esperienza non si esaurisce certo qui, ma segna l’inizio di una più ampia e generale campagna di liberazione, che, per quanto mi riguarda, sarà sicuramente dura e magari anche piuttosto isolata ma comunque civilmente ed eticamente necessaria e doverosa.

*****
A quanti fossero in attesa di sapere se anche quest’anno sarà presentato il consueto ricorso, comunico che scioglierò le riserve sul da farsi nei prossimi giorni, e sicuramente entro il termine utile dei cinque giorni dalla pubblicazione dei risultati.
.
Aggiornamento del 28-11-2007. Tranquilli, il ricorso stavolta non è stato presentato, anche se questo ha significato rompere - a malincuore - una simpatica tradizione... Potrete dunque cominciare già da subito a spartirvi il piccolo gruzzolo aggiuntivo dei permessi sindacali rsu per la nuova stagione.

mercoledì 21 novembre 2007

Cronache medieval-sindacal-fasciste

Esegesi di un editto vescovile in difesa della sacralità delle Corporazioni e in condanna della blasfemia di chi nel feudo contesta il santo e inviolabile vincolo di servitù.

“…non rientrerà nei diritti dei magistrati servirsi della forza per imporre il proprio giudizio su qualcosa che non risulti deleterio alla conservazione e al benessere della società” (J. Locke, 3a Lettera sulla Tolleranza, 1692).

Serviva una “prova provata” (in realtà, l’ennesima) dell’esistenza di una poco mirabile Cappella (sindacale) presso la Marca Malpensante (ormai nota ai più come “La Cappella Bassina”, e non per l’altezza delle sue volte)? Ebbene, è notizia di questi giorni “elettorali” il rinvenimento – in forma scritta – di un Editto Vescovile a suo inequivocabile favore.
Da un esame complessivo dei fatti riferiti, appare chiaro che il documento si colloca in epoca contrassegnata, da una parte, da schermaglie (superficiali) tra feudatari di sotto-vertice e vassalli in apparente lotta tra loro (ma le fonti storiche concordemente riferiscono di saldissime e unanimi alleanze, tese alla conservazione dell’ordine sociale feudale, obiettivo che emerge chiarissimo dalle disposizioni vescovili contenute nel documento) e, dall’altra, da un blasfemo tentativo di rivolta di un piccolo numero di villani servi della gleba, oggetto di condanna, di velate minacce di scomunica, e a cui soprattutto si coglie l’occasione di imputare, meno velatamente, le piccole devastazioni compiute da qualche sotto-vassallo nell’ambito delle schermaglie tra i feudatari o aspiranti tali: quale miglior capro espiatorio? Come non cogliere l’opportunità di guadagnare un qualche credito presso feudatari e cappellani? Peccato manchino gli elementi per istituire un bel processo inquisitoriale con tanto di rogo finale… Sarà magari per un’altra occasione…L’accusa, pur configurata, di “Lesa Sindacalità” da sola pare (ancora) non bastare…

Tentativo di lettura in chiave contemporanea. Ovvero, come si deve rispondere (seriamente) all’accusa (culturalmente fascista, in senso proprio) di “Lesa Sindacalità” Corporativa.

Si deve iniziare col chiedersi, di grazia (sindacale), dove sussistano le “espressioni denigratorie” e perché mai (e per chi) esse sarebbero “sconvenienti”; a meno che affermare che “il re è nudo” - o, meglio, i feudatari sono nudi, tutti! - al cospetto di chi sia effettivamente tale non debba essere considerato “denigratorio” e “sconveniente” (bisogna sempre capire a chi); l’alternativa, poi, quale sarebbe? Continuare tutti insieme a fingere beatamente (per loro) che i sovrani sindacali, i loro feudatari locali e i rispettivi vassalli siano di tutto punto vestiti? E continuare – approfittando magari di tale non dichiarata e non disvelabile nudità - a farsi prendere per il culo (magari andando ben oltre lo ius primae noctis) e, in più, a pagare gioiosamente (e ipocritamente) la decima? Un simpatico contemporaneo sindacalista “Rivoluzionario” – ma evidentemente continuatore dichiarato di questa scuola di pensiero - ha perfino affermato, in una recente assemblea, che lavorare di più è più gratificante, quindi chi lo fa è privilegiato rispetto a chi lavora di meno o è nullafacente, dunque non ha bisogno di guadagnare di più rispetto a quest’ultimo e deve essere appagato dal solo fatto di avere questa fortuna…

Si gradirebbe poi, proseguendo nell’esame del testo, riuscire a capire (perché proprio non se ne scorge traccia) su quali basi si possa definire “il perseguimento e la tutela dell’interesse generale” come “obiettivo comune di Organizzazioni Sindacali e Amministrazione”: la “Carta del Lavoro” emanata dal regime fascista al suo apice (1927), testo base del corporativismo moderno, forse non arrivava a tanta chiarezza elogiativa nel definire il ruolo istituzionale delle Corporazioni (i sindacati di stato dell’epoca). La cosa interessante è che si riesce ad equiparare il ruolo della amministrazione pubblica, istitutivamente deputata al perseguimento di interessi generali, a quello di organizzazioni (addirittura citate per prime, forse in segno di ulteriore deferenza) costitutivamente dedite al perseguimento di interessi di parte (anche se vedono poi sempre garantite le loro pretese di prendere decisioni che riguardano e vincolano tutti). In ogni caso, si deve dedurre che è dichiarato autoritativamente un “interesse generale” a distacchi sindacal-feudali di questo o quell’altro, a permessi sindacali - corvee nei confronti degli altri dipendenti in quantità e numero sempre più incalcolabile e probabilmente non sottoposto ad alcun vincolo né controllo, a privilegi e immunità varie, a nullafacenze garantite e riverite, senza possiibilità di ribellione alcuna di chi ne subisce il contraccolpo e le conseguenze immediate. E guai a lamentarsi, perché questo genera nel “personale” un “sentimento di disagio”: dunque – finalmente si è riusciti a capirlo! - il “disagio” diffuso tra il personale dipende dal fastidioso rumore del lamento dei poveri dannati, non certo – giammai! – dal dover sopportare il carico lavorativo ulteriore delle nullafacenze degli intoccabili feudatari...! Complimenti davvero: il lupo e l’agnello della favola di Esopo/Fedro erano al confronto la rappresentazione dilettantesca di un malinteso tra due amiconi!

E’ interessante e degno di nota – a conclusione dell’analisi del testo – il finale accostamento dei termini usato nell’espressione “attivià lavorativa e sindacale”: quasi a ribadire, d’imperio, che le due attività sono tra loro equiparate (se va bene) e parimenti meritevoli (anche i signori feudali proprietari dei latifondi sostenevano spesso di esserlo rispetto ai loro schiavi), e guai a chi abbia l’ardire di osare ancora metterlo in dubbio o evidenziare come, da un’analisi dei comportamenti concreti e reali, le due situazioni appaiano poco compatibili tra loro… Gli agnelli e i lupi, le formiche e le cicale (che peraltro mi pare siano dello stesso colore delle cimici…) sono uguali e devono essere grandi amici, guai a dubitarne!

Ma, tutto ciò chiarito, non si può non evidenziare come sia – questo sì – insultante e denigratorio, oltre che scorretto, accostare o anche solo equiparare il riferimento ad atti ed episodi censurabilissimi da qualunque serio democratico con la deplorazione (di comodo? E, se tale, “comodo” di chi?) nei confronti di una legittima campagna democratica e civile, quasi a volere evocare o suggerire un legame o anche solo un’affinità tra le due situazioni che niente hanno a che fare l’una con l’altra. Tanto più è insultante, poi, se fatto con l’autorevolezza di una carica che dovrebbe essere, su tali vicende, super partes, altro che “tolleranza”… “aborro le tue idee ma sono disposto a lottare fino alla morte per difendere il tuo diritto a esprimerle”, questa è la TOLLERANZA come nei secoli si è configurata ed imposta, contro sovrani paternalistici e ossequiosi con quelli più potenti di loro, ordini e signori feudali, gerarchie aristocratiche e curtensi, gerarchie clericali, gerarchie corporative e corporazioni stesse… contro i privilegi di alcuni imposti sulla pelle di altri…contro tutto questo alcuni coraggiosi uomini liberi hanno lottato, pagando prezzi più o meno alti e spesso altissimi, per strappare, radicare e difendere la TOLLERANZA, quella di J. Locke e di Voltaire… non quella che imporrebbe al più debole di tollerare i soprusi del più forte, a Giordano Bruno di tollerare la congregazione degli Inquisitori e il Collegio dei cardinali, e magari a Pietro Ichino di tollerare coloro che vorrebbero fargli fare la fine di Massimo D’Antona e Marco Biagi. Una “tolleranza” così intesa e sbandierata ricorda, piuttosto che il nobile ideale di cui si usurpa il nome, molto più da vicino quella delle case di tolleranza: ecco, effettivamente, oltre alle cupole e alle cappelle, mancava ad una pubblica amministrazione che tali prove dà di sé l’evocazione delle case di tolleranza… certo, che a fare da maitresse potessero esserci (per scelta e forse proprio per vocazione) anche rispettabili signori di sesso maschile era comunque difficile, anche per le menti più fertili, immaginarlo…
Solo chi ha, in realtà, poco a che fare con la cultura della Tolleranza può confondere quest’ultima con la accondiscendenza nei confronti dei profittatori e con la difesa e la conservazione delle posizioni di forza e di privilegio, o magari con il “tirare a campare”, con il “per quieto vivere”, o peggio – se si tratta di un luogo di lavoro e di una struttura composta di soggetti che dovrebbero avere tutti pari dignità civile e pari obblighi lavorativi - con il lassismo nei confronti di nullafacenti e loro protettori o fiancheggiatori; traducendola in (si spera, ancora, solo metaforici) colpi di frusta nei confronti dei servi della gleba che devono continuare a lavorare anche al posto dei tanti feudatari e a farlo tacendo – guai a permettersi di protestare ! -, perché così vuole, esige e “proclama” (in questo caso sì, è la parola giusta) il Vescovo, non più in odor di eresia (1), ma forse – se continuerà a dare prove ulteriori di sottomissione - sulla via della riabilitazione che solo una Cappella legittimata con la forza istituzionale che egli stesso continua ad attribuirle potrà evidentemente elargirgli…
E’ allora chiaro, a questo punto, che - da democratici, illuministi e convinti assertori della Tolleranza (non quella delle case… che pure, da altri punti di vista e in altri contesti, può non essere spiacevole) – lo slogan non può che essere, a malincuore:
“abBasso la cappella sindacale (e chi la lecca)!”

(1) vedi post precedente.

domenica 18 novembre 2007

Cronache medieval-sindacali

Feudi e Rendite.
Ovvero come lo Scafista tentò di scavalcare il Feudatario e la torta comune venne allargata a spese del popolo.

Che cosa succede se un ridente (si fa per dire, c’è poco da ridere, se non per chi pratica una beata nullafacenza…) feudo sindacale subisce un tentativo di invasione da parte di una agguerrita orda sindacal-scafistica alla ricerca di nuovi territori fertili (la merda ha note proprietà di concimazione) dove insediarsi?
Dapprima il feudatario, temendo per le proprie millantate prerogative di immunità e inamovibilità per diritto divino-sindacale e vedendo parzialmente a rischio il persistere della propria beata nullafacenza, chiama in soccorso i chierici e i cappellani e invita i suoi vassalli e sodali alla resistenza a colpi di olio bollente e catapulte: le sue munizioni preferite erano e sono, in realtà, colpi di grosse cazzate (capaci del sorprendente effetto di far calare le brache ai consenzienti avversari) ma queste sono al momento tutte impegnate su un diverso fronte nel tentativo di rintuzzare la (tardiva) rivolta di un vescovo di confine in odor di eresia che ne ha osato di recente discutere l’inamovibilità. Poi, vistosi scavalcare le sue mura feudali dal combattivo capo dell’orda barbarico-scafistico-sindacale (che, nel frattempo, ha stretto alleanza con alcuni feudatari confinanti e ottenuto alcuni editti vescovili a suo favore e minaccia di insidiargli, essendo anch’egli interessato ad accrescere i propri, parte dei benefici della beata nullafacenza), organizza un banchetto per sancire la nuova spartizione del sacro suolo e delle sue rendite.
La soluzione è presto trovata: l’inamovibilità e la nullafacenza del vecchio feudatario saranno garantite, così come lo saranno la rendita sua e dei suoi vassalli, nonché le sue speciali prerogative di inamovibilità e il suo speciale diritto feudale con i suoi privilegi; i prelievi forzosi e le corvee lavorative dei servi della gleba sottoposti al feudo oggetto della spartizione e ai feudi confinanti saranno d’imperio (e col consenso automatico dei vescovi) raddoppiate e divise tra i due feudatari novelli alleati e i loro rispettivi vassalli ed eserciti di ventura (secondo i rispettivi diritti feudali); il nuovo alleato, a sua volta, parteciperà della quota di spartizione ottenuta i suoi vassalli e vassalle, migrati al seguito nel nuovo più esteso feudo. Dopodiché – raddoppiati d’imperio le rendite e prelievi a spese della servitù della gleba e lasciato, come sempre, ai vescovi il compito di sedare eventuali malumori – il feudo sarà territorialmente diviso in due parti: una retta dal nullafacente signore feudale, che acquisirà inoltre il titolo di “Sua grazia sindacale, L’inamovibile” per sé e per un congruo numero di vassalli; l’altra retta dall’(ormai ex) condottiero delle truppe barbarico-scafistiche, impegnato a riorganizzare le armate (retribuite o in attesa di esserlo) e gli eserciti di ventura in attesa di proseguire la marcia a tappe verso altri lidi e feudi…
Infine, il primo conserverà il suo scranno all’interno della Cappella di corte (1), e il secondo continuerà a servire messa presso la più ampia Cupola interfeudale(2).
Per entrambi, il calendario da ciascuno imposto come vigente e proclamato solennemente con l’unanime consenso dei vescovi prevedrà pochissimi giorni l’anno di richiesto soggiorno al castello, peraltro utili a mantenere i rapporti con la corte, a verificare l’accondiscendenza del vescovo, e a riscuotere i rispettivi prelievi retribuiti dalla comune servitù della gleba, nonché quelli provenienti dal resto del territorio… Nei restanti giorni i castellani vicini o confinanti e le rispettive servitù si faranno gradito carico dell’ospitalità di Lorsignori feudali, i cui costi e retribuzioni resteranno comunque in prevalenza a carico del territorio del feudo e della collettività tutta dei servi della gleba.


(1) Ormai tradizionalmente conosciuta dal popolo come la “Cappella bassina”, e non per l’altezza delle sue volte.

(2) Nota anche come “Cupola mediolanense”, probabilmente per la sua collocazione geografica o forse per il suo sovraffollamento.

venerdì 16 novembre 2007

"Schizzi" di organigramma

Di seguito si tenterà di dare una ricostruzione per tipi (con pretesa non certo sistematica ma puramente esemplificativa) di come in generale la pubblica amministrazione e, nel caso specifico qui considerato, l'agenzia delle dogane sia infestata e avviluppata ai suoi vari e consenzienti (pena l’accusa di lesa sindacalità) livelli da piovre sindacali, anzi diremmo meglio da vere e proprie idre (per chi non lo sapesse, animali mitologici dotati, oltre che di tentacoli, di molteplici teste... di cazzo ?).
Ovviamente, che a farne le spese (di questi giri di valzer tentacolari) siano i pochi (ma non pochissimi) lavoratori che non amano - e non si prestano a - queste danze macabre, e soprattutto la collettività e il Paese intero, è cosa che a nessuno di costoro corporativamente interessa... tanto pagano altri (ovvero: tutti)…

Cupola
La Cupola per antonomasia è quella che, ormai un giorno sì e l’altro no (o forse pure), si riunisce presso la direzione regionale: è composta da molteplici membri (in numero incalcolato e forse ormai incalcolabile) di tutte le innumerevoli patacche sindacali, la cui proliferazione ricorda ormai i ritmi di riproduzione di certe colonie di alieni invasori (ed invasivi) dei film di fantascienza più inquietanti; tutti costoro presieduti dai vari direttori regionali (o loro rappresentanti), che rinunciano – con evidente scelta di campo – a censirli (ma anche solo a contarli). Lo svuotamento degli uffici è pertanto il segnale più inequivocabile del fatto che, quel giorno, la cupola è in seduta (e pertanto vi toccherà lavorare anche per loro).
Ovviamente, ciascun livello amministrativo ha ormai la sua cupola, quindi in tali casi andrà per chiarezza specificato a quale ci si riferisce (locale, circoscrizionale… nazionale, altrimenti qualificabile anche come Cupolone).

Cappella
Fiancheggia – e a volte tende a coincidere, a sovrapporsi o ad essere sovrapposta – le cupole locali ai livelli territoriali delle singole sedi lavorative. In linguaggio sindacale è nota come r.s.u. (altri, con altri linguaggi, hanno iniziato a definirle m. s.u., evidenziandone una specificità altrove descritta nel dettaglio). E’ così denominabile nel senso - anche anatomico, ma non solo – di cupola del cazzo, ad indicare un livello comunque inferiore e di minorità rispetto alle cupole locali, con le quali pure può esservi più o meno parziale sovrapposizione. Talvolta può inoltre assumere forme ulteriormente bizzarre, quali la bicappella (singolare organo assembleare dotato di due cappelle).

Patacche
Sono le singole bande sindacali, ormai in crescita esponenziale e incontrollata (incontrollabile ?), un po’ come gli alieni degli ultimi livelli di space invaders (per chi non avesse presente questo pioniere della storia videoludica, vale la pena ricordare che tale era, ai livelli più avanzati, la loro velocità di spostamento e di riproduzione che era quasi impossibile, nonostante i tentativi di eliminarli, non esserne sopraffatti…). Tutte insieme sono riunite nella cupola (o, come meglio spiegato, nelle diverse cupole), insieme con quella che dovtrebbe essere (e non è mai) la controparte.

Pataccari
Sono i (sempre più numerosi, manco a dirlo) titolari di patacche, vere o presunte (tanto nessuno controlla).

Scafisti
Categoria di pataccari dedita al trasporto e allo spostamento (più o meno legale: quella che dovrebbe essere la guardia costiera, inutile dirlo, non interviene e spesso è in combutta con loro) da un luogo all’altro (di solito da un luogo di lavoro a un luogo di prepensionamento retribuito, dopo un periodo di transito in qualche feudo sindacale) di altri individui fiancheggiatori (mozzi) della medesima patacca. Il biglietto per l’imbarco può essere conferito a titolo gratuito o oneroso. Le spese di viaggio e di soggiorno sono comunque in ogni caso a carico dei lavoratori e, più in generale, di tutti i contribuenti.
Se, invece che semplici mozzi o imbarcati, si riesce ad ottenere dei gradi e divenire parte degli (sterminati) equipaggi, si ricevono inoltre uno stipendio e varie indennità di importo variabile a carico della collettività intera (come tutto il resto, scafi compresi)

Casta
E' data dall’insieme di tutti gli appartenenti alle categorie sopra elencate e descritte, più molti altri che non appaiono classificabili in nessuna di esse per il semplice fatto di non avere proprio niente (e non semplicemente poco) a che fare con i luoghi di lavoro.

Lavoratori
Sono coloro che, appunto, lavorano per mandare avanti la baracca e sulla cui pelle prolifera tutta l’impalcatura qui descritta nei suoi vari elementi. Sono, in pratica, l’equivalente della servitù della gleba nel sistema feudale, coloro cioè che lavorano per mantenere le rendite parassitarie dei (tanti) titolari di privilegi feudali ai diversi e numerosi livelli del sistema. In tale contesto, va sottolineato come i dirigenti rivestano per lo più un ruolo simile a quello svolto all’epoca dal papato e dal clero, ovvero di garanti dell’ordine feudale.
Il fatto che i lavoratori siano sempre di meno e i membri della casta, titolari a vario titolo di una qualche forma di rendita, sempre di più è l’indice più inquietante che lascia presagire un lento ma inesorabile crollo del sistema.
Il problema sarà non essere sepolti o colpiti dalle macerie, e non dover pagare per molto tempo ulteriori e enormi costi di ricostruzione: dunque, sarebbe auspicabile una demolizione controllata, ovvero una rivoluzione democratica e liberale, una rivoluzione del lavoro contro la rendita, che consenta di abbattere il gigantesco e pericolante edificio prima che la sua inevitabile putrefazione giunga a compimento, per poi, una volta sgombrato il campo dalle sgangherate macerie, poter pensare a costruire qualcosa di nuovo e di più equilibrato e sostenibile o, in mancanza, riguadagnare nuovi spazi aperti ed ariosi ed un ambiente più salubre.

I maestri di cappella

Kapellmeister (“maestro di cappella”) è il termine con il quale nei paesi tedeschi si designavano i responsabili di piccole ma produttive istituzioni musicali (“cappelle”), che fungevano sia da supervisori dell’intera attività musicale che da direttori d’orchestra. In pratica, delle figure di rilievo modesto, certo non dei geni ma indubbiamente dei grandi lavoratori e dei grandi produttori (in termini innanzitutto quantitativi) di musica, spesso di discreta qualità.

I nostri “maestri di cappella”, invece, oltre a non essere nemmeno loro dei geni, tutto sono tranne che grandi e modesti lavoratori, e invece che produrre buona musica producono semplicemente, oltre che chiacchere… merda.

* * * * *


Già in passato, del resto, ebbi occasione ripetuta di definirli "i re mirda", in omaggio alla loro innata capacità - di cui tante volte hanno dato strabiliante prova e di cui non mancano tuttora di dare spettacolari saggi - di trasformare magicamente in merda tutto quello che sfiorano, proprio come il mitologico Mida tramutava qualsiasi cosa toccasse, prodigiosamente, in oro... Evidentemente ciascuno ha avuto in sorte dagli dei la sua propria virtù, non si può stare mica a sottilizzare...

mercoledì 14 novembre 2007

Campagna di liberazione

E' iniziata ufficialmente.
Hh. 22.06: con l’invio tramite e-mail di un lungo (pure troppo, probabilmente) manifesto programmatico della Campagna, messaggio in realtà mai arrivato a destinazione e risultato poi bloccato dal solerte firewall aziendal-sindacale dell’Agenzia, è partita ufficialmente la Campagna per il boicottaggio delle elezioni rsu 2007, come prima tappa della più ampia Campagna di liberazione a Malpensa e da Malpensa.


Qui è possibile scaricare (formato .pdf) il materiale autoprodotto (manifesti e volantini) per la campagna.
Ci riusciremo ? Non lo so, di certo bisogna assolutamente provarci.