Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

domenica 17 settembre 2017

Senza scrupoli



Dieci bufale sui migranti a cui i populisti vogliono farvi credere
“Portano le malattie, non scappano dalla guerra, sono trattati meglio degli italiani”. Ecco i falsi miti sull'immigrazione, smontati una per una
12 Set. 2017  
“Portano le malattie, non è vero che scappano dalla guerra, vengono trattati meglio degli italiani, ci rubano il lavoro”. Ecco alcuni delle bufale più diffuse sui migranti che non fanno altro che alimentare la xenofobia, sia quella palese che quella strisciante. “Non sono razzista, ma…”, è la frase che nel migliore dei casi accompagna queste credenze, ormai entrate nell’immaginario collettivo.
I social network sono il luogo per eccellenza in cui questi falsi miti non solo si creano, ma si propagano a macchia d’olio, condivisione dopo condivisione. E si sa, un titolone a effetto e la conseguente valanga di click, che fanno girare la macchina della pubblicità, sono specchietti per le allodole che in questo periodo storico stanno vivendo l’età dell’oro.
Medici senza frontiere ha raccolto le bufale più diffuse, le mezze verità e gli slogan populisti sull’immigrazione, provandoli a smentire e a contestualizzare.

1. Lo Stato mette gli immigrati negli hotel di lusso e non si interessa degli italiani che soffrono

Nei mesi scorsi si è spesso polemizzato contro i contributi per i migranti, in particolare dopo il terremoto nel centro Italia. Il populismo di certi politici ha cavalcato l’onda di un’indignazione che ha trovato la sua massima manifestazione nella frase: “Non è giusto che in Italia ci siano tanti disoccupati mentre ai profughi vengono dati 40 euro al giorno senza che facciano nulla” .
Nella maggior parte dei casi le notizie di queste accoglienze dei richiedenti asilo in hotel a quattro stelle sono bufale montate ad arte, riprese e ricondivise sui social network senza alcuna cognizione di causa.
In Italia le strutture di accoglienza sono articolate in centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda), centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed espulsione (Cie). E poi ci sono i centri di seconda accoglienza destinata ai richiedenti e ai titolari di protezione internazionale come gli Sprar.
L’accoglienza in strutture ricettive come gli alberghi è gestita direttamente dal ministero degli Interni, attraverso una serie di rigidi bandi. Il costo medio per l’accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato in Italia è di 35-40 euro al giorno, che non vengono dati direttamente ai migranti ma alle strutture di accoglienza, tranne due euro circa di diaria giornaliera, il cosiddetto pocket money.
Questi soldi servono a coprire le spese per il vitto, l’alloggio, l’affitto e la pulizia dello stabile, gli stipendi dei lavoratori e altri progetti collaterali. Molti migranti non ricevono accoglienza e finiscono per alimentare la popolazione dei tanti insediamenti informali nati in tutta Italia, dove si vive ai margini della società. Sono almeno 10mila, secondo Medici senza frontiere i rifugiati (Msf) e i richiedenti asilo che vivono in condizioni degradanti.

2. I migranti portano le malattie

“Nel corso di oltre dieci anni di attività mediche in Italia, Msf non ha memoria di un solo caso in cui la presenza di immigrati sul territorio sia stata causa di un’emergenza di salute pubblica”, scrive la Ong. Spesso, associate all’arrivo dei migranti, vengono citate malattie come tubercolosi, ebola e scabbia.
La tubercolosi è presente in Italia da decenni, non ha a che fare con i flussi migratori. Per quanto riguarda l’epidemia dell’ebola, anche in questo caso non c’entra con i migranti.
“Sono almeno 5.000 i chilometri da percorrere per arrivare alle coste del Nord Africa dai paesi dove si manifesta il virus ebola ed è impensabile percorrerli per via terrestre in meno dei 21 giorni che rappresentano il periodo d’incubazione della malattia”, scrive ancora Msf. “Il virus Ebola è molto letale e nella maggior parte dei casi provoca malattia sintomatica e poi morte nell’arco di pochi giorni dall’infezione”.
La scabbia è una malattia della pelle ed è più facile contrarla in condizioni igieniche scarse. Si diffonde con contatti ravvicinati. Questa malattia è in Italia da sempre e il trattamento per curarla è semplicissimo, basta una pomata.
Non è vero che dopo lo sbarco sulle coste italiane, i migranti non subiscono alcun controllo sanitario. Il ministero dell’Interno e il ministero della Salute attuano procedure di screening sanitario.
Le condizioni precarie in cui vivono i migranti dopo il loro arrivo in Italia contribuiscono a esporli a diverse malattie, e il fatto di vivere ai margini della società rende loro più difficile accedere a cure mediche.
In relazione ai casi di meningite in Toscana è intervenuto Roberto Burioni, professore ordinario di microbiologia e virologia al San Raffaele di Milano. “Una delle bugie che più mi infastidiscono è quella secondo la quale gli attuali casi di meningite sarebbero dovuti all’afflusso di migranti dal continente africano”, scrive sulla sua pagina Facebook Burioni. “In Europa i tipi predominanti di meningococco sono B e C, ed in particolare i recenti casi di cui si è occupata la cronaca sono stati dovuti al meningococco di tipo C; al contrario, in Africa i tipi di meningococco più diffusi sono A, W-135 ed X. Per cui è impossibile che gli immigrati abbiano qualcosa a che fare con l’aumento di meningiti in Toscana. Per cui chi racconta queste bugie è certamente un somaro ignorante”.

3. Aiutiamoli a casa loro 

Questa obiezione sembra facile a dirsi, e anche condivisibile per certi versi dal momento che sarebbe un mondo ideale quello in cui nessuno fosse costretto a lasciare la sua terra. Ma è del tutto fuori dalla realtà attuale.
La guerra in Siria, paese dal quale proviene una consistente quota di migranti, è iniziata nel 2011 e non accenna a smettere, nonostante sforzi diplomatici, più o meno efficaci.
“L’Unione Europea, invece di estendere la protezione e l’assistenza a chi ne ha più bisogno, sta concentrando la sua attenzione sulla deterrenza, l’esternalizzazione dei controlli di frontiera e il respingimento verso i paesi di origine o terzi”, scrive Medici senza frontiere. “Questo approccio inumano non impedirà alle persone di raggiungere l’Europa, ma aumenterà soltanto le reti di trafficanti, mettendo ancora più a rischio la vita di chi fugge. Il solo modo per far fronte a questa crisi umanitaria è garantire vie legali e sicure per raggiungere l’Europa, favorendo l’accesso al diritto di asilo e alle misure di ricongiungimento familiare, e allo stesso tempo migliorando le condizioni di accoglienza”.
È impensabile risolvere da un giorno all’altro le crisi decennali in corso in Africa o in Asia e bloccare il flusso migratorio che si muove da quelle terre, spinto dalla forza inarrestabile della disperazione. Ancora una volta si tratta di propaganda populista che niente a che fare con la realtà geopolitica attuale.

4. Sono troppi quelli che arrivano in Italia, è una vera invasione

Non è vero. Non c’è alcuna emergenza né catastrofe in corso. Le statistiche ufficiali dicono che la maggior parte delle persone in fuga si sposta verso i paesi limitrofi al proprio. Il numero di siriani rifugiati in Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto ha superato i 5 milioni dall’inizio del conflitto in Siria nel 2011. A rivelarlo sono i dati diffusi dall’agenzia per i rifugiati della Nazioni Unite, l’Unhcr.
Degli oltre 65 milioni di persone nel mondo costrette alla fuga nel 2015, ben l’86 per cento resta nelle regioni più povere del pianeta. Il 39 per cento si trova in Medio Oriente e Nord Africa, il 29 per cento in Africa, il 14 per cento in Asia e Pacifico, il 12 per cento nelle Americhe, solo il 6 per cento in Europa.
Il numero dei rifugiati che sono ospitati nei paesi europei è pari a 1,8 milioni, mentre i richiedenti asilo sono circa 1 milione. In Italia si trovano 118mila rifugiati e 60mila richiedenti asilo. A livello globale, i paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati sono nell’ordine la Turchia (2,5 milioni), il Pakistan (1,6 milioni) e il Libano (1,1, milioni). I dati non giustificano in alcun modo l’allarmismo

5. Hanno lo smartphone, non stanno poi così male

“Quelle persone che fuggono dalla guerra non sono povere. Guarda, hanno tutti gli smartphone!”. Questa è la denuncia che ciclicamente ribolle sui social network. Possedere un telefono cellulare, a quanto pare, dovrebbe togliere a una persona il diritto di asilo politico e costringerla a morire, insieme alla famiglia, in guerra. Perché dovremmo essere sorpresi che queste persone, provenienti in larga parte dalla Siria, possiedano gli smartphone?
La Siria non è un paese ricco ma non è nemmeno un paese povero. Secondo il report della World Bank si classifica come paese a “reddito medio-basso”. È difficile pensare a una cosa più utile di uno smartphone se si sta fuggendo di casa per raggiungere una meta sconosciuta e lontanissima.
Anche perché oggi si può acquistare uno smartphone – dotato di telecamera, fotocamera e collegamento a internet – per meno di 100 dollari. Il succo del discorso è che chiunque, “persino” un rifugiato siriano, può permettersi di possedere uno smartphone. Quindi non c’è da motivo per essere sorpresi nel guardare quelle foto che ritraggono migranti alle prese con i loro cellulari.

6. Rubano il lavoro agli italiani

Davvero gli italiani sarebbero disposti a lavorare alle condizioni degradanti dei braccianti stranieri nei campi agricoli del sud Italia? Già questo servirebbe per porre fine al discorso. Eppure c’è dell’altro.
Un recente rapporto del Centro Studi di Confindustria ha evidenziato gli effetti positivi dell’immigrazione sul mercato del lavoro italiano: al crescere dell’occupazione straniera, cresce anche l’occupazione italiana, sia nell’industria sia nelle costruzioni.
Nei settori dell’agricoltura e dei servizi, gli immigrati spesso svolgono mansioni che gli italiani non sarebbero comunque disponibili a svolgere, al punto che molte attività agricole devono la loro sopravvivenza alla disponibilità di manodopera straniera. I dati più recenti del ministero del Lavoro evidenziano come tra i lavoratori stranieri sia maggiore lo squilibrio tra livello d’istruzione e impiego svolto: solo l’1,3 per cento dei lavoratori italiani con laurea svolge un lavoro manuale non qualificato, mentre questa percentuale si alza all’8,4 per cento nel caso dei lavoratori extra-comunitari.
Anche la finanza pubblica gode per la presenza di lavoratori immigrati, che rappresentano una ricchezza secondo quanto rilevato dall’Inps. Ogni anno gli immigrati versano 8 miliardi di euro di contributi sociali, e ne ricevono tre in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi.
Secondo i calcoli dell’Istituto, gli immigrati hanno finora “donato” al nostro paese circa un punto di Pil di contributi sociali, spiega Medici senza Frontiere. Il tasto dolente rimane lo sfruttamento dei braccianti stranieri nelle regioni del Sud Italia, per i quali niente è stato fatto, come denuncia Medici senza frontiere, secondo cui i migranti sono costretti a subire condizioni degradanti rispetto agli italiani per la loro situazione estremamente precaria che li rende ricattabili.

7. Non è vero che scappano dalla guerra

Non vi è una divisione in compartimenti stagni tra i motivi che spingono un uomo e una donna a fuggire dai loro paesi. I motivi sono diversi e spesso correlati tra loro: guerre (Siria, Iraq, Nigeria, Afghanistan, Sud Sudan, Yemen, Somalia), instabilità politica e militare (Mali), regimi oppressivi (Eritrea, Gambia), violenze (lago Chad), povertà estrema (Senegal, Costa d’Avorio, Tunisia), crisi umanitarie (Nigeria, Camerun, Niger e Ciad).
Le guerre portano con sé mancanza di cibo adeguato, acqua potabile, strutture sanitarie e servizi di prima necessità, e le crisi spesso si allargano anche a paesi limitrofi, non strettamente legati ai conflitti in corso.
La situazione non è tanto diversa in Sud Sudan, con oltre un milione di persone sfollate e centinaia di migliaia scappate oltre confine, per fuggire a scontri a fuoco, saccheggi, devastazioni, violenze e soprusi di ogni tipo.

8. Tra i migranti si nascondono i terroristi

La maggior parte dei lupi solitari che hanno commesso attentati in Europa erano stranieri di seconda generazione, a tutti gli effetti cittadini europei, radicalizzati online.
Certamente episodi di terrorismo hanno interessato anche richiedenti asilo, ma non si tratta di numeri che giustificano neanche lontanamente la frase: “Sono tutti terroristi”.
La maggior parte dei migranti sono persone vulnerabili che fuggono da guerre e violenza. Anzi, in relazione al terrorismo è vero il contrario: chi arriva in Italia nella maggior parte dei casi non è un terrorista, ma vittima del terrorismo. “In molte circostanze, sono persone che sono state costrette ad abbandonare le loro case da quegli stessi gruppi terroristici a cui erroneamente intendiamo associarli”, spiega Msf.

9. Sono criminali, le carceri sono piene di immigrati

Numerosi studi internazionali hanno evidenziato l’inesistenza di una corrispondenza diretta tra l’aumento della popolazione immigrata e l’incremento del numero di denunce per reati.
É vero che sono molti i detenuti stranieri nelle carceri italiane (il 34% dei reclusi, al 30 settembre 2016), ma ciò è dovuto a una serie di fattori precisi. In particolare, a parità di reato gli stranieri sono sottoposti a misure di carcerazione preventiva molto più spesso degli italiani, che ottengono invece con maggiore facilità gli arresti domiciliari (o misure cautelari alternative alla detenzione, una volta emessa la condanna).
La stessa azione di repressione opera con più frequenza nei confronti degli stranieri, che con maggiore facilità sono sottoposti a fermi e controlli di routine da parte dalle forze di polizia.
Uno studio dell’American Economic Review, condotto da Paolo Pinotti dell’Università Bocconi di Milano, ha mostrato che la legalizzazione degli immigrati riduce il crimine. Analizzando il tasso di criminalità di oltre 100mila stranieri prima e dopo il decreto flussi del 2007, si nota che l’incidenza si dimezza l’anno successivo, per chi è stato accettato e messo in regola, mentre resta invariata fra chi è rimasto “irregolare”. La regolarizzazione allontana subito dalla delinquenza, in particolare per i reati economici.

10. Sono tutti uomini, forti e muscolosi

Non si capisce perché, secondo la propaganda populista, il fatto che i migranti siano spesso uomini giovani e forti basti a non far godere loro del diritto di chiedere accoglienza. La maggioranza delle persone che arrivano in Europa è rappresentata da giovani uomini perché hanno una condizione fisica migliore per poter affrontare un viaggio così duro, che spesso conduce alla morte.
Tuttavia, il numero di famiglie, donne e minori non accompagnati è in aumento. Nel 2015, secondo l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), di circa un milione di persone arrivate in Grecia, in Italia o Spagna via mare, il 17 per cento è costituito da donne e il 25 per cento da bambini.


- aggiornamenti:

Cosa dicono davvero i dati sui reati degli immigrati in Italia

Nonostante i dati li smentiscano, gli italiani restano uno tra i popoli più spaventati dagli stranieri in Europa. Ecco alcune cause di questo fenomeno


07 Feb. 2018  















L’attenzione mediatica di questi giorni (e di questa campagna elettorale) è quasi completamente assorbita dal tema dell’immigrazione.
Il 4 febbraio 2018 Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, ha dichiarato che i “600mila immigrati clandestini sono una bomba sociale pronta a esplodere, perché vivono di espedienti e di reati”.
Tra chi propone la regolarizzazione di tutti e chi invita a correre ai ripari per i rischi alla sicurezza, i politici italiani hanno certamente centrato un nervo scoperto nell’opinione pubblica.
Secondo il Rapporto dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza del 2017, infatti, in Italia “lo straniero è considerato, da una componente significativa di cittadini, come un pericolo per la sicurezza individuale e una minaccia per l’occupazione.”
Si tratta di un timore in continua crescita: il 39 per cento degli intervistati vede nell’immigrato un’insidia per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, il 36 per cento una minaccia per l’occupazione. Entrambi gli indicatori sono cresciuti di circa 5 punti rispetto al 2016, raggiungendo i valori più alti dal 2007.
Questi risultati rivelano una convinzione di fondo, l’idea cioè che gli stranieri delinquano perché antropologicamente portati a farlo, come se la criminalità risiedesse in un gene, o in una tradizione culturale.
Ma è davvero così? Dati alla mano, la risposta è una sola e molto chiara: no. Ecco perché.
Ragioniamo per assurdo: se esistesse una vera correlazione tra immigrazione e criminalità, all’aumentata presenza di stranieri nel nostro territorio (dai 4 milioni del 2011 ai di 5 milioni del 2017) sarebbe dovuto conseguire un parallelo aumento dei crimini commessi.
Secondo quanto evidenziato in questo fact-checking di Agi, invece, i delitti denunciati alle autorità nel 2015 sono circa 250mila in meno rispetto a quelli denunciati nel 2007, prima che iniziasse la cosiddetta “emergenza migranti”.
Il numero di reati noti è calato con l’aumento degli stranieri in Italia: non c’è quindi alcuna automatica correlazione.
Da cosa deriva questa percezione sbagliata? Sono numerosi i fattori inquinanti che contribuiscono a creare una rappresentazione fallace del fenomeno. Ecco quali sono.

I reati visibili

Una prima distinzione va compiuta sul piano della tipologia di reati compiuti.
Come riportato in questo rapporto dell’ISTAT “gli stranieri sono imputati principalmente per furto, violazione delle norme sugli stupefacenti e lesioni, cioè per reati che impattano maggiormente sulla percezione della criminalità”.
Non si tratta dei reati più diffusi, né di quelli considerati più gravi dal codice penale, ma di crimini che per la loro dimensione quotidiana hanno un effetto più diretto sui cittadini.

I dati sugli stupri

Il reato forse più spesso attribuito agli stranieri è lo stupro, grazie a dati a tutti gli effetti impressionanti: il 37 per cento degli stupri denunciati è stato compiuto da uno straniero.
Esperti di ogni bandiera sottolineano tuttavia che le violenze sessuali denunciate sono solo una piccola parte di quelle compiute, e soprattutto per questo tipo di reato i due tipi dati non sono interscambiabili.
“Ricordiamoci che una donna che subisce violenza 8 volte su 10 non chiede aiuto, secondo l’Istat”, ha spiegato a TPI Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa dell’università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.
Numerosi casi di violenza avvengono infatti in famiglia, ad opera del partner o di una persona conosciuta, cosa che tende a far crescere nella vittima il timore di denunciare.
Il fenomeno è quindi tanto più sommerso quanto più l’autore dello stesso è vicino alla vittima: si ipotizza quindi che, nella maggior parte dei casi, le violenze non denunciate in Italia siano perpetrate da italiani.

Gli stranieri in carcere

Un altro dei dati più invocati per mostrare l’alto tasso di criminalità tra gli stranieri è quello sulla popolazione carceraria. A fine 2016, il 34 per cento dei detenuti nelle carceri italiane era di nazionalità straniera.
Una realtà certamente impressionante, specialmente dal momento che gli stranieri costituiscono poco più dell’8 per cento della popolazione residente in Italia.
Questo può facilmente portare alla (errata) deduzione che gli immigrati delinquano maggiormente.
Il dato è però inficiato dal fatto che la maggior parte degli imputati stranieri, specie se irregolari, non ha la possibilità di permettersi un avvocato diverso da quello d’ufficio, cosa che risulta in un minore accesso alle misure alternative alla detenzione.
In pochi tra i detenuti stranieri devono scontare condanne definitive: molti si trovano in carcere per una misura preventiva, non potendo accedere alle misure alternative per mancanza di una solida difesa o di alcuni requisiti (per gli arresti domiciliari, ad esempio, serve una casa).
Un altro fattore che inquina la veridicità del dato riguarda la sovrapposizione di varie categorie: tanto tra gli italiani quanto tra gli stranieri si registrano maggiori tassi di criminalità tra i giovani e tra le fasce sociali più povere.
Dal momento che la popolazione straniera che si trova in Italia è mediamente molto più giovane e più povera di quella italiana, il maggior tasso di criminalità si spiega spesso non tanto con la provenienza quanto con l’appartenenza ad una di queste categorie.
Infine e soprattutto occorre distinguere tra stranieri regolari e irregolari: tra gli immigrati regolari il numero di detenuti è infatti in proporzione uguale a quello degli italiani (meno del cinque per cento della popolazione).

Il reato di clandestinità

È proprio questo il fattore che più di tutti incide sul tasso di criminalità.
Per via di questa fattispecie, introdotta dalla legge Bossi-Fini del 2002, commette reato chiunque entri nel territorio italiano se privo di un incarico di lavoro e dei requisiti per chiedere diritto d’asilo o protezione umanitaria.
Si tratta per la maggiora parte dei cosiddetti “migranti economici”, ma anche di chi, in fuga da una persecuzione, non riesca a dimostrarlo davanti alle commissioni territoriali.
In quanto irregolari, questi migranti sono come spettri per lo stato italiano: quelli che riescono a sfuggire dall’espulsione non possono trovare un lavoro, né accedere alle cure (se non quelle emergenziali) e agli altri servizi statali.
L’unico modo per guadagnarsi da vivere rimanendo in Italia è quindi passando per vie illegali, lavorando in nero, rimanendo spesso invischiati nelle maglie della criminalità organizzata e dello sfruttamento ad opera dei caporali.
Come riportato dall’ISTAT una parte degli imputati stranieri è colpevole di reati legati alla condizione di immigrato irregolare: nel 2009 quasi 30mila cittadini nati all’estero (il 20,6 per cento del totale) sono stati imputati per l’irregolarità della loro presenza sul territorio italiano.
Alcuni studi mostrano come la regolarizzazione dei clandestini portererebbe infatti ad un calo nei crimini commessi.
I beneficiari dei “decreti flussi”, che l’Italia ha smesso di approvare dal 2011 e che consentivano di ottenere permessi di soggiorno temporanei per la ricerca di un lavoro, commettevano infatti molti meno reati rispetto ai migranti irregolari.


Perché il post razzista sul rifugiato sul treno senza biglietto è una pericolosa bufala

Il post pubblicato su Facebook sul "rifugiato senza biglietto"diventato virale è stato smentito da Trenitalia che ha dichiarato false tutte le accuse riportate

13 Feb. 2018  
La mattinata del 12 febbraio compare un post, con foto, su Facebook scritto da Luca Caruso, un passeggero del treno diretto da Roma a Milano, con un lungo testo in cui l’autore racconta di un episodio verificatosi sul Frecciarossa su cui stava viaggiando.
Nella foto si vede un giovane ragazzo nero ritratto nel momento in cui il controllore ferroviario stava chiedendo il biglietto del treno, come da prassi.
Il ragazzo nella foto risultava riconoscibile, nonostante il tentativo di Caruso di nascondere gli occhi con l’aggiunta di pallini bianchi sull’immagine.
Dopo qualche ora il post raggiunge 75mila condivisioni e oltre 120mila like, numeri impressionanti. Ma quello che più preoccupa sono le reazioni che si potevano leggere fino a qualche ora fa nei commenti, prima che il post fosse rimosso.
Il post ha scatenato odio e ostilità verso il ragazzo della foto, che rappresenta un fenomeno molto più ampio, quello dell’immigrato straniero
Questa mattina, un bel ragazzo, rubizzo, migrante irregolare (in assenza di documenti) è riuscito a viaggiare gratis a bordo di un treno Frecciarossa (9608) nella tratta Roma-Milano. In mano un costosissimo Samsung S8 di ultimissima generazione e un biglietto non regolare di 4€.  
— Massimo Manfregola (@masman007) 
Trenitalia ha rilasciato la sua versione dei fatti. Il ragazzo aveva il biglietto giusto. Nessuno scandalo, nessun immigrato venuto a “scroccare” i nostri treni, nessun allarme invasione. Valigia blu ha pubblicato la mail con la relazione della capo treno che aveva effettuato il controllo sul treno 9608:


Anche se fosse stato vero, il tono catastrofico, la foto pubblicata senza autorizzazione, il post modificato varie volte con versioni differenti della storia dall’autore e le migliaia di commenti falsi portano alla luce un problema ben più grosso.
Un problema di cui si parla da mesi: il razzismo sdoganato. E non supportato da dati reali che confermino questo allarme, questa emergenza, questa criminalità senza controllo.
Se il ragazzo non avesse avuto veramente il biglietto, sarebbe dovuto scendere alla prima fermata disponibile, quella di Bologna e non sarebbe arrivato “impunemente” a Milano come suggerito dal post dell’uomo.
Lo stesso razzismo che alcuni giorni fa ha portato all’attentato di macerata, e alle conseguenti manifestazioni di solidarietà al terrorista razzista autore della sparatoria.
Spesso discorsi come questo iniziano con la pericolosa frase “non sono razzista. Ma…”.
Ed è proprio in quel ma che sta la pericolosità di discorsi come questi e di bugie come queste. Si parla di un’esasperazione, di uno “scontro sociale”, di una “stanchezza” degli italiani.
Chiamiamo le cose con il proprio nome. Saltare a conclusioni affrettate sul possesso o meno di un titolo di viaggio, e alla conseguente descrizione dello smartphone posseduto dal ragazzo, che si rivelano per giunta false, è razzismo.
È razzismo nella misura in cui si scrive “non sono più disposto a chiamarli rifugiati”, o “gente che senza diritto e senza motivo ha varcato il nostro uscio di casa”. Questo è razzismo, senza se e senza ma.
Negli ultimi tempi chi critica comportamenti razzisti è tacciato di “buonismo”, con una netta accezione negativa.
Come a suggerire che chi non fa discorsi d’odio, chi non si scaglia contro gli stranieri qualunque cosa succeda, chi non è attratto da campagne elettorali che vogliono mettere “prima gli italiani”, lo fa solo perché è un povero buonista.
Nello stesso post si dice “mi raccomando, scannatevi tra razzisti e buonisti”.
Non è buonismo, è umanità. È vivere civile, è dire: ci avete stancato con questi discorsi infuocati, carichi di odio, che giustificano il loro razzismo, profondo e inconfondibile, con un “siamo stanchi di questa immigrazione incontrollata”.
L’immigrazione è una questione seria, non può essere ridotta a un tifo da stadio e TPI lo ha affrontato tante volte, con cognizione di causa, smontando i falsi miti, le bugie e il carico di odio che avvelena il discorso:

 
(https://www.tpi.it/)