Il Blog delle malefatte sindacali a Malpensa (e non solo)

martedì 25 settembre 2018

Nani e ballerine

Salvini e Di Maio, i tronisti del populismo

Matteo in tv da Barbara D’Urso, bad boy all’italiana come Fabrizio Corona. E Giggino da Giovanni Floris, come a casa sua
24 Settembre 2018 - Il Foglio

“Sono un sequestratore, sono un truffatore, sono un fascista”, dice Matteo Salvini ospite da Barbara D’Urso, subito sommerso da risate e applausi. Ricomincia la stagione televisiva, ripartono i talk, si srotolano i tappeti rossi per i fustigatori delle élite sopraggiunti nel frattempo al governo, ma che importa, sempre “amici del popolo” sono. Un’ovazione lo accoglie all’ingresso dello studio di “Domenica Live”. Una standing ovation che fa subito venire in mente i funerali di Genova e le variopinte manifestazioni d’affetto su e giù per l’Italia vacanziera. Agitatissime le signore: balzano in piedi, battono le mani, urlano in coro: “Ma-tte-o, Ma-tte-o”. Lui si gira, saluta, fa l’inchino. C’è affetto, consenso, fiducia, forse frenesia sessuale, chissà. Più che un ministro o un leader dell’internazionale sovranista, Salvini entra in studio come un tronista, come un idolo del pubblico della factory D’Urso-Maria De Filippi.

A “Domenica Live”, poi, c’è aria di ritorno a casa. Salvini come a un pranzo della domenica con le nonne e le zie: allora Matteo che combini? Come va? Quand’è che ti sposi l’Elisa? Da questo salotto, come si ricorderà, doveva partire l’impeachment contro Mattarella, oggi potrebbe decidersi un’invasione del Lussemburgo. Essere al governo non ha cambiato il protocollo televisivo della scorsa stagione, anche perché nessuno ha la percezione che Salvini vada in tv come ci andavano Alfano o Minniti, cioè da ministro degli Interni, cioè a rendere conto di cose fatte o da fare o numeri o prospettive o flat-tax.

Salvini in tv ci va da premier, leader dell’opposizione, padre di famiglia, padre della patria, leader della Lega, compagno di Elisa Isoardi, vigilantes, guardia costiera, vendicatore delle élite, giustiziere dei migranti clandestini ma soprattutto ci va da italiano. L’intervista di domenica scorsa (16 settembre ndr) nel salotto di Barbara D’Urso dovrà essere mandata a memoria, conservata in un archivio e rivista tra una quarantina d’anni per mettere i posteri nelle condizioni di capirci qualcosa. Lei in abito bianco etno-chic, un po’ “Coachella Style” (omaggio alle nozze dei Ferragnez?), perfetto per scomparire nella lux-aterna di “Domenica Live” e far risaltare uno stivaletto maculato, molto “rodeo-style”, molto “deep South” trumpiano, anche se sono italianissime “Casadei”.

Spiega “la legittima difesa” come la spiegherebbe durante una tombolata in Brianza, fa le gag e in studio si ride a crepapelle
Lui in giacca e camicia bianca con un paio di sovranissimi calzini “Gallo” a righe in bella vista. Si capisce subito che l’intesa è perfetta. “Tu Matteo sei uno del popolo”; spiega Barbara D’Urso, “ti ho visto spesso in spiaggia quest’estate, stai in mezzo alla gente”. Il popolo va in spiaggia, le élite in barca, yacht o Ong. Salvini spiega “la legittima difesa” come la spiegherebbe durante una tombolata in Brianza. Qui c’è anzitutto il “sacrosanto diritto” di difendersi in casa propria: “Se mi trovo in casa una persona armata e mascherata alle tre di notte non sta a me capire se ha un’arma finta ho il diritto di difendermi senza se e senza ma”, perché “a casa degli italiani vige la legittima difesa”. Ovazione da stadio.

Salvini allora fa le gag: dice “mi scusi signor rapinatore, posso difendermi?”; sembra Renato Pozzetto, in studio si ride a crepapelle. Si capisce che si è sintonizzato sul target del programma perché non vede l’ora di tirare fuori la “battaglia per Nonna Peppina”, prima sfrattata, poi tornata a finalmente a casa sua, uno dei successi, comunque la si pensi, di questo governo. Salvini è un fiume inarrestabile, interrotto solo dagli applausi e dalle sponde a forma di domanda che gli dà Barbara D’Urso. “Mi sono arrabbiato e mi arrabbio ogni volta che persone come queste”, dice Salvini parlando del ministro degli Esteri del Lussemburgo, Joan Asselborn, “paragonano i nostri nonni che sono emigrati per andare a lavorare, con i clandestini che spacciano, fanno casino… è un ignorante”. Boato come a un goal dell’Italia ai mondiali. Il Lussemburgo è vicino al Belgio, non c’è neanche bisogno di giocarsi gli italiani in miniera per aizzare il pubblico. Questa cosa dell’operosità degli immigrati italiani sarebbe quantomeno un terreno un po’ scivoloso e delicato perché al mondo abbiamo dato Frank Capra ma anche Al Capone, però che importa, entrambi hanno dimostrato tenacia, creatività, talento; la mafia era una roba complessa da mettere su, mica come questi “negher” che bivaccano, spacciano, stuprano.

Le astrazioni di Di Maio pescano nelle più oscure circumnavigazioni del frasario parastatale, nei calembour dei verbali di condominio
Quando Salvini è ospite dalla D’Urso si capisce ancora meglio su quale modello si è costruito il suo consenso, almeno quello televisivo. Salvini è un bad boy all’italiana come Fabrizio Corona, anche lui in occasione della sua prima uscita televisiva a “Verissimo” dopo “due anni di silenzio”, accolto da un medesimo, isterico bagno di folla: abbracci, urla, strette di mano, selfie. “Se Salvini può fare il ministro dell’Interno”, ha detto una volta Corona, “io posso diventare ministro della Giustizia”. Ovviamente tra i due non scorre buon sangue. Com’è facile intuire non si sopportano. Però Corona e Salvini andrebbero analizzati insieme, due variazioni sul tema del bad boy italiano che sotto sotto piace alle mamme. Due tronisti. Corona è la dilatazione anarcoide, narcisista, sfrenata di Salvini; entrambi corteggiano il lato oscuro del loro pubblico, un pubblico che per Corona (come per il Salvini televisivo) è fatto soprattutto di donne, soprattutto signore, cui con i social si aggiungono tanti adolescenti in cerca di un duro o un cattivo. Salvini e Corona come due “ragazzacci” che fanno leva sulla nostra segreta ammirazione per i cattivi, che poi in fondo così cattivi forse non sono. “Non faccio le cose per stare sotto i riflettori”, spiegava in quell’intervista fiume Fabrizio Corona, “io sono sotto i riflettori; la mia vita è uno storytelling di cui non parlano solo programmi, ma anche quotidiani, telegiornali, tutti. La mia è una storia particolare in un paese particolare”. Come ormai quella di Salvini: “Sono un sequestratore, sono un truffatore, sono un fascista” e le signore sdilinquiscono, come a dire ma ti pare? Siamo tutti fieri di questo ragazzaccio italiano. Sarà pure cattivo, ma chi se ne frega, ogni tanto ci vuole. Ospite da Floris, Michela Murgia dice che “questo paese è senza un narratore”, che “Salvini sta alla verità politica come Wanna Marchi alla verità farmacologica, che è un imbonitore”, ma la verità politica non è esattamente quello che tiene in piedi i talk, né sposta i flussi elettorali. Qualcuno si potrà consolare con i dati auditel: la prima di “Domenica In” con Mara Venier ha battuto “Domenica Live” con Salvini (che però ha battuto Di Maio da Floris). Mara Venier come leader dell’opposizione però è troppo, persino per un Pd orfano della cena a casa Calenda.

Dopo una stagione passata a trasformare in progetto di governo la rabbia degli italiani, la tv populista porta in trionfo le sue creature più promettenti, dunque spazio anche per Di Maio, ospite da Floris per l’esordio di Dimartedì”. In questi cento giorni si è fatto pochino? Non importa, come dice Floris: “siete al top dei consensi”. D’altro canto, “l’opportunità di queste interviste”, spiega Di Maio “è raccontare come stiamo lavorando”. Se lo dice da solo, casomai qualcuno non avesse capito; casomai qualcuno tirasse in ballo il “contraddittorio”. Dall’opposizione all’establishment il mantra televisivo è sempre quello: Salvini e Di Maio sono qui come “emissari del popolo”, sono al governo per fare opposizione e dura lotta alla casta, sono l’esatto contrario del Pd: percepito come élite, governo e “stato” nella sua più nefanda accezione, anche quando sta all’opposizione.

Il mantra televisivo è sempre quello: Salvini e Di Maio sono qui come “emissari del popolo”, sono al governo per fare opposizione
“Vabbè ma questa è l’intervista che potevamo fare prima delle elezioni”, dice giustamente a un certo punto Floris, ma Di Maio lo zittisce. Di Maio è a casa sua. Floris incalza: “Mi scusi ma di quanto sarà la manovra?”. “Questa manovra nei prossimi giorni ne capirete la quantificazione”, dice Di Maio, “dobbiamo fare la crescita economica”, dobbiamo “risolvere i problemi delle persone, dobbiamo migliorare la qualità della vita degli italiani” (lo dice continuamente, un ritornello che abbraccia tutto e tutto spiega: finanza, Europa, fenomeni migratori, piccola impresa, occupazione, un po’ come quando aggancia “del Made in Italy” dietro a “Amazon” o “Netflix”).

L’astrazione discorsiva di Di Maio è molto diversa da quella di Salvini, ma insieme funziona bene. Ospite da Barbara D’Urso, Salvini dice: “Io voglio dare un futuro in Italia ai bimbi che scappano dalla guerra, ma per quello che a Parma ha violentato una donna, un immigrato nordafricano irregolare, la pacchia è finita, per questa gente non c’è più posto”. Applausi e boati. Questo è il cuore del metodo Salvini: lasciare sempre su un piano “universalistico”, dunque “vuoto”, i principi umanitari (“dare un futuro ai bimbi”) e offrire invece alla folla un volto, un nome, un luogo quando si tratta di accendere la rabbia, cioè di esaltare lo scarto tra istanze progressiste irraggiungibili e realtà quotidiana.

Lo notava David Allegranti su questo giornale, nel suo reportage da Pisa che racconta l’avanzata dell’elettorato leghista in quella che era una roccaforte della sinistra-sinistra: “Il centrosinistra pisano ha realizzato grandi opere senza un legame diretto con i quartieri e con i problemi della popolazione, come il Pisa Mover che però ha difficoltà a essere operativo”; di fronte alla rabbia per le vetrate di una scuola che si rompono e non si riescono a riparare in tempi umani e lasciano i “bimbi” a fare ginnastica all’aperto, le grandi opere infrastrutturali sono impotenti o persino controproducenti, viste insomma come uno spreco di soldi pubblici. Così per Salvini: l’accoglienza è sempre un sostantivo astratto, l’“invasione” è nei fatti di cronaca. Le astrazioni di Di Maio pescano invece nelle più oscure circumnavigazioni del frasario parastatale, nei calembour dei verbali di condominio, nell’italianissima paura del parlar chiaro e semplice, andando da “A” a “C” passando per “B”. Così, dopo che Di Maio ha rispiegato per la terza volta a Floris che di “questa manovra nei prossimi giorni ne capirete la quantificazione” ma senza uno straccio di quantificazione, ci si butta sul nemico di sempre: “Quello che è certo”, dice, “è che non avrete più sul groppone l’aereo di Renzi”. La saga “caccia ai jet” continua. La lotta alle auto blu è un ricordo lontano, roba di quando eravamo ragazzi, ora si fa sul serio. Tutti a piedi come Fico, o sacco a pelo in spalla e Airbnb malandati, come il comandante Dibba in Guatemala. Se proprio aereo deve essere: classe economica, come Di Maio, che esibisce sui social il biglietto aereo per la Cina.

“Sono un sequestratore, un truffatore, un fascista” e le signore sdilinquiscono, sarà pure cattivo, ma chi se ne frega, ogni tanto ci vuole
“Questa settimana la tv è degli uomini”, titolava qualche giorno fa a tutta pagina “DipiùTv”. Cominciano Fazio, Giletti, Insinna, Alberto Angela. Dopo la settimana delle donne e gli scontri incrociati Palombelli-Gruber, Venier-D’Urso, il gioco si fa maschio. Forse per questo, ospite anche da Floris, Salvini dice che “con Di Maio siamo una coppia di fatto“. Anche se ora il “ritorno a casa” e la possibile rinnovata intesa col Cav. fa paura a Di Maio e, in effetti, bastava vedersi “Domenica Live” per capirlo. “I rapporti personali con Berlusconi”, diceva Salvini a Barbara D’Urso, “sono sempre stati buoni, perché ho un’enorme stima di lui, perché è stato un grande nella politica, nell’editoria, nella televisione, perché è stato il primo a spezzare il monopolio della Rai”. Ma anche se Salvini e Di Maio dovessero litigare, per un po’ avranno ancora la televisione per continuare la loro saga, come un format, in barba a litigi e separazioni, come Al Bano e Romina. Sarà interessante vedere all’opera i talk nell’anno in cui il governo M5s-Lega sarebbe chiamato almeno in teoria alla prova dei fatti. Sarà interessante vedere il seguito della costruzione televisiva di Matteo Salvini e Luigi Di Maio che ora dovrebbe entrare per forza di cosa nella sua fase adulta.

Intanto, domani (domenica 23 settembre ndr) inizia “Non è l’Arena”, Massimo Giletti mette per il momento da parte i vitalizi e si gioca l’intervista in esclusiva mondiale a Jimmy Bennet, accusatore di Asia Argento, già trattata in apertura della puntata d’esordio di “Domenica In”, con gli opinionisti divisi in “pro” e “contro”, con Mughini, Roberta Bruzzone e Vera Gemma che diceva a Feltri, “lei è un maleducato, ha detto cunnilingus in apertura di puntata”. Si sono sfoderate tutte le pronunce possibili sin qui mai sentite di “Uèistììn” e si è chiuso con Mara Venier che diceva: “Mi raccomando donne, denunciare ma denunciare su-bi-to”. L’effetto-nostalgia ha funzionato, però il modello di riferimento è ormai il trash di Barbara D’Urso. Se chiudono anche i negozi, saremo soli nelle sterminate domeniche sovraniste davanti la tv.



29 mag 2018 13:10
LA VERSIONE DI MUGHINI – ECCO DI MAIO E SALVINI CHE FANNO IL LORO BRAVO COMIZIETTO CUI BARBARA D’URSO ASSISTE BEATA - DI MAIO CHE UTILIZZA L'IMBAMBOLATO FABIO FAZIO PER INSULTARE MATTARELLA - A “MATRIX” DI MAIO E GIORGIA MELONI A PONTIFICARE DA SOLI; NON ACCETTANO CONTRADDITTORIO - LA RESPONSABILITÀ DELLA TV È STATA ED È IMMENSA - SÌ, SIAMO ALL’EMERGENZA DEMOCRATICA. DA QUI ALLE PROSSIME E IMMINENTI ELEZIONI ANDRANNO IN FUMO MILIARDI DI RISPARMI DEGLI ITALIANI. MI CHIEDO SE VI STATE RENDENDO CONTO DI TUTTO QUESTO...”
Giampiero Mughini per Dagospia


Caro Dago, non la finisco di rabbrividire. Apro i giornali e vedo pubblicati i due selfie che Barbare D’Urso s’è fatta ieri pomeriggio rispettivamente con Luigi Di Maio e Matteo Salvini dopo che i due giganti della politica italiana avevano fatto il loro bravo comizietto cui lei aveva assistito beata, compiaciuta di avere sì grandi ospiti e dunque di fare un botto di ascolti e un botto di reddito. 
Mi ero perso Di Maio che a caldo, domenica sera, aveva utilizzato la vetrina della trasmissione di Fabio Fazio a proclamare la sua narrazione dei fatti, non so se ivi compresa la bugia di aver proposto a Sergio Mattarella due nomi per il ministero dell’Economia che non fossero quello di Paolo Savona.
Ieri sera ero ospite a Matrix, dove conduce Nicola Porro che è un giornalista civile e intelligente. Da lui a fare due comizietti da terza elementare erano stati, poco prima di me, Di Maio e Giorgia Meloni, che sta conoscendo una seconda giovinezza da quando corre per l’aria la cialtronesca ipotesi di mettere sotto accusa il presidente della Repubblica. Stavano da soli a pontificare, impettiti, senza pudore. Ho chiesto a Porro il perché. Mi ha spiegato cortese che o è così o non vengono: ossia quei due non accettano contraddittorio.
Ieri sera da Lilli Gruber c’era quell’altro ragazzotto dei 5Stelle, Alessandro di Battista, uno che se la tira molto, convinto che quel nulla che ha in cantina sia un grande patrimonio morale e intellettuale. Il mio vecchio amico Massimo Franco lo guardava con disprezzo, epperò troppo elegante per manifestargli quel disprezzo con i dovuti sostantivi e i dovuti aggettivi. Sì, siamo all’emergenza democratica.
La responsabilità della tv commerciale e popolare è state ed è immensa. Sono anni che dalla buona parte dei canali televisivi la cultura populista spara le sue bordate, che suscitano gli applausi del pubblico all’ingrosso, quello che determina l’impennarsi dello share. Infinito e pregiato è il numero delle macchiette televisive che tuonano rabbiosamente contro il presente, e non è che il presente ne offra pochi di argomenti alla rabbia popolare. Sui canali di Mediaset hanno fatto il buono e il cattivo tempo alcuni giornalisti/conduttori che non si negano nulla in fatto di populismo rabbioso e aggressivo. Alcuni di loro ci sono, altri ci fanno. 
Ho per Maurizio Belpietro un vecchio affetto, solo che quando vedo il titolo odierno sulla prima pagina del suo giornale (Più o meno: “E’ arrivato Cottarelli. Fate attenzione al vostro portafoglio”) mi vengono ancora i brividi, da quanto quel titolo è qualunquista e moralmente indecente.
Mattia Feltri ha magistralmente documentato sulla “Stampa” quel che Di Maio e Salvini dicevano ancora l’altro ieri su Cottarelli (di cui non dimentico purtroppo che non andò a buon fine politico il suo rapporto con un Matteo Renzi che non voleva farsi scavalcare dai populisti). Elogi a non finire. 
Ebbene, oggi lo dipingono come un sicario di non so quali “poteri forti” o complotti dell’Europa contro la volontà popolare espressa dalle elezioni italiane del 4 marzo.
La situazione è da ultimo allarme. Da qui alle prossime e imminenti elezioni andranno in fumo miliardi di risparmi degli italiani. Lo Stato dovrà pagare cifre sonanti per avere di che pagare gli stipendi pubblici a fine mese. Rischiamo di avere al timone del comando ben peggio che Paolo Savona, uomo professionalmente impeccabile. Mi chiedo se vi state rendendo conto di tutto questo.
 Ancora allo scoppio della Seconda guerra mondiale, e pochi mesi prima che entrassero i nazi a Parigi, i ragazzi e le ragazze francesi uscivano a sera e facevano festa, orgogliosi della loro giovinezza. Sono troppo vecchio per assistere al disastro tutto intero. Non invidio i vostri figli, che invece lo vedranno.
 

giovedì 13 settembre 2018

Era Ora

https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2018/09/13/voto-orban-ungheria-parlamento-europeo


Il parlamento europeo dice no a Viktor Orbán e all’estrema destra





domenica 9 settembre 2018

Agenti putiniani

I legami tra la Lega e Mosca: l’asse Salvini-Putin e le mosse della grande finanza internazionale

31 maggio 2018

I rapporti fra la Lega e il “regime” in Russia di Vladimir Putin. Fa pensare e riflettere il bell’articolo dell’Avvenire di oggi, il quotidiano dei Vescovi.
“Molto si è detto e scritto – scrive Avvenire – in questi giorni, sul no di Mattarella a Savona come ministro dell’Economia di un eventuale governo Lega-M5s per le sue tesi fortemente euroscettiche. Ma ad agitare ancor più i pensieri delle cancellerie di tutta Europa (e anche del Quirinale) è un altro scenario, noto da tempo eppure stranamente rimasto sotto traccia nel dibattito nazionale: il legame di Matteo Salvini con Russia Unita, il partito nato nel 2001 per sostenere Vladimir Putin. L’ultimo allarme l’ha lanciato, domenica scorsa, Armin Schuster, il presidente (della Cdu) della commissione Servizi del Bundestag, il Parlamento tedesco: un governo giallo-verde non sarebbe motivo di «interrompere» la cooperazione nell’intelligence con Roma, ma nelle vicende che coinvolgono Mosca i contatti potrebbero essere condotti «diversamente» da come avviene ora. Alla base di questa ‘relazione pericolosa’ c’è persino un testo ufficiale, una sorta di altro contratto (come quello siglato con i pentastellati): un «Accordo sulla cooperazione e collaborazione» fra i due partiti. Il testo, in 10 punti, è riportato dal libro ‘Da Pontida a Mosca’, scritto da Fabio Sapettini e Andrea Tabacchini”.
In definita, Salvini (in un governo con i 5 Stelle) potrebbe quasi sicuramente riaprire le relazioni con il governo di Putin, un governo come è noto accusato da tutti i Paesi dell’Europa occidentale e dagli Stati Uniti di aver interferito nelle elezioni tramite fake news e di aver colpito i suoi nemici (basta pensare ai casi del polonio radioattivo denunciati in Gran Bretagna contro ex-spie nemiche giurate di Putin). C’è da dire che proprio ieri Salvini ha detto di ritenere “Putin uno degli uomini di Stato migliori”, forse dimenticando le accuse dei Paesi occidentali contro il presidente sovietico e i metodi utilizzati contro i suoi oppositori politici.
Ma c’è un ulteriore elemento di riflessione finanziaria che questa rubrica vuole inserire nel dibattito: gli Stati Uniti si sono ormai apertamente messi contro il governo russo di Putin, malgrado le accuse di collusione con Trump, comminando sanzioni a Mosca e agli oligarchi. C’è dunque da farsi una semplice domanda. Se davvero il nuovo governo Lega-5Stelle riaprirà a Mosca, come si comporteranno gli investitori internazionali (in gran parte americani e inglesi) che comprano i nostri titoli e il debito italiano? Basta pensare che di recente grandi fondi istituzionali hanno addirittura ceduto le loro quote azionarie in aziende russe, anche se quotate all’estero, per venire incontro alle sanzioni comminate dall’amministrazione americana agli oligarchi. Non c’è dunque un rischio che i grandi investitori americani (un caso emblematico è Blackrock) cominceranno a sottopesare l’Italia nei loro portafogli in caso di aperture a Mosca che non siano in sintonia con la Ue e con gli Stati Uniti? E’ uno dei rischi della rottura di un’alleanza che finora è sempre stata comune contro Mosca. Del resto l’avvertimento è arrivato proprio dal finanziere americano George Soros: “Il nuovo governo italiano è troppo vicino alla Russia, e gli italiani hanno il diritto di sapere se Salvini è stato finanziato da Mosca” ha spiegato Soros dal palco del Festival dell’Economia di Trento.
Ma torniamo alla bella inchiesta dell’Avvenire. “Era poco più di un anno fa – spiega il settimanale – ai primi di marzo del 2017, Salvini era nella capitale russa. Da una parte del tavolo c’era lui, dall’altra Sergey Zheleznyak, 48enne vicesegretario per le relazioni internazionali del partito putiniano, per firmare questo documento: un impegno a promuovere le relazioni fra le due parti, con seminari, convegni, viaggi, basato su un «partenariato paritario e confidenziale», termine, quest’ultimo, quanto mai singolare per la diplomazia internazionale. Uno scambio quanto mai ampio, che comprende anche le «esperienze in attività legislative». Una rete fitta che ha anche alimentato il sospetto, sempre seccamente smentito da Salvini, di finanziamenti diretti di Putin alla Lega, partito peraltro in difficoltà economica. Qual è, allora, lo scopo di questa alleanza? Interessante è l’opinione di Nona Mikhelidze, analista dello Iai (Istituto affari internazionali), riportata lo scorso gennaio dal sito Formiche: «Il Cremlino sa che l’Italia non può uscire da un giorno all’altro dall’Ue. L’obiettivo per il momento è creare caos, ingovernabilità, aiutare quelle forze sovraniste che, per costituzione, chiedono meno Europa»”.
Guarda caso, conferma Avvenire, “esattamente lo scenario che si sta realizzando in queste settimane in Italia. In effetti, la drammatizzata ipotesi di uscita dall’euro sarebbe comunque un processo complesso da portare avanti. Molto più agevole ‘creare’ disordine. Come il primo tempo di una partita. Mettere in crisi la moneta unica resta infatti la via migliore per indebolire l’Europa. Per minarla dalle fondamenta. Un interesse prioritario per la Russia, penalizzata dalle sanzioni Ue in vigore da marzo 2014 e per ora prorogate fino a fine luglio. Senza un Paese ‘forte’ come l’Italia, le sanzioni non potrebbero essere rinnovate (sono votate all’unanimità). Non a caso il «ritiro immediato delle sanzioni» è previsto nello scarno capitolo ‘Esteri’ del contratto gialloverde. In questo filone, la figura di Paolo Savona, economista d’esperienza e stimato (anche e proprio per la sua linea sull’Unione Europea), non è casuale, ma può acquisire un ruolo funzionale nello scacchiere predisposto da Salvini. D’altronde Savona non è noto solo per i suoi riferimenti storici al nazismo dei tedeschi (non graditi sul Colle). Sulla Russia, in un’intervista a Libero, ecco cosa diceva: «Putin è realista. È contrario a un’Europa che lo danneggi. E questa lo danneggia»”.
E qui i riflettori vanno appunto su Paolo Savona. “Anche l’ex ministro del governo Ciampi – dice Avvenire – ha legami storici col mondo russo, coltivati durante la presidenza di Impregilo negli anni Duemila. Ecco che dietro l’opposizione alla figura di Savona – e all’esecutivo leghista-grillino – si può leggere in filigrana la volontà di contrastare un disegno geopolitico orientato a mutare gli equilibri in Europa. Il tramite dell’infatuazione filo-russa del Carroccio è il giornalista Gianluca Savoini, già collaboratore di Salvini e presidente dell’associazione ‘Lombardia Russia’. Prende le mosse nel 2013: da allora, ogni passo politico del Matteo in camicia verde ha ricevuto una qualche ‘benedizione’ russa. Quando, a dicembre 2013, è eletto segretario nel congresso di Torino fra i presenti c’è Viktor Zubarev, parlamentare russo. Da lì cominciano i contatti diretti fra Salvini e Putin. Il 17 ottobre 2014 il leader russo è a Milano per il vertice Asem e, a costo di far aspettare l’amico Berlusconi, incontra per 20 minuti in un hotel il capo lumbard: «Certo, bere un caffè con Putin…», commenta un emozionato Salvini. Segue una lunga serie di ‘pellegrinaggi’ a Mosca. Una ragnatela di contatti. Una settimana fa Salvini era a San Pietroburgo, al forum internazionale, assieme a Paolo Grimoldi, altro deputato leghista che funge da trait-d’union sull’asse Milano-Mosca”.

Analisi. La rete fra la Lega e Putin dietro l'Italia «giallo-verde»
Non c’è solo la battaglia su Savona I timori legati al testo siglato nel 2017 che prevede un «partenariato confidenziale» Il tema sanzioni e le 'influenze' sulle elezioni

Eugenio Fatigante giovedì 31 maggio 2018


La rete fra la Lega e Putin dietro l'Italia «giallo-verde»Molto si è detto e scritto, in questi giorni, sul no di Mattarella a Savona come ministro dell’Economia di un eventuale governo Lega-M5s per le sue tesi fortemente euroscettiche. Ma ad agitare ancor più i pensieri delle cancellerie di tutta Europa (e anche del Quirinale) è un altro scenario, noto da tempo eppure stranamente rimasto sotto traccia nel dibattito nazionale: il legame di Matteo Salvini con Russia Unita, il partito nato nel 2001 per sostenere Vladimir Putin.
L’ultimo allarme l’ha lanciato, domenica scorsa, Armin Schuster, il presidente (della Cdu) della commissione Servizi del Bundestag, il Parlamento tedesco: un governo giallo-verde non sarebbe motivo di «interrompere» la cooperazione nell’intelligencecon Roma, ma nelle vicende che coinvolgono Mosca i contatti potrebbero essere condotti «diversamente» da come avviene ora. Alla base di questa 'relazione pericolosa' c’è persino un testo ufficiale, una sorta di altro contratto (come quello siglato con i pentastellati): un «Accordo sulla cooperazione e collaborazione» fra i due partiti. Il testo, in 10 punti, è riportato dal libro 'Da Pontida a Mosca', scritto da Fabio Sapettini e Andrea Tabacchini.
Era poco più di un anno fa: ai primi di marzo del 2017, Salvini era nella capitale russa. Da una parte del tavolo c’era lui, dall’altra Sergey Zheleznyak, 48enne vicesegretario per le relazioni internazionali del partito putiniano, per firmare questo documento: un impegno a promuovere le relazioni fra le due parti, con seminari, convegni, viaggi, basato su un «partenariato paritario e confidenziale», termine, quest’ultimo, quanto mai singolare per la diplomazia internazionale.
Uno scambio quanto mai ampio, che comprende anche le «esperienze in attività legislative». Una rete fitta che ha anche alimentato il sospetto, sempre seccamente smentito da Salvini, di finanziamenti diretti di Putin alla Lega, partito peraltro in difficoltà economica. Qual è, allora, lo scopo di questa alleanza? Interessante è l’opinione di Nona Mikhelidze, analista dello Iai (Istituto affari internazionali), riportata lo scorso gennaio dal sito Formiche: «Il Cremlino sa che l’Italia non può uscire da un giorno all’altro dall’Ue. L’obiettivo per il momento è creare caos, ingovernabilità, aiutare quelle forze sovraniste che, per costituzione, chiedono meno Europa».
Guarda caso, esattamente lo scenario che si sta realizzando in queste settimane in Italia. In effetti, la drammatizzata ipotesi di uscita dall’euro sarebbe comunque un processo complesso da portare avanti. Molto più agevole 'creare' disordine. Come il primo tempo di una partita. Mettere in crisi la moneta unica resta infatti la via migliore per indebolire l’Europa. Per minarla dalle fondamenta. Un interesse prioritario per la Russia, penalizzata dalle sanzioni Ue in vigore da marzo 2014 e per ora prorogate fino a fine luglio.
Senza un Paese 'forte' come l’Italia, le sanzioni non potrebbero essere rinnovate (sono votate all’unanimità). Non a caso il «ritiro immediato delle sanzioni» è previsto nello scarno capitolo 'Esteri' del contratto gialloverde. In questo filone, la figura di Paolo Savona, economista d’esperienza e stimato (anche e proprio per la sua linea sull’Unione Europea), non è casuale, ma può acquisire un ruolo funzionale nello scacchiere predisposto da Salvini. D’altronde Savona non è noto solo per i suoi riferimenti storici al nazismo dei tedeschi (non graditi sul Colle). Sulla Russia, in un’intervista a Libero, ecco cosa diceva: «Putin è realista. È contrario a un’Europa che lo danneggi. E questa lo danneggia».
Anche l’ex ministro del governo Ciampi ha legami storici col mondo russo, coltivati durante la presidenza di Impregilo negli anni Duemila. Ecco che dietro l’opposizione alla figura di Savona – e all’esecutivo leghista-grillino – si può leggere in filigrana la volontà di contrastare un disegno geopolitico orientato a mutare gli equilibri in Europa. Il tramite dell’infatuazione filo-russa del Carroccio è il giornalista Gianluca Savoini, già collaboratore di Salvini e presidente dell’associazione 'Lombardia Russia'. Prende le mosse nel 2013: da allora, ogni passo politico del Matteo in camicia verde ha ricevuto una qualche 'benedizione' russa.
Quando, a dicembre 2013, è eletto segretario nel congresso di Torino fra i presenti c’è Viktor Zubarev, parlamentare russo. Da lì cominciano i contatti diretti fra Salvini e Putin. Il 17 ottobre 2014 il leader russo è a Milano per il vertice Asem e, a costo di far aspettare l’amico Berlusconi, incontra per 20 minuti in un hotel il capo lumbard: «Certo, bere un caffè con Putin...», commenta un emozionato Salvini. Segue una lunga serie di 'pellegrinaggi' a Mosca. Una ragnatela di contatti. Una settimana fa Savoini era a San Pietroburgo, al forum internazionale, assieme a Paolo Grimoldi, altro deputato leghista che funge da trait-d’union sull’asse Milano-Mosca. Non coinvolto in questa rete, ma molto attivo è poi Luigi Scordamaglia, dinamico presidente di Federalimentare e sorta di 'ufficiale di collegamento' fra il mondo imprenditoriale del Nord e la Lega per la sua attenzione al tema sanzioni, che penalizzano soprattutto l’agroalimentare.
I timori non sono legati solo agli assetti economici, però. Molto forti sono anche quelli per le 'bufale' mediatiche che influenzano le elezioni e i sommovimenti occidentali. Nei 'Palazzi' della politica si ricorda a esempio che, secondo inchieste giornalistiche, l’80% dei tweet a favore dell’indipendenza della Catalogna sono arrivati da account russi o venezuelani. E c’è chi ricorda che, in ogni caso, il nostro 'ancoraggio' agli Stati Uniti deve prevalere. Per una ragione semplice: l’interscambio commerciale fra Usa e Italia prima delle sanzioni era 10 volte più grande di quello con Mosca. Grandezze profondamente diverse che fanno riflettere davanti al rischio di uno spostamento degli equilibri.

Matteo Salvini, l’amico di Mosca

giovedì 07 giugno 2018 ore 13:11
Matteo Salvini a Mosca
I legami tra la Lega di Matteo Salvini e la Russia di Valdimir Putin sono ben noti. La stampa italiana ne ha scritto nelle ultime settimane. Noi ne abbiamo parlato con Krekò Péter, direttore del Capital Institute di Budapest, un think tank d’orientamento liberale. Nel 2015, questo istituto di ricerche sociali e politiche pubblicò un rapporto sui rapporti tra il Cremlino e i partiti dell’estrema destra europea. Nella lista, anche la Lega Nord. Un legame che si è sviluppato con forza negli ultimi anni. Come si vede in questi giorni, con la nascita a Roma del governo giallo-verde. Uno dei primi passi del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stata l’apertura alla Russia.

Nel corso degli anni si è parlato anche di un rapporto economico tra la Russia e la Lega. Péter non può confermarlo.
Quello che abbiamo scritto nel rapporto riguarda i rapporti tra il Cremlino e i partiti dell’estrema destra europea. Non abbiamo parlato in modo specifico di finanziamenti da parte della Russia nei confronti di queste forze politiche; abbiamo detto che in alcuni casi c’è il sospetto che soldi siano passati dalle casse di Mosca a quelle di alcune di questi partiti.
Per quanto riguarda la Lega posso solo rilevare che negli ultimi tempi la stampa italiana e austriaca abbia parlato di finanziamenti. Ma è solo, come dicevo, un sospetto.
Comunque sia, finanziamenti o no, l’unica cosa certa è che la Lega Nord è stato uno dei due partiti dell’estrema destra europea ad aver firmato un accordo di cooperazione e coordinamento con il partito di Vladimir Putin, Russia Unita, con il quale condivide la stessa visione ideologica – i valori ultraconservatori cristianni – e con cui è concorde su alcuni temi come, per esempio, l’annessione della Crimea da parte della Russia.


Quale è l’obiettivo di Vladimir Putin nello stringere rapporti con i partiti dell’estrema destra europea come la Lega?
È molto chiaro: vuole destabilizzare l’Unione Europea. Questi partiti diventano i suoi agenti per raggiungere questo obiettivo. I leader di queste formazioni politiche chiedono a grande voce la fine delle sanzioni nei confronti della Russia. Sono i “guastatori “di Putin in Europa.
Il presidente russo e il suo ministro degli esteri Lavrov credono che per la politica di Mosca sia meglio avere un’Europa disarticolata, fatta da nazioni e non da un’unione. Non è un caso che la prima visita in una paese dell’Ue di Vladimir Putin sia stata fatta in Austria, dove c’è un governo “amico” di Mosca, vista la presenza dell’Fpo, partito che insieme al a Lega ha firmato il patto di cooperazione con Russia Unita.
Mosca preferisce parlare con Vienna e Roma, ora che ci sono i populisti al governo piuttosto che dialogare con Bruxelles, con l’Unione Europea. Nella visione di Mosca, l’Ue è il pupazzo degli Usa, ed è in sé, un problema per Mosca e la sua volontà di ricreare la sfera d’influenza dell’Unione Sovietica.


E adesso che Matteo Salvini è al governo cosa accadrà?
Quello che posso dire è che nessun leader della destra europea ha un rapporto così intenso con la Russia come quello che ha Matteo Salvini. Un rapporto personale con Vladimir Putin e una relazione politica molto forte con il partito del presidente russo. Sappiamo poi che rappresentanti della Lega sono stati ospitati in Crimea durante il referendum illegittimo per l’annessione da parte della Russia, organizzato dal Cremlino e dai separatisti russi. Ci sono state poi molte municipalità guidate dalla Lega che hanno riconosciuto l’annessione della Crimea.
Ora che Matteo Salvini è al governo penso che non ci debba aspettare un immediato cambiamento di politica estera. Ci saranno aperture a Mosca, ma non quella radicale mutazione di rotta che potrebbe arrivare, invece, più tardi. L’Austria ha criticato le sanzioni; anche Roma lo ha fatto. L’Italia è un paese grande, con un forte peso in Europa. Ma penso che comunque l’Ue abbia tutti la possiblità di “respingere” un’eventuale offensiva su questo tema da parte degli amici di Putin nella Ue.

Cosa farà il nuovo governo italiano per la Russia
Difficile dirlo ora. Mi aspetto che venga organizzato un incontro ad alto livello tra il presidente del consiglio Conte e il Cremlino. C’è da ricordare che la politica italiana nei confronti di Mosca è sempre stata molto comprensiva. Silvio Berlusconi è un altro grande amico di Vladimir Putin. Ci saranno altre discussioni sulle forniture energetiche russe all’Italia. Scommetto che discuteranno anche delle sanzioni, ma penso che Roma non si azzarderà a toglierle da solo.

Ma c’è un coordinamento tra il Cremlino e il leader della Lega Matteo Salvini ?
Noi non abbiamo prove che il Cremlino “guidi” la politica estera del governo italiano o di quello austriaco. Abbiamo il sospetto che in alcuni casi, come per esempio quello ungherese, il governo di Budapest abbia preso dei provvedimenti che oggettivamente siano andati a beneficio della Russia.
Però non possiamo dire che anche in questo caso Putin sia stato il burattinaio.
C’è un altra cosa. Quando sei un partito dell’opposizione, magari piccolo, è più “facile” fare politica a favore della Russia. Ed è anche più facile avere bisogno della Russia. Quando vai al governo le cose possono cambiare. Però c’è una cosa che noi non sappiamo: oltre all’accordo ufficiale tra i due partiti, Lega e Russia Unita, esiste qualche cosa d’altro? C’è qualche patto segreto?

Aggiornato lunedì 11 giugno 2018 ore 10:43

sabato 8 settembre 2018

Lega Ladrona /5

Lega, il riesame conferma la sentenza: "Vanno sequestrati i 49 milioni della truffa"

Il tribunale di Genova conferma la decisione della Cassazione sulla truffa dei rimborsi elettorali del partito dal 2008 al 2010 per cui sono stati condannati in primo grado l'allora segretario Bossi e il tesoriere Belsito




Lega, il riesame conferma la sentenza: Vanno sequestrati i 49 milioni della truffa
















Tutti i conti della Lega vanno sequestrati, fino a raggiungere la somma di 48,9 milioni di euro. È la decisione del tribunale del Riesame di Genova, che ha depositato la tanto attesa sentenza sul sequestro dei fondi del partito del ministro dell'Interno Matteo Salvini. Ha accolto, quindi confermando, le richieste della procura di Genova, che chiedeva il sequestro dei 49 milioni frutto della truffa ai danni dello Stato commessa tra il 2008 e il 2010.
L'effetto concreto è che dopo questa decisione dei giudici del Riesame i conti correnti del partito potranno essere effettivamente sequestrati e le somme congelate. Perché la sentenza è subito esecutiva. Questo vuol dire che la guardia di finanza da questo momento in poi può andare a caccia dei quasi 50 milioni di euro sequestrano tutti i conti direttamente o indirettamente riconducibili alla Lega, così aveva stabilito anche la Cassazione. Al momento sono stati sequestrati circa 3 milioni di euro, trovati sui conti della Lega nazionale e della varie sezioni regionali.
Poi l'attività investigativa si era perciò interrotta e non erano stati toccati i conti correnti riconducibili a organizzazioni legate al Carroccio. Per esempio società e associazioni contigue al partito di Salvini. La sentenza della Cassazione e la conferma di oggi del tribunale del Riesame di Genova danno la possibilità di aggredire anche questo denaro.
Era stata la Cassazione ad aprile a chiamare in causa il Riesame dopo aver accolto la richiesta della procura di potere sequestrare i conti della Lega oltre a quelli già trovati. Il sequestro era stato deciso dal tribunale di Genova dopo la condanna di Bossi, Belsito e dei tre ex revisori contabili per truffa ai danni dello Stato. Nella sentenza della Cassazione avevano stabilito andava sequestrata qualunque somma di denaro riferibile al partito «ovunque venga rinvenuta fino a raggiungere 48,9 milioni».
"E' una vicenda del passato, sono tranquillo, gli avvocati faranno le loro scelte: se vogliono toglierci tutto facciano pure, gli italiani sono con noi". Lo ha detto il ministro degli interni e leader della Lega Matteo Salvini nel corso di una conferenza stampa al Viminale."Io sono tranquillo - ha aggiunto il ministro dell'Interno -continuo a lavorare, i processi e le storie del passato che riguardano fatti di otto o dieci anni fa non mi appassionano". -






All'epoca della sentenza della Cassazione Salvini aveva definito «politico» il verdetto dei giudici. E il tesoriere Giulio Centemero aveva detto:«Forse l'efficacia dell'azione di governo della Lega dà fastidio a qualcuno, ma non ci fermeranno certo così». Non sarà, però, facile per gli investigatori trovare altri soldi. La vicenda dura ormai da oltre un anno, e nel frattempo molte risorse sono state spese.

Ecco perché la Lega deve restituire i 49 milioni. Lo dicono i giudici

Una memoria dell’avvocatura di Stato e la sentenza di Genova spiegano il motivo per cui i soldi dei rimborsi vanno sequestrati

Se qualcuno ha sottratto ai fondi della Lega, 500 mila euro o 800 mila, come fai a contestarmi un finanziamento di 49 milioni, basato sul numero di voti presi?». La tesi esposta lunedì scorso sul Corriere della Sera da Roberto Calderoli, uno dei pochi esponenti storici rimasti al vertice del partito anche adesso che comanda Matteo Salvini, riassume bene la posizione della Lega sulla vicenda dei quasi 50 milioni messi sotto sequestro dalla magistratura. Le stesse argomentazioni sono state ripetute dal tesoriere Giulio Centemero e dal vice premier Salvini. Da qui l’ipotesi «ci attaccano perché diamo fastidio» e le accuse ai magistrati di aver confezionato «una sentenza politica».

In realtà le cose sono molto più semplici. Per capirle basta leggere la sentenza di condanna per truffa ai danni dello Stato comminata in primo grado dal tribunale di Genova lo scorso luglio contro Bossi e Belsito. E la memoria di 60 pagine depositata dall’avvocatura dello Stato in difesa di Camera e Senato, costituitesi parti civili nel processo per truffa.

La coppia Bossi-Belsito spera nel processo d’Appello. Il 12 luglio è stato il giorno della requisitoria della procura generale, che rappresenta l’accusa in secondo grado. Difficile che si arrivi a sentenza entro la fine di luglio. Più probabile che i giudici decidano a settembre. Di sicuro a sostenere la tesi dei pm c’è di nuovo l’avvocatura dello Stato. Che, nella memoria depositata nel giudizio di primo grado, spiega i motivi per cui la Lega non avrebbe dovuto ottenere i rimborsi, e quindi la ragione della richiesta di sequestro dei 49 milioni. I giudici hanno stabilito di confiscare i rimborsi elettorali percepiti negli anni 2008-2009-2010 poiché i bilanci presentati dal partito in quei tre anni erano stati falsificati. «La liquidazione», si legge infatti nella sentenza, «è subordinata all’accertamento della regolarità del rendiconto». Lo prevede la legge, la numero 2 del 1997.

Insomma l’erogazione dei rimborsi era vincolata alla presentazione di un bilancio regolare. Il problema è che in quei tre anni, come dimostrato al processo, i conti del Carroccio erano stati truccati. Attraverso «artifici e raggiri», si legge nella sentenza, sono state «riportate nel rendiconto false informazioni circa la destinazione delle spese sostenute, in assenza di documenti giustificativi di spesa ed in presenza di spese effettuate per finalità estranee agli interessi del partito politico». Proprio in relazione a quest’ultima frase, quella sulle spese estranee alla Lega, i giudici spiegano che «si è proceduto separatamente nei confronti di Francesco Belsito, Umberto Bossi e Renzo Bossi». Questo è il punto su cui si rischia di fare confusione, per lo meno stando alle dichiarazioni di Calderoli. Perché il fatto che Bossi e colleghi abbiano speso soldi per fini personali - le lauree in Albania, ad esempio - non coincide con la truffa nei confronti dello Stato. Quella si chiama appropriazione indebita, reato per il quale il vecchio leader, l’allora tesoriere Belsito e il “Trota” sono stati condannati dal tribunale di Milano.

In altre parole, i soldi che Salvini si dice disposto a mettere di tasca propria non hanno nulla a che fare con i 49 milioni messi sotto sequestro. Quelli, hanno deciso i giudici, la Lega li deve restituire perché percepiti illegalmente. La linea della difesa leghista è molto semplice e si basa su una anomalia del meccanismo: i rimborsi elettorali erano legati al numero di voti presi dal partito, quindi la rendicontazione delle spese era una pura formalità. La sentenza dei giudici di Genova e la memoria dell’avvocatura dello Stato fanno valere una tesi diversa. Come abbiamo detto, la legge del ’97 regolava i rimborsi vincolandoli alla presentazione di regolare bilancio. La successiva modifica del ’99, spiegano i giudici, «attribuiva un rimborso in relazione alle spese elettorali sostenute per le campagne per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, del Parlamento europeo e dei Consigli Regionali». A un patto, però: che i bilanci non presentassero irregolarità, pena la sospensione dell’erogazione. Ecco perché i giudici, sostenuti in questo dai legali di Camera e Senato, sottolineano il fatto che i conti del Carroccio presentavano «false informazioni circa la destinazione delle spese sostenute». E non si è trattato di spiccioli: nella sentenza si legge che nei tre anni analizzati «mancavano pezze giustificative per i due terzi delle spese del Movimento». Vale a dire circa 46 milioni di euro usciti dalle casse della Lega senza motivo. Per queste ragioni i giudici hanno deciso di sequestrare tutto il rimborso ottenuto dal Carroccio per quegli anni e non solo, come vorrebbe Salvini, il malloppo utilizzato da Bossi e Belsito per scopi privati.

Come mai lo stesso trattamento non è stato riservato alla Margherita? La domanda è stata proposta più volte in questi giorni su giornali e social network. Perché Luigi Lusi, ex tesoriere del partito guidato da Francesco Rutelli, è stato protagonista di vicende molto simili a quelle di Bossi e Belsito, avvenute peraltro negli stessi anni e raccontate da L’Espresso con diverse copertine esclusive. In sostanza Lusi si era intascato parecchi milioni di euro frutto dei rimborsi elettorali, eppure i giudici non hanno sequestrato i soldi al partito. Il motivo sta tutto in una formuletta giuridica: costituzione di parte civile. Mentre la Margherita aveva infatti chiesto i danni a Lusi, ottenendo come conseguenza la restituzione del tesoro, la Lega di Salvini ha scelto di non farlo con Bossi e Belsito.

«Sarebbe uno spreco di tempo e soldi», spiegò all’epoca il ministro dell’Interno. Che non aveva fatto bene i calcoli: la maledizione della truffa è ricaduta infatti anche sull’attuale partito, il quale non solo non otterrà alcun risarcimento ma dovrà restituire il maltolto. Una punizione aggravata dalle valutazioni dell’avvocatura dello Stato.

Nella conclusione della memoria, i legali che rappresentano Camera e Senato definiscono «inqualificabile e scellerato» il comportamento dei protagonisti della truffa, soprattutto perché nel frattempo l’Italia viveva «un buio periodo», scrivono gli avvocati dello Stato, «nel quale i vertici del Paese sono stati costretti ad emanare disposizioni di rigido contenimento della spesa pubblica, tra le quali il blocco della contrattazione e l’aumento dell’età pensionabile con la riforma Fornero e via dicendo. Si rimane pertanto sbalorditi nel sapere che negli stessi anni venivano distribuiti migliaia di euro in nero a dipendenti della Lega tramite le “buste Buffetti”».

L’atto d’accusa dei legali di Camera e Senato mette in relazione l’allegra gestione dei soldi pubblici da parte dei partiti, nel caso specifico della Lega, con il ricorso a drastiche politiche di austerity, come la legge Fornero. Quasi un contrappasso per Matteo Salvini, che sull’abolizione della riforma ha eretto un pezzo del suo successo elettorale.